Basta con l’ANPI. Parola del patriota Igino Bertoldi, della Divisione Osoppo Friuli

Perché fare assieme le manifestazioni dell’Associazione Osoppo con l’ANPI? Se lo chiede Igino Bertoldi, detto Ercole, Bogomiro o Ragamir, nato a Tavagnacco (UD) il 29 agosto 1926. È stato un patriota delle Brigate Osoppo, di area cattolica, azionista, monarchica e laico-socialista. Poi Volontario della libertà, per il periodo 1945-1948, in contatto con gli angloamericani. Dal 1948 al 1954, Igino ha fatto parte dei ‘Volontari Difesa Confini Italiani VIII’, col nome di ‘Bogomiro’, oppure ‘Ragamir’. “Se non ci fossimo stati noi adesso qui ci sarebbe un’altra nazione – ripete come un ritornello – ora sono dall’Associazione Partigiani Osoppo-Friuli (APO) di Udine”. Non gli piacciono i “miscugli ANPI – APO”, come li chiama lui. È che l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI), secondo lui, è schierata con i comunisti e certi suoi dirigenti sono giustificazionisti dell’eccidio di Porzûs e negazionisti della tragedia delle foibe istriane.

Gli strali di Bogomiro sono contenuti in una lettera, del 18 ottobre 2023. Sostiene che ci sia “una grave responsabilità nei confronti di noi combattenti ed in particolare dei nostri martiri dell’eccidio di Porzûs e delle foibe trucidati per creare il terrore nella popolazione” (Lettera al Presidente dell’APO 2023 : 2).

Vero è che certi storici descrivono la soppressione di un partigiano osovano effettuata dai partigiani garibaldini comunisti di Tavagnacco genericamente in questo modo: “Stella Arrigo (Robur). Classe 1923. Partigiano 3^ Brg. Osoppo Friuli. Ucciso a Laipacco il 28.4.1945 da forze partigiane” (Angeli 1994, pp. 139, 167-168).

Per Igino Bertoldi l’ANPI filo-comunista è la discendente ideologica dei partigiani dei Gap, i Gruppi di Azione Patriottica, creati dal Partito comunista, che dal 7 febbraio 1945 a Porzûs, in Comune di Attimis (UD), oltre che al Bosco Romagno (Cividale del Friuli) e Drenchia passarono per le armi il Comando partigiano della Osoppo, che si opponeva alle annessioni territoriali jugoslave e non volle sottostare al comando del IX Corpus di Tito.

Gorizia, 11 giugno 2023 – È stato inaugurato il nuovo Lapidario con i nomi di altre 97 vittime, oltre alle già 600 deportazioni ricordate col monumento del 1985. Fotografia dell’ANVGD

Pochi studiosi spiegano che i titini, oltre ad occupare Fiume, Pola, Trieste e Gorizia, sono giunti sino a Monfalcone, Muggia, Romans d’Isonzo, Cividale del Friuli, Aquileia e Cervignano del Friuli, nella Bassa friulana, arrestando e ammazzando a destra e a manca. Una jeep di artificieri iugoslavi fu vista da partigiani della Osoppo sulle rive del Tagliamento, vicino ad un ponte. Come ha scritto Maria Grazia Ziberna a Gorizia “il periodo dell’occupazione titina, dal 2 maggio al 12 giugno 1945, vide la costituzione nella Venezia Giulia dello Slovensko Primorje, cioè il Litorale Sloveno, che aveva come capoluogo Trieste e comprendeva anche il circondario di Gorizia, diviso in sedici distretti e composto anche dai comuni di Cividale del Friuli, Tarvisio e Tarcento [in provincia di Udine], considerati slavofoni” (Ziberna 2013 : 83). Proprio da Gorizia e da Trieste ricevette l’ordine di allontanarsi, nel Natale del 1944, dai comandi del IX Corpus titino la Divisione Garibaldi Natisone, formata da comunisti italiani. Così si poteva meglio annettere quelle terre alla Jugoslavia a fine conflitto, magari fino al fiume Tagliamento. Solo quelli delle Brigate Osoppo rifiutarono l’ordine slavo, così furono sterminati i comandi alle maghe di Porzûs e nel Bosco Romagno (Moretti 1987 : 193). Altre eliminazioni avvennero a Premariacco (UD), come emerso nel 2016 dall’archivio di quel comune.

Durante i 40 giorni di occupazione titina a Gorizia avvennero molti arresti di italiani contrari al nuovo regime jugoslavo, con l’aiuto dei miliziani comunisti della Divisione Garibaldi. Sono riusciti sicuramente a salvarsi sei militari italiani nei primi giorni dell’occupazione del IX Corpus sloveno, avvenuta tra il 2 maggio e l’11 giugno 1945. È stato Sergio Pacori a nasconderli in una stanza di casa. “Quando sono arrivati i partigiani titini per controllare le abitazioni – ha detto Pacori – conoscendo lo sloveno, li ho intrattenuti e portati in giro per la casa, senza farli entrare, ovviamente, nel vano degli sbandati, finito il controllo, i titini se ne sono andati soddisfatti e io avevo salvato quei sei soldati italiani dalla deportazione in Jugoslavia”.

C’è poi la vicenda di Arrigo Secco, nato a Faedis nel 1916, nome di battaglia Secondo. È uno di quelli che riuscì a salvarsi dall’eccidio di Porzus, messo in atto dai partigiani comunisti garibaldini il 7 febbraio 1945, per uccidere 17 partigiani osovani, compresa una donna, con la scusa di essere “fascisti, monarchici, traditori”. A raccontare l’episodio, tramandato nelle vicende familiari è una sua discendente: Monica Secco, insegnante di matematica a Udine. “Zio Arrigo era sposato con la partigiana Vania – ha detto la professoressa Monica Secco – e scampò ai fatti di Porzus, poiché incaricato di recarsi in paese in missione, così mi hanno raccontato i famiglia”. Arrigo Secco morì a Udine nel 1968 e, per la sua attività nella Resistenza, fu insignito della medaglia di bronzo. Fin qui i ricordi familiari.

L’attività partigiana di Arrigo Secco, detto Secondo, è documentata pure in un libro di Giampaolo Gallo sulla Resistenza in Friuli. Prima ancora che nascessero le Brigate Osoppo Friuli (Bof), egli combatté dalla metà di settembre 1943 nel battaglione “Rosselli”, composto da un numero variabile di uomini che andava da 40 a 70 elementi. Fu il primo distaccamento “Giustizia e Libertà”, sorto ad opera del Partito d’Azione al comando di Carlo Comessatti, nome di battaglia Spartaco. Il vice-comandante era Alberto Cosattini, detto Cosimo, mentre il commissario politico era Fermo Solari, Somma.

Pensare che “i primi patrioti di Udine, dopo l’8 settembre 1943 – ha detto G.P.F. – si ritrovarono all’Osteria Alla Ghiacciaia, una sorta di tempio degli Irredentisti nella Grande guerra”. Avevano uno spirito di solidarietà cristiana. Erano anti-tedeschi e col vessillo del tricolore senza altri emblemi. Alcuni erano monarchici, perciò chiamati: traditori badogliani. Rifiutavano la divisa tedesca o della R.S.I. Non volevano egemonie di partigiani garibaldini rossi e nemmeno di partigiani comunisti sloveni di Tito che erano, secondo A. B.: “i più tremendi e sanguinari”. Nel Comune di Premariacco (UD), Roberto Trentin ha detto: “ricordo una frase di mio padre, quando si parlava della guerra, lui diceva: ‘Pôre dai partisans, mai dai todescs!’ [Paura dei partigiani sì, mai dei tedeschi!]”.

Igino Bertoldi, detto Ercole, Bogomiro o Ragamir. Fotografia di Elio Varutti 2023

Ritorniamo alle parole di Bogomiro. “Terminata la guerra, i compagni insediarono il tribunale del popolo – aggiunge nella Lettera citata – io ero lì, quando iniziarono la tosatura delle ragazze che operavano nella centrale telefonica. Solo le più ingenue si lasciarono tagliare i capelli [per spregio; NdR] perché le più astute alzarono la voce: ‘Non toccateci, altrimenti parleremo’. L’indomani mandarono a prelevare un semplice uomo che operava nella centrale telefonica a Tavagnacco e proveniva da Amaro. Cominciato l’interrogatorio, la giuria non trovò nessuna colpa. Lo consegnarono, in seguito, alle donne comuniste che, senza pietà lo torturarono. Si sentirono le urla fino a grandi distanze. La mattina dopo fu trovato [morto] in un fosso a Torreano di Martignacco, ma era già programmato un altro processo a danno di un mio coetaneo. I fratelli Clocchiatti, osovani, approfittando di Berto che era sceso da Subit [frazione di Attimis, UD] e alloggiato nelle scuole elementari di Tavagnacco, andarono a chiedere rinforzi per ottenere il rilascio dell’accusato, che avvenne immediatamente. Da tener presente che il grosso dei combattenti Diavoli Rossi, IX Corpus e Garibaldini erano trasferiti a Gorizia a infoibare” (Lettera al Presidente dell’APO 2023 : 1). Tra l’altro, sul tribunale del popolo di Udine ha scritto Fabio Verardo, nel 2018.

Si ricorda che gli arresti e le deportazioni di italiani a Gorizia seguirono l’occupazione militare della città per 40 giorni da parte dei partigiani del IX Corpus sloveno. Si toccò l’apice fra il 2 e il 20 maggio 1945 a guerra conclusa. Si contarono 332 scomparsi, dei quali 182 civili e 150 militari, nel goriziano, dato arrivato a oltre 665 persone a disamina storica conclusa.

Passata l’invasione titina di Gorizia “un amico mi riferì che Mario e Lino, due fratelli del GAP di Tavagnacco – ha ricordato Igino Bertoldi – ormai morti, ritornando dalle eliminazioni di Gorizia, furono intercettati dalla ronda inglese di confine, così spararono uccidendo due soldati britannici, che oggi riposano nel Cimitero del Commonwealth a Adegliacco di Tavagnacco. Gli uccisori poi emigrarono uno in Germania e l’altro nella Legione straniera per non farsi prendere. Erano tempi così. Chi non la pensasse come loro, era già finito. Mio padre Giuseppe, del 1894 e mancato nel 1972, era come me ed altri 80 paesani di Tavagnacco sulla lista di quelli da impiccare secondo quelli del GAP”.

Cimitero del Commonwealth a Adegliacco di Tavagnacco. Fotografia dal sito web del Comune di Tavagnacco

Da ultimo si ricorda che tra i martiri delle malghe di Porzûs c’è pure Guido Pasolini, fratello del noto poeta e regista Pier Paolo. In considerazione del modo “orrendo” con il quale venne finito, essendo stato solo ferito nella concitata iniziale fucilazione nel Bosco Romagno, c’è chi lo paragona alla morte di Cristo (Castenetto 2023 : 182). È per tale motivo che si è scelta per copertina l’opera di Sergio Pacori intitolata Crocifissione... C’era il piccone per il colpo di grazia sul cranio, oltre alle pugnalate e alla decapitazione (tecnica, quest’ultima, usata nell’eccidio di Stremiz di Faedis, UD, scoperto nel 1997). Ecco come avvenne, nel febbraio 1945, il massacro di certe vittime osovane ad opera dei gappisti comunisti agli ordini di Mario Toffanin, detto Giacca. Essi agirono “prima colpendole con il calcio del mitra, eppoi, quando caddero rantolando, infierendo sui corpi con i tacchi degli scarponi” (Cresta 1969 : 124). Il signor C. Fe. ha confermato: “Gli osovani uccisi al Bosco Romagno sono stati colpiti a randellate dai filo-titini, lo so perché ho parlato con chi nell’APO ha visto le fotografie dei loro corpi martoriati”.

Fonti orali – Le interviste (int.) sono state condotte a Udine da Elio Varutti con penna, taccuino e macchina fotografica, se non altrimenti indicato.

 – Igino Bertoldi, detto Ercole, Bogomiro o Ragamir, nato a Tavagnacco (UD) il 29 agosto 1926, int. del 21 novembre 2023 a Tavagnacco.

– A. B., San Giovanni al Natisone (UD), int. del 22 giugno 2015.

– C.  Fe., Codroipo (UD), int. al telefono del 27 novembre 2023.

– G.P.F., Gemona del Friuli 1938, int. a Udine del 7 luglio 2023.

– Monica Secco (Udine, 1963), int. del 31 maggio 2009 e 19 novembre 2014.

– Sergio Pacori, Gargaro (ex provincia di Gorizia, oggi Slovenia) 1933, esule a Gorizia, int. del 17 maggio 2023 ed e-mail del 22 luglio 2023.

– Roberto Trentin, Premariacco, comunicazione a Cividale del Friuli del 9 settembre 2017.

Documenti originali

Comune di Premariacco, Anpi, gioie e dolori, registro anagrafe con 60 nominativi di persone abbattute dai partigiani, perché ritenute spie o collaborazionisti. Vedi: “Le carte di Premariacco: ecco i nomi dei morti”, «Messaggero Veneto», 3 maggio 2016.

– Igino Bertoldi, Lettera al Presidente dell’APO, testo in WORD, Tavagnacco 18 ottobre 2023, pp. 2.

Collezioni private

– Giorgio Secco, Udine, fotografia, lettere e cartoline, ms.

Interventi di Igino Bertoldi già pubblicati nel web

– E. Varutti, Arduino di Fiume scampato ai fucili titini e varie trame jugoslave al confine orientale, 1943-1954, on line dal 30 aprile 2023 su evarutti.wixsite.com

– E. Varutti, 25 aprile 2023: Patrioti o Partigiani. Igino Bertoldi denuncia, on line dal 2 giugno 2023 su eliovarutti.blogspot.com.

– E. Varutti, Strage di Porzûs programmata e misteri jugoslavi al confine orientale italiano, on line dal giorno 11 luglio 2023 su varutti-elio3.webnode.it

– E. Varutti, Le fucilazioni facili dei partigiani comunisti in Friuli. L’osovano “Ercole” rivela, 1945, on line dal 31 luglio 2023 su evarutti.wixsite.com

– E. Varutti, I rapporti coi comunisti dei GAP per il patriota Igino Bertoldi, delle Brigate Osoppo Friuli, on line dal 20 settembre 2023 su evarutti.wixsite.com

Bibliografia

– Giannino Angeli, Viva l’Italia libera! (1943-1945). (Storia, memorie, testimonianze dei tempi di guerra nel Comune di Tavagnacco), Comune di Tavagnacco (UD), Comitato per il 50° anniversario della Liberazione, 1994.

– Roberto Castenetto, “Pier Paolo Pasolini e la morte del fratello Guido ‘Martire Cristo”, in: Roberto Volpetti, I Pasolini Guido e Pier Paolo resistenza e libertà, Udine, Associazione Partigiani Osoppo, 2023.

– Primo Cresta, Un partigiano dell’Osoppo al confine orientale, Udine, Del Bianco, 1969.

– Giampaolo Gallo, La Resistenza in Friuli 1943-1945, Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, Udine, 1988.

– Aldo Moretti, “La ‘questione nazionale’ del Goriziano nell’esperienza osovana (1943-1945)”, in: Aa. Vv., I cattolici isontini nel XX secolo. il Goriziano fra guerra, resistenza e ripresa democratica (1940-1947), Gorizia 1987, pp. 187-199.

– Fabio Verardo, I processi per collaborazionismo in Friuli. La Corte d’Assise Straordinaria di Udine (1945-1947), Milano, Franco Angeli, 2018.

– Maria Grazia Ziberna, Storia della Venezia Giulia da Gorizia all’Istria dalle origini ai nostri giorni, Gorizia, Lega nazionale, 2013.

Modifiche del 2.12.2023Saggio di: Elio Varutti, Docente di “Sociologia del ricordo. Esodo giuliano dalmata” – Università della Terza Età, Udine. Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Bruno Bonetti, Sergio Satti (ANVGD di Udine), Enzo Faidutti e il professore Stefano Meroi. Per i suggerimenti bibliografici si ringrazia l’architetto Franco Pischiutti (ANVGD di Udine). Grazie a Giuseppe Bertoldi, figlio di Igino. Copertina: Sergio Pacori, Crocifissione con la Madonna e Maria di Cleofa, scultura con residuati bellici, cm 140 x 70,  peso 80 kg, 2011 ca. Collezione dell’Artista, che si ringrazia per la gentile concessione alla pubblicazione del 24 novembre 2023. Immagine qui sotto.

Fotografie dalle fonti citate. Adesioni al progetto: Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine, ANVGD di Arezzo. Per la cortese collaborazione riservata si ringraziano gli operatori e le direzioni delle seguenti biblioteche di Udine: Civica “Vincenzo Joppi”; Biblioteca del Seminario Arcivescovile “Pietro Bertolla”; Biblioteca dell’ANVGD; Biblioteca della Società Filologica Friulana e Biblioteca “Renato Del Din” dell’Associazione Partigiani Osoppo-Friuli; Biblioteca dell’Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione.

Parlano le maestre Carmignani e Stoppielli, delle scuole elementari al Centro profughi di Laterina, 1956

Era tutto un modo diverso di fare scuola – ha raccontato la maestra Emilia Carmignani – avevo bambini dell’Istria, Fiume e Dalmazia, che parlavano in dialetto, se non in croato e ricordo che ho avuto degli scolari che parlavano arabo, poiché le loro famiglie erano state espulse dalla Libia, tutti destinati al Centro raccolta profughi di Laterina (Crp)”. Ricorda qualche collega di lavoro?

Certo, oltre alla maestra Giuliana Stoppielli, che è qui vicino a me, venuta a farmi visita – ha risposto – in questa giornata dei ricordi organizzata da Claudio Ausilio, esule di Fiume e delegato provinciale dell’Associazione degli esuli in Arezzo, poi c’era il Direttore didattico Scala e con grande affetto ricordo la maestra Pasqua Sponza Benvegnù e la sua famiglia di Rovigno”.

Nella foto qui sotto: la maestra Emilia Carmignani, a sinistra, suo marito, Impero Nocentini e la maestra Giuliana Stoppielli, collega della Carmignani al Crp di Laterina. Foto di Claudio Ausilio, 25 ottobre 2022.

Cosa pensa dei suoi scolari al Crp di Laterina? “Ho insegnato per tre anni scolastici nel Campo profughi – ha replicato la Carmignani – era dura, ma se la sono cavata, avevamo i banchi e pochi materiali scolastici, del resto ‘sti bambini con gli jugoslavi che c’avevano a che fare?”. Come si recava al lavoro fino nel Crp?

Con il treno da Montevarchi fino a Laterina stazione – ha aggiunto – poi con un pullman, oppure a piedi”.

Chiedo ora al signor Impero Nocentini di raccontare la sua storia. “Oltre che marito della maestra Emilia Carmignani – ha detto Nocentini – nella provincia di Arezzo ero l’unico titolare di azienda di fotografia a 16 anni”. È vero che faceva le fotografie nel Campo profughi?

Sì, per le prime comunioni, per le visite delle autorità civili o religiose – ha aggiunto Nocentini – ho lavorato dal 1954 al 1977; l’intestazione della mia ditta era: Foto Impero. Arrivavo con la motocicletta in Campo profughi, facevo un bel po’ di scatti fotografici, sviluppavo in studio e stampavo le fotografie, che portavo nel Crp dandole al signor Duca, titolare dello spaccio interno, così lui che conosceva molti profughi, provvedeva a consegnarle per una giusta somma. Poi mi sono diplomato in Ottica ad Arcetri (FI). Così dal 1978 al 2005 ero titolare del negozio di “Ottica Impero” a Terranuova Bracciolini (AR), poi è arrivata la pensione”.

Si ricorda che Giuliana Stoppielli, insegnante aretina della 3^ classe elementare nel Crp di Laterina, scrive nel suo registro nell’anno scolastico 1956-1957: “Sono piccoli uomini e brave donnine, che guardano già all’avvenire con una certa serietà e che, per la loro esperienza o per l’esperienza dei genitori, mostrano di valutare in pieno quel senso di italianità per il quale hanno accettato di vivere miseramente al campo”. Verso la metà di febbraio la classe deve fare lezione nel pomeriggio, poiché ci sono troppi iscritti nella scuola del Crp; bisogna fare i turni. A marzo molti pargoli si ammalano di morbillo. Poi si legge che: “Ancora una volta durante il mese di aprile 1957 abbiamo dovuto abbandonare la nostra aula, ci siamo trasferiti in quella del M.o [Maestro] Alfieri, poiché la nostra ha dovuto accogliere i bambini della signora Stifanich che stanno diventando molto numerosi” (p. 21).

Foto sotto: disegno e dettato di Emilia Ussich, scolara al Crp di Laterina, con la firma della maestra Pasqua Sponza in Benvegnù. Collezione Privata, Arezzo.

La classe 4^ elementare della maestra Carmignani

Dal Registro della classe 4^ traspaiono analoghi commenti a quelli riportati poco sopra. È la maestra Emilia Carmignani, di Terranuova Bracciolini (AR), a scrivere che i suoi alunni sono “pieni di entusiasmo e di buona volontà” (p. 17 del Registro). Hanno poche suppellettili scolastiche. Il libro arriva il 27 gennaio 1957 e “i ragazzi sono tanto contenti e vorrebbero studiarlo tutto insieme”. Il disagio vissuto dai profughi assiepati nelle baracche di Laterina, tuttavia, si fa sentire. Il 22 febbraio la maestra scrive di dolersi per l’assenza di un suo alunno, il cui babbo ubriacatosi, ha picchiato la moglie e, poi, ha tentato il suicidio; conclude così: “chiederò consiglio all’assistente sociale”. Il 15 marzo c’è il visto dell’Ispettrice Olga Raffaelli. Alla fine dell’anno sono 17 gli ammessi all’esame, dei quali 9 sono le femmine, in maggioranza; evidentemente vari scolari sono stati trasferiti.

L’elenco dei 23 alunni della classe 4^ risulta da due registri didattici, a causa dei nuovi arrivi e dei trasferimenti di alunni; si è effettuato inoltre un confronto con l’Elenco alfabetico profughi giuliani e con altre fonti per l’assegnazione della località dal nominativo di Basso in poi, considerata la carenza di dati nei registri scolastici. Ecco la classe 4^: Brachitta Stella, Tripoli, trasferita a Perugia; Benci Maria Luisa, Pola, trasferita a Roma; Bertoldi Benito, Asmara (Eritrea), trasferito; Cernaz Virgilio, Dignano d’Istria (PL), trasferito a Cremona; Minissale Mario, Neresine (PL), trasferito a Firenze; Moisei Giuseppe, Visinada (PL), trasferito a Novara; Sauer Mirella, Pola, trasferita a Serravalle Sesia (VC); Scocco Liliana, Pola, trasferita a Ravenna; Trillo Domenico, Tripoli, trasferito a Monteverdi Marittimo (PI); Trillo Giovanni, Tripoli, trasferito a Monteverdi Marittimo (PI); Vescovi Maria, Pola, trasferita a Genova; Vescovi Paolo, Pola, trasferito a Genova; Basso Claudio, Pola; Creglia Gian Pietro, Barbana (PL) trasferito a Roma; Priletti Anna Maria, s.l.; Ghini Antonio, s.l., ma cognome di Capodistria; Marcetta Bruna, Fiume, trasferita a Bergamo; Brenco Nadia, trasferita a Firenze (cognome di Pola); Bulessi Claudio, Pola; Blecich Liliana, Fiume; Isera Albino, Sanvincenti (PL); Valle Graziella, Castelnuovo d’Istria (FM); Visintini Santina, Torre di Parenzo (PL). Come si può notare la maggioranza degli scolari è della provincia di Pola (65,2%), seguiti da quelli di Fiume (13%), di Tripoli (13%) ed altro.

Qui sotto: Dettato e disegno di Violetta Canaletti, scolara al Crp di Laterina, Collezione privata, Arezzo.

Commenti di Claudio Ausilio

Durante l’intervista collettiva – ha detto Claudio Ausilio – voglio segnalare che, fra i tanti loro ricordi emersi alle maestre Carmignani e Stoppielli, ce n’era uno molto affettuoso per la maestra Sponza Pasqua in Benvegnù con la sua famiglia, che ho portato a conoscenza a Pier Michele Benvegnù, suo figlio che abita a Firenze e che è rimasto piacevolmente colpito. Poi mi dispiace molto che l’archivio fotografico di Impero Nocentini non sia stato conservato, sarebbe stato assai importante per la storia del Crp di Laterina”. C’è qualcos’altro da aggiungere?

Certo, il signor Giovanni Trillo, già scolaro in Crp, che oggi vive in provincia di Pisa, come da suo desiderio – ha concluso Claudio Ausilio – ha tenuto un lungo colloquio telefonicamente con la sua maestra degli anni ‘50 Emilia Carmignani, è stato molto commovente assistere a quell’incontro tra uno scolaro oggi ultrasettantenne e la sua insegnante del tempo”.

Fonti orali – L’intervista telefonica collettiva alle seguenti persone si è svolta il 25 ottobre 2022 con contatti preparatori di Claudio Ausilio. Ringrazio tutti gli interessati.

– Claudio Ausilio, Fiume 1948, esule a Montevarchi (AR), messaggi e-mail del 26 ottobre 2022.

– Emilia Carmignami, Terranuova Bracciolini (AR) 1935, vive a Loro Ciuffenna (AR).

– Impero Luigi Nocentini, San Giustino Valdarno, frazione di Loro Ciuffenna (AR) 1938.

– Giuliana Stoppielli, Terranuova Bracciolini (AR) 1933.

Fonti archivistiche

Premesso che potrebbero esserci alcuni errori materiali di scrittura, ecco i testi della ricerca presente; i materiali sono stati raccolti da Claudio Ausilio, dell’ANVGD di Arezzo.

– Comune di Laterina (AR), Elenco alfabetico profughi giuliani, 1949-1961, ms.

Presso l’Istituto Comprensivo “Francesco Mochi” di Levane (AR) da Claudio Ausilio sono stati consultati i seguenti documenti:

– Provveditorato agli studi di Arezzo, Comune di Laterina, Circolo Didattico di Montevarchi, Frazione C.R.P., Scuola Elementare Laterina C.R.P., Registro della classe 4^ mista, insegnante Emilia Carmignani, anno scolastico 1956-1957, pp. 23+10, stampato e ms.

– Provveditorato agli studi di Arezzo, Comune di Laterina, Scuole elementari, Circolo Didattico di Montevarchi, Scuola Elementare C.R.P., Registro della classe 3^ mista, insegnante Giuliana Stoppielli, anno scolastico [1956-1957], pp. 30, stampato e ms.

Collezioni familiari

  • Claudio Ausilio e Archivio ANVGD di Arezzo, fotografie.
  • Emilia Carmignani, Loro Ciuffenna (AR), fotografia.
  • Collezione privata, Arezzo, disegni e temi di scolari.

Foto sopra: Emilia Carmignani e Impero Nocentini negli anni ’50. Collezione di Emilia Carmignani.

Bibliografia

– GIULIANA PESCA – SERENA DOMENICI – GIOVANNI RUGGIERO, Tracce d’esilio. Il C.R.P. di Laterina 1948-1963. Tra esuli istriano-giuliano-dalmati, rimpatriati e profuganze d’Africa, Città di Castello (PG), Biblioteca del Centro Studi “Mario Pancrazi”, Edizioni NuovaPrhomos, 2021.

– ELIO VARUTTI, La patria perduta. Vita quotidiana e testimonianze sul Centro raccolta profughi Giuliano Dalmati di Laterina 1946-1963, Firenze, Aska, 2021. Dal mese di ottobre 2022 anche in formato e-book.

Ringraziamenti

La redazione del blog per l’articolo presente è riconoscente al signor Claudio Ausilio, esule da Fiume a Montevarchi (AR), socio dell’ANVGD provinciale di Arezzo, per aver fornito con la consueta cortesia i materiali per la ricerca presso l’Archivio del Comune di Laterina e di Levane (AR), andando a incrementare una tradizionale e collaudata collaborazione con l’ANVGD di Udine. Oltre alle fonti orali, si ringraziano gli operatori e le autorità del Comune di Laterina e dell’Istituto Comprensivo “Francesco Mochi” di Levane (AR), per la collaborazione riservata all’indagine storica.

Testi di Elio Varutti. Ricerche di Claudio Ausilio e E. Varutti. Networking a cura di Girolamo Jacobson, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Claudio Ausilio, Marco Birin. Copertina: Il seminatore, disegno di Renata Blasich, scolara al Crp di Laterina, 1957, Collezione privata, Arezzo. Altre fotografie da collezioni citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30.  Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vicepresidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web:  https://anvgdud.it/

Zio Tita con 13 ferrovieri fucilati dai titini a Cossana, S. Pietro del Carso (TS) 26 aprile 1944

“Mio zio era con dei semplici ferrovieri della Sottostazione delle Ferrovie dello Stato di San Pietro del Carso – ha detto Elio Miani – circondario di Postumia, provincia di Trieste dal 1918 al 1947”. I partigiani titini, nel 1944, li hanno sequestrati e fucilati a Cossana, in sloveno Košana, una frazione di San Pietro del Carso, il giorno dopo della cattura, come riporta il giornale «La Voce Libera» di Trieste del 26 aprile 1949. I suddetti ferrovieri erano in gran parte triestini e friulani. I comunisti ne salvarono solo uno, di origine slava. Fu pulizia etnica? Tra l’altro, la redazione de «La Voce Libera» viene assalita da un’orda di titini il 1° luglio 1946, durante gli incidenti filo-slavi per impedire il Giro d’Italia, mentre da un camion di soldati jugoslavi è stata lanciata una bomba a mano contro manifestanti italiani, ferendo cinque persone, come ha scritto Mauro Dall’Aquila.

“Mio zio era l’unico figlio maschio, si chiamava Giovanni Battista Morandini, nato il 15 dicembre 1923 a Reana del Rojale (UD), detto Tita, era un civile – ha aggiunto Elio Miani, nipote del disperso – lavorava in una squadra di altri tredici ferrovieri a San Pietro del Carso, perché c’erano stati attentati sui binari, quando fu bloccato dai partigiani e portato via, non è stato più ritrovato; verso gli anni ’70 a Trieste ci fu una cerimonia per tutti quei caduti con un cipresso dedicato ad ognuno di loro, poi non si è saputo più nulla”. L’alpino Gio.Batta Morandini, come è segnato nel Foglio matricolare del Distretto militare di Udine, dopo lo sbandamento seguito all’armistizio dell’8 settembre 1943, viene “prelevato da partigiani sloveni in S. Pietro del Carso mentre procedeva alla riparazione della linea di alta tensione in servizio alle dipendenze della I.E.S. di Trieste per conto delle FF.SS. il 26.4.1944. Tale dichiarato disperso dal 26.4.1944. Rilasciato verbale di irreperibilità dal Comando Distretto Militare di Udine il 5 novembre 1948. Verificato e parificato il 16.6.1982. Firmato: Tenente colonnello Ernesto Caiazza”.

Cartolina di Cossana Inferiore, editore A. Cadel, Trieste 1942, viaggiata per Cervignano, UD

Dopo la Seconda guerra mondiale la località di San Pietro del Carso è annessa alla Jugoslavia di Tito. Dal 1991 è parte della Slovenia. Sotto l’Austria si chiamò pure Šent Peter na Krasu, oppure  Sv. Peter na Kranjskeme, o con il toponimo tedesco di Sct. Peter. Nel 1952, in seguito all’emanazione della legge toponomastica jugoslava prescrivente la rimozione dei toponimi di origine religiosa, il comune assunse la denominazione di: Pivka.

Il 26 aprile 1944 la squadra di ferrovieri col capotecnico si era recata in automezzo lungo la linea elettrica primaria per normali lavori di revisione. Come scrive «La Voce Libera» un “forte nucleo di partigiani sloveni armati” li ferma, li cattura e, il giorno dopo, li passa per le armi, senza processo. I loro resti umani stanno forse in una fossa comune. Ecco i loro nomi: “Orlando Marri, di anni 41, Rino Bandiziol, 28, Eugenio Malvassori, 37, Michele Cerullo, 35, Giuseppe Dell’Ernia, 31, Rinaldo Cerato, 26, Giovanni Morandini, 21, Pietro Sgobba, 26, Angelo Gregorini, 24, Alfredo Degano, 30, Ermenegildo Job, 20, Fernando De Salpi, 20 e, imprigionato giorni prima, Rodolfo Galavotti, di anni 41”.

L’unico operaio di origine slovena era tale Francesco Kalusa, di San Pietro del Carso, che viene salvato e liberato dai titini, perché vada a spargere il terrore. Egli il giorno dopo rientra in Sottostazione e racconta l’accaduto, senza dare notizie sulla sorte riservata ai suoi compagni di lavoro. Il Kalusa nel 1949 è alle dipendenze delle ferrovie jugoslave. Quasi tutti gli ammazzati hanno lasciato moglie e bambini in tenera età.

È lo stesso giornalista autore dell’articolo su «La Voce Libera», nel 1949, ad adombrare l’ipotesi della pulizia etnica, o di un razzismo anti-italiano, da parte dei partigiani sloveni, quando sostiene che: “Si deve rilevare che aver lasciato libero l’unico operaio d’origine slovena dimostra che tale massacro venne eseguito solo per il fatto che quei poveri ferrovieri erano tutti d’origine italiana, né agli stessi si poteva imputare qualsiasi attività politica in quanto esplicavano solamente la lor mansione di ferrovieri e null’altro”. All’indomani mattina, il 27 aprile 1949, fu celebrata una santa messa nella chiesa di S. Antonio Nuovo nel quinto anniversario della barbara eliminazione per iniziativa dell’Associazione partigiani italiani – Gruppo ferrovieri di Trieste. La ricerca di informazioni sulle salme degli sventurati fu condotta dalla Croce Rossa, ma con esito negativo. Sono state certe persone residenti a San Pietro del Carso a dare qualche notizia sull’eccidio di Cossana, secondo «La Voce Libera».

Parte iniziale del Foglio matricolare dell’alpino Gio.Batta Morandini. Collez. Elio Miani, Cividale del Friuli

L’Organizzazione Todt dei nazisti – Gli attentati e i sabotaggi partigiani contro le infrastrutture si ripetevano sempre più minacciosi. È successo che a Prosecco (TS), il 28 maggio 1944, in seguito ad un attacco partigiano ai baraccamenti della Organizzazione Todt, impresa di costruzioni operante nella Germania nazista e in tutti i paesi occupati dalla Wehrmacht, le Waffen SS impiccano dieci operai che durante l’operazione avevano assunto un atteggiamento ritenuto sospetto, come riferito dall’ANPI. Erano gli stessi agenti dell’OZNA, il servizio segreto titino, a spingere i giovani con sentimenti partigiani a farsi arruolare nella Todt, per motivi di spionaggio e per rubare l’esplosivo per futuri attentati, come ha accennato Enzo Bertolissi.

Il massacro di Cossana ha coinvolto operai civili, essi non erano militari. Non compaiono in elenchi di deportati o di reclusi dai titini. Solo Giovanni Battista Morandini, Alfredo Degano, Pietro Sgobba e Michele Cerullo fanno parte dell’Elenco “Livio Valentini”, come civili. Alcuni di loro erano dipendenti privati della I.E.S. di Trieste (Impianti elettrici e servizi).

I Battaglioni Ferrovieri – Nell’Esercito italiano oltre al Reggimento Genio Ferrovieri, sorto sin dal 1859, esistevano altri reparti operativi, ad esempio, dalla metà della Seconda guerra mondiale con gli alleati. Nel nord occupato dai nazisti c’era la Todt. “Infatti un Ispettorato Truppe Ferroviarie Mobilitate, retto nel 1943 dal generale Giuseppe Perotti – come ha scritto Piero Crociani – aveva affiancato agli altri reparti del Genio Ferrovieri, impegnati soprattutto all’estero al seguito delle truppe operanti, due Raggruppamenti Genio Ferrovieri, che coordinavano l’opera di compagnie Ferrovieri di Lavoro e di sezioni militari di esercizio – inquadrati in “Battaglioni Ferrovieri” – spostati e frazionati in tutta Italia a seconda delle necessità”. Vedi: P. Crociani, “L’esercito nella ricostruzione. Un esempio: l’apporto per la rimessa in efficienza delle ferrovie”  (p. 112).

I reparti ferrovieri del Regno del Sud e nelle zone liberate dipendono, per l’impiego, dal Military Railway Service alleato nel 1944. Essi erano impiegati nella riparazione delle linee, non nel loro esercizio, lasciato al personale delle Ferrovie dello Stato. Con la fine della guerra i dirigenti delle Ferrovie avevano potuto rendersi conto della situazione e formulare dei programmi per la ricostruzione delle linee di trasporto, come ha spiegato Crociani. Ciò avvenne anche grazie alle 315 locomotive e 22mila autocarri donati all’Italia dall’esercito USA, come ha scritto il quotidiano «Libertà» del 18 agosto 1945.

Titini a Cividale – Gli storici più accreditati hanno spiegato che l’occupazione titina si è svolta a Trieste, Gorizia e Monfalcone il 1° maggio 1945. Per 40 giorni militi jugoslavi prelevano dalle case i cittadini italiani, in media cento al giorno, pochi fascisti o collaborazionisti, ma molti Combattenti della Guerra di Liberazione, per eliminare ogni opposizione a Tito. Pochi fanno rientro a casa. Lo stesso accade a Cividale del Friuli, il paese di Gio.Batta Morandini, invaso pure dagli alleati. Gli storici hanno dimenticato questa invasione slava. “Alla porta del mercato, di buon mattino – ha scritto Antonio Rieppi su «Libertà» del 31 luglio 1946 – con numerosi carrozzoni, sono arrivati anche i partigiani di Tito che hanno occupato Casa Zorutti, il Liceo Ginnasio e il Palazzo Accordini dove hanno insediato un comando ed esposta la bandiera jugoslava”. I partigiani occupano pure il Municipio, esponendo la stessa bandiera di Tito. Per fortuna c’erano pure quella inglese e americana, così i titini non ebbero il campo libero per abbattere altri italiani. C’erano troppi carri armati degli alleati e i fazzoletti verdi della Osoppo.

Cartolina di Cividale del Friuli, editore Muner Giuseppe di Cividale del Friuli, attivo nella metà del Novecento. Fondo cartoline della Società Filologica Friulana, Udine

Fonti orali e ringraziamenti – Le interviste sono state condotte a Udine da Elio Varutti con penna, taccuino e macchina fotografica. Si ringraziano i seguenti signori e i dirigenti ed operatori dell’Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione di Udine e della Società Filologia Friulana per la collaborazione alla ricerca.

Enzo Bertolissi, Prosecco (TS) 1937, esule a Tarvisio (UD), int, del 6 settembre 2018, del 29 luglio e 5 agosto 2020.

Elio Miani, Cividale del Friuli (UD) 1953, int. del 20 settembre 2021 ed email del 27 settembre 2021.

Documenti originali – Opera Nazionale Caduti senza Croce, Caduti infoibati o diversamente massacrati in tempo di guerra, provincia di Udine, documento in Word, p. 7.

Regio Esercito Italiano, Distretto militare di Udine, Foglio matricolare e caratteristico di Morandini Gio Batta, 16 giugno 1982. Collez. Elio Miani, Cividale del Friuli, stampato e ms.

Bibliografia e sitologia

“14 ferrovieri massacrati dai partigiani sloveni”, «La Voce Libera», Trieste, 26 aprile 1949. Collez. Elio Miani, Cividale del Friuli.

“22mila autocarri e 315 locomotive verranno consegnati all’Italia come residuati bellici americani”, «Libertà» organo del CLN della provincia di Udine, 18 agosto 1945, p. 1.

Amleto Ballarini, Giovanni Stelli, Marino Micich, Emiliano Loria, Venezia Giulia, Fiume e Dalmazia. Le foibe, l’esodo, la memoria, Roma, Associazione per la Cultura Istriana, Fiumana Dalmata nel Lazio, 2015.

Piero Crociani, “L’esercito nella ricostruzione. Un esempio: l’apporto per la rimessa in efficienza delle ferrovie” , in Romain H. Rainero, Paolo Alberini (a cura di), Le Forze Armate e la nazione italiana (1944-1989), Atti del Convegno di studi tenuto a Bologna nei giorni 27-28 ottobre 2004, Roma, 2006.

Mauro Dall’Aquila, “Vivissima reazione del popolo triestino all’inconsulta aggressione ai corridori del Giro d’Italia”, «Libertà», Udine, 2 luglio 1946, p. 1.

Elenco “Livio Valentini”, caduti della R.S.I., on line nel web.

Antonio Rieppi, “La liberazione di Cividale (Dal mio diario)”, «Libertà», Udine, 31 luglio 1946, p. 3.

Elio Varutti, Mio fratello nelle foibe istriane con gli Inglesi a esumar salme, on line dal 5 agosto 2020 su  varutti.wordpress.com

Interviste di Elio Varutti, Docente di “Sociologia del ricordo. Esodo giuliano dalmata” – Università della Terza Età, Udine. Networking e ricerche a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Elio Miani e professor Enrico Modotti. Collaborazione di Annalisa Vukusa, Gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine, coordinato dal professor Elio Varutti. Adesioni al progetto: Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine. Fotografie della collezione di Elio Miani, Cividale del Friuli e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – I piano, c/o ACLI – 33100 Udine – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

Visita a Pola del sindaco di Laterina con Gualtiero Mocenni, esule nel 1956 al Campo profughi aretino

“Ecco come la storia personale di una famiglia di artisti, di veri maestri, diventa anche storia di un pezzo di Italia che Italia non è più”. Così si è espressa l’ingegnere Simona Neri, sindaco di Laterina Pergine Valdarno (AR), in visita a Pola, in Istria, il 12 agosto 2021. Le hanno fatto da ciceroni i Maestri scultori Gualtiero e Simone Mocenni, padre e figlio, che hanno tanto amore per l’Istria, terra natale di Gualtiero, esule nel 1956 nel Centro raccolta profughi di Laterina.

Il sindaco Simona Neri si trovava in vacanza in Istria e nel resto della Croazia. A metterli in contatto è stato il comune amico Claudio Ausilio, un fiumano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Delegazione Provinciale di Arezzo, da tempo impegnato nel ricostruire la memoria dei difficili anni del Crp di Laterina, attivo ufficialmente dal 1948 al 1963. Nelle baracche di quel Crp sono passati oltre 10mila profughi d’Istria, Fiume e Dalmazia, assieme agli italiani espulsi dal Dodecaneso, dalle ex colonie africane e da certi paesi della storica emigrazione italiana, come la Romania e la Tunisia.

Pola, agosto 2021, Simona Neri, sindaco di Laterina Pergine Valdarno con gli scultori Mocenni, a sinistra, vicino alla scultura di Gualtiero Mocenni, I quattro elementi, 1990, cemento bianco altezza mt.10.

“Tra le tante cose che ha fatto nella vita Gualtiero Mocenni – ha aggiunto Simona Neri – c’è quella di essere stato ospite al Crp di Laterina e tanti sono gli aneddoti che ha raccontato, uno per tutti: la richiesta da parte di un negoziante di un dipinto raffigurante il paese in cambio di un paio di scarpe”. Ciò a dimostrazione di una certa integrazione sociale tra profughi e paesani verificatasi sin dagli anni ‘50.

Gualtiero Mocenni (pittore e scultore) e il figlio Simone (non solo pittore e scultore, ma anche poeta e scrittore) sono presenti con le proprie opere nelle più grandi gallerie d’arte mondiali e hanno partecipato a decine di simposi di scultura internazionale; le loro opere si trovano in più di 70 piazze di città di tutto il mondo.

Stando sul tema dell’esodo giuliano dalmata nel mese di luglio 2021 il sindaco Simona Neri ha espresso un giudizio lusinghiero sul libro “Tracce d’esilio. Il Crp di Laterina 1948-1963 tra esuli istriano giuliano dalmati, rimpatriati e profuganze d’Africa”, scritto a più mani da Giuliana Pesca, Serena Domenici e Giovanni Ruggiero.

Pola 2021, lo scultore Gualtiero Mocenni mentre riguarda una delle opere

Bibliografia

Giuliana Pesca – Serena Domenici – Giovanni Ruggiero, Tracce d’esilio. Il C.R.P. di Laterina 1948-1963. Tra esuli istriano-giuliano-dalmati, rimpatriati e profuganze d’Africa, Città di Castello (PG), Biblioteca del Centro Studi “Mario Pancrazi”, Edizioni NuovaPrhomos, 2021.

E. Varutti, La patria perduta. Vita quotidiana e testimonianze sul Centro raccolta profughi Giuliano Dalmati di Laterina 1946-1963, Firenze, Aska, in fase di pubblicazione.

Sitologia sugli scultori Mocenni   

https://eliovarutti.wordpress.com/tag/gualtiero-mocenni/

https://www.enciclopediadarte.eu/scheda-mobile.asp?id=836

https://www.enciclopediadarte.eu/scheda-mobile.asp?id=837

Progetto e attività di ricerca: Claudio Ausilio, ANVGD di Arezzo. Testi di Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking a cura di Girolamo Jacobson, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Foto di copertina: Gualtiero Mocenni, Monumento alla città di Pola, 1979, ferro, mt. 7x7x7. Il sindaco di Laterina Pergine Valdarno, Simona Neri, vicino all’autore della scultura e al figlio Simone Mocenni in una foto a Pola nel 2021. Lettori: Simona Neri, Claudio Ausilio e Stefano Mocenni. Adesioni al progetto: Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine. Fotografie della collezione di Simona Neri e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine.  – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30.  Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.  

Capi partigiani slavi in Friuli, Veneto e nella Venezia Giulia. Misteri Ozna

Pochi studiosi hanno notato che a comandare certe formazioni partigiane nel Nord-Est dell’Italia siano stati degli slavi. Alcuni storici della Resistenza hanno fatto passare tale fatto rientrante nello spirito internazionalista proletario. È proprio vero? Oppure c’era qualche piano segreto iugoslavo nazionalista per impossessarsi di altre terre, oltre all’Istria, a Fiume e a Zara? È dal Trattato di pace di Rapallo (1920) e atti seguenti che tali zone facevano parte dell’Italia, in seguito alla Prima guerra mondiale e all’Irredentismo, che sin dall’Ottocento riscaldò gli animi sulla costa orientale del Mare Adriatico. Il fascismo finì per intorbidire le acque con l’italianizzazione forzata (già sbandierata ai tempi dell’Italia liberale, 1866), le leggi razziali (1938), l’invasione della Jugoslavia (1941) e con la creazione dei Campi di concentramento di Arbe e di Gonars (UD) per internati sloveni e croati. A rimetterci furono gli italiani d’Istria, Fiume e Dalmazia, che pagarono con i loro beni economici i danni della Seconda guerra mondiale persa da tutta l’Italia fascista. Il punto massimo delle tensioni nelle terre perdute fu raggiunto con l’uccisione di italiani nelle foibe da parte dei miliziani di Tito (1943-1945) e con l’esodo giuliano dalmata (1943-1963) di 350mila profughi. Certi storici sostengono che furono solo 280-300mila gli italiani in fuga dalle grinfie di Tito e che l’esodo durò sino al 1956, mentre altri studiosi (Patrizio Zanella e Andrea Romoli) datano la conclusione del fenomeno agli anni ’60, se non intorno al Trattato di Osimo (1975) che sancì i confini definitivi tra Italia e Jugoslavia, in mezzo ad una vasta messe di polemiche.

Dopo la Caduta del Muro di Berlino (1989) e venendo meno lo scontro ideologico della Guerra fredda cominciò a vacillare la lettura storica generale offerta dopo il 1945. Claudio Pavone, col suo Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, nel 1991, mette sulla scena i temi riguardanti l’etica della Resistenza, con le fucilazioni attuate persino nel dopoguerra. Oggi ci sono alcuni storici e certi giornalisti d’indagine che intravvedono la longa manus dell’Ozna, il servizio segreto di Tito, nel piazzare il più possibile comandanti partigiani iugoslavi a capo delle bande partigiane in Friuli, Veneto e nella Venezia Giulia. È solo un mistero dell’Ozna?

La “Odeljenje za Zaštitu Naroda” (Ozna) è la sigla che significa: Dipartimento per la Sicurezza del Popolo. C’è una seconda versione che così spiega la sigla: “Oddelek za zaščito naroda”; letteralmente: Dipartimento per la protezione del popolo. Era parte dei servizi segreti militari iugoslavi e fu attiva dal 1944 fino al 1952. L’organizzazione titina, programmata da Tito e Milovan Gilas, era dotata di carceri proprie e attuava requisizioni, vessazioni ed addirittura ha programmato la pulizia etnica a Pola contro gli italiani. La pianificazione delle uccisioni di italiani in Istria, Fiume e Dalmazia per mano titina è stata documentata da Orietta Moscarda Oblak a pp. 57-58 di un suo saggio. Agenti dei servizi segreti di Tito negli anni ‘50 si infiltrano perfino nei Centri raccolta profughi (Crp) sparsi in Nord Italia e a Roma per carpire notizie sui rifugiati e per altre operazioni di stampo terroristico nelle città. Dal 1946 al 1991 la polizia segreta della Repubblica Federale Socialista di Jugoslavia diviene “Uprava državne bezbednosti/sigurnosti/varnosti” o Udba; letteralmente: “Amministrazione Sicurezza Statale”.

I Reparti per la difesa del popolo, ossia gli agenti dell’Ozna, agiscono autonomamente dal Fronte di Liberazione sloveno (Osvobodilna Fronta) e dai militari del IX Corpus dell’Esercito popolare di Liberazione iugoslavo (in sloveno, Novj=Narodnoosvobodilna vojska in partizanski odredi Jugoslavije). Tutti i membri dell’Ozna provengono dalle file del Partito Comunista Iugoslavo, come voluto da Tito e da Aleksandar Ranković, uno dei suoi più fidati collaboratori. L’organizzazione dell’Ozna è istruita da esperti sovietici, per trasformarla in un’efficiente strumento di repressione alle dipendenze di Belgrado. I suoi addetti giungono a Fiume, Gorizia, Pola e Trieste con le liste di proscrizione già preparate nei mesi precedenti su segnalazione di attivisti locali, includendo tutti coloro che potessero essere pericolosi per il nuovo potere: membri di unità armate, civili ritenuti fascisti o collaborazionisti e recalcitranti all’occupazione slava delle città italiane. Gli attivisti locali dell’Ozna sono suddivisi per comitati rionali; alcuni di essi sono stati appena trasferiti dall’interno iugoslavo. Sono tutte spie dell’Ozna, esperte in armi ed esplosivi. Agli arresti da parte titina seguono le eliminazioni nelle foibe, o l’internamento nei Campi di concentramento iugoslavi, come quello di Borovnica, presso Lubiana. Per esempio nel capoluogo giuliano è citato El Triestin Ceccalin antifascista comunista e spia dell’Ozna, secondo i messaggi in Facebook di S. Ser., di Parenzo del 24 ottobre 2020.

Secondo le ricerche di Nevenka Troha a Lubiana, dove peraltro non esistono archivi centrali dell’Ozna (qualcosa è rintracciabile altrove, o a Belgrado), tra il 4 e l’8 maggio 1945, nell’odierna provincia di Trieste vengono uccise, o gettate nelle foibe, o muoiono in prigionia 582 persone, delle quali il nucleo forte è dato da guardie di finanza, poliziotti, militi della RSI, membri della Milizia di difesa territoriale, o della Guardia Civica, come ha riferito, nel 1995, Joze Pirjevec, citato in bibliografia.

La guerra partigiana in Jugoslavia inizia alla fine di aprile 1941. La struttura di guerriglia si dota ben presto di un servizio segreto, il Vos. La sigla Vos si esplica così: Varnostno Obvasovalna Služba – Servizio informazioni della difesa. È proprio il Vos che organizza una rappresaglia partigiana contro i paesani di Circhina (provincia di Gorizia), accusati di fiancheggiare i nazisti. Il 3 febbraio 1944 agenti del Vos fucilano e gettano nella foiba 15 abitanti di Circhina, per vendicare 48 vittime partigiane dei nazisti. In sostanza i nazisti, il 27 gennaio 1944 a Circhina, sparando anche dal campanile, massacrano 48 partigiani su 109 corsisti ospitati in zona per frequentare un corso del partito comunista per futuri ufficiali dell’Esercito di Liberazione Jugoslavo. C’è però un sopravvissuto, Giuseppe Baucon, che racconta tutto. Pur ferito duramente, egli riesce a risalire dalla piccola foiba, come dichiarò ai discendenti. Tra i fucilatori del Vos ci sono pure “alcuni commercianti comunisti invidiosi dei successi di Giuseppe Baucon nel commercio”, come sostengono i suoi familiari e discendenti (vedi: E. Varutti, Giuseppe Baucon, di Gradisca, salvatosi dalla fucilazione titina  e dalla foiba a Circhina nel 1944).

Maria Iole Furlan, Nazisti fucilatori a Cividale 1944, fotocopia colorata da un’immagine diffusa nel web, cm 20,5×29, 2021. Fonte e didascalia dell’Archivio ANPI: I comandanti del plotone corazzato del Karstjäger di stanza a Cividale del Friuli, SS Oberscharführer Cavagna, tedesco nonostante il nome; gli SS Unterscharführer Dufke e Walter, posano davanti a un carro armato P40 nella caserma “Principe di Piemonte”. Fonte dell’immagine: http://beutepanzer.ru/Beutepanzer/italy/tanks/P40/p40-1.htm

Ritornando a Milovan Gilas si ricorda che, processato e incarcerato da Tito, dal 1954 al 1966, come dissidente lo stesso Gilas, nel 1991, riguardo all’Istria del 1945-‘46, dichiarò al giornalista Alvaro Ranzoni, del settimanale italiano «Panorama»: “Gli italiani erano la maggioranza solo nei centri abitati e non nei villaggi. Ma bisognava indurre gli italiani ad andare via, con pressioni di ogni tipo. Così fu fatto”. Gravi dichiarazioni mai smentite quelle di Gilas, che fu segretario del Komunisticna Partija Iugoslavije (Partito comunista iugoslavo). Egli ammise inoltre in un suo noto memoriale, a p. 12, che in Jugoslavia gli “arresti effettuati al di fuori della legge, come in tempo di guerra, continuavano a essere la pratica corrente” (vedi: M. Gilas, Se la memoria non m’inganna… Ricordi di un uomo scomodo 1943-1962).

Comandanti slavi partigiani in Veneto

Il tenente colonnello Vittorio Silvio Premuda è comandante della Brigata “Fratelli d’Italia” di partigiani non comunisti attivi tra Piave e Livenza. Egli non è disposto a passare sotto il comando dei partigiani garibaldini (filo-titini), come espressamente gli fu richiesto, per tale motivo, il 19 agosto 1944, lo slavo Kubricevic Svetiovar, detto “Felice”, ne decreta la morte nella zona di Codognè (TV). Il massacro di Vittorio Premuda avviene ben sei mesi prima dell’eccidio di Porzus, in Comune di Attimis (UD). Quest’ultimo è il più noto eccidio di partigiani della Brigata Osoppo (di orientamento cattolico, monarchico e laico-socialista,) avvenuto per mano di partigiani comunisti. Pure qui che ci sia lo zampino dell’Ozna? Secondo la sentenza della Corte d’Assise di Treviso del 3 dicembre 1946 e dagli articoli de «Il Gazzettino» di quel periodo, Premuda fu attirato con una scusa in una trappola dal comandante comunista “Tigre”, poi venne arrestato e fucilato da partigiani garibaldini comunisti, guidati dallo slavo Kubricevic Svetiovar, detto “Felice” e dallo stesso capo partigiano italiano Attilio Da Ros, detto “Tigre”, comunista di Oderzo (TV).

Detto per inciso il comandante Kubricevic è un ufficiale della marina iugoslava (vedi: Maria Pia Premuda Marson, L’assassinio di Vittorio Silvio Premuda…, 2017, p. 58), allora viene modestamente da chiedersi: di quali barche slave si doveva preoccupare Kubricevic mentre operava sulle verdi colline di Vittorio Veneto? Ecco affacciarsi l’ombra dell’Ozna. È stata Maria Pia Premuda Marson a ribaltare l’interpretazione di certi storici novecenteschi che derubricavano la fucilazione di Vittorio Premuda, come un fatto d’invidia tra partigiani di opposte formazioni politiche, anzi l’autrice scrive delle spinte annessionistiche iugoslave riguardo a tutta la provincia di Udine, fino oltre il fiume Livenza, in territorio veneto sulle rive del Piave (vedi: La memoria del patriota cristiano, ten. col. Vittorio Silvio Premuda…, 2020, p. 15).

Si sa, infine, che diversi partigiani russi hanno combattuto contro i nazifascisti in Friuli dall’inizio del 1944. A Forni di Sopra (UD) c’era il battaglione Stalin, che operava in Carnia. Un altro battaglione di garibaldini sovietici agiva tra Veneto e Friuli, poi c’era il battaglione Kirov, attivo nel Pian del Cansiglio (BL, PN e TV). Infine c’era nientemeno che il figlio primogenito di Stalin nella Brigata partigiana Piave, operativa sulle colline di Vittorio Veneto (TV); egli si celava sotto il nominativo di Giorgio Vorazoscvilj “Monti” («Il Gazzettino» Cronaca di Treviso, 29 agosto 2015, citato dalla Premuda Marson, 2017). Con tutti questi reparti militari, non fa mistero che ci fossero pure certi agenti dei loro servizi segreti, in alleanza con quelli iugoslavi, come l’Ozna. Proprio Maria Pia Premuda Marson afferma che “Agenti speciali sovietici si erano inseriti nelle formazioni partigiane denominate ‘Brigate Garibaldine” (L’assassinio di Vittorio Silvio Premuda…, 2017, p. 17).

Confini orientali 1946-1947

Sul Cansiglio, a Vittorio Veneto e nel Bellunese operava anche Roberto Anelli Monti, col nome di battaglia di “Milos”, o Milo, in ricordo di un capo partigiano iugoslavo ucciso in uno scontro coi tedeschi, che gli muore tra le braccia. Nato a Udine nel 1922, Milos è al comando della Brigata d’assalto della Garibaldi, Divisione “Nino Nannetti” nel 1945.

Capi partigiani slavi nella Venezia Giulia

Pochi studiosi spiegano che i titini, oltre ad occupare Fiume, Pola, Trieste e Gorizia, sono giunti sino a Monfalcone, Romans d’Isonzo, Cividale del Friuli, Aquileia e Cervignano del Friuli, nella Bassa friulana. Una jeep di artificieri iugoslavi fu vista da partigiani della Osoppo sulle rive del Tagliamento, vicino ad un ponte. Come ha scritto, a p. 83, Maria Grazia Ziberna a Gorizia “il periodo dell’occupazione titina, dal 2 maggio al 12 giugno 1945, vide la costituzione nella Venezia Giulia dello Slovensko Primorje, cioè il Litorale Sloveno, che aveva come capoluogo Trieste e comprendeva anche il circondari di Gorizia, diviso in sedici distretti e composto anche dai comuni di Cividale del Friuli, Tarvisio e Tarcento [della provincia di Udine], considerati slavofoni”.

I Titini a Gorizia operano coi consiglieri sovietici. È risaputo che l’occupazione di Gorizia dal 1° maggio 1945 da parte dei miliziani di Tito, assistiti da tecnici sovietici, durò 40 giorni, durante i quali furono arrestati e deportati centinaia di italiani. La presenza sovietica rientra nella dicitura “formazioni poliziesche”, come l’Ozna, che affiancano l’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia (vedi: Lidia Luzzatto Bressan, p. 16). Gli artificieri iugoslavi fanno persino saltare due ponti sull’Isonzo, rallentando così l’arrivo delle truppe alleate, per procedere meglio alla caccia degli italiani, facendo innalzare i cartelli “Gorica je naša” (Gorizia è nostra). Poi puntano sul Tagliamento ed oltre. Esiste un elenco di 651 civili e militari arrestati a Gorizia e deportati dai titini fra il 1° maggio e il 12 giugno 1945 che, pur necessitando di ovvi aggiornamenti, rappresenta il teatro delle eliminazioni al confine orientale. In ogni pattuglia titina aggirantesi per la città con tanto di elenco, durante la cattura, partecipa pure un partigiano garibaldino italiano, per individuare meglio i potenziali prigionieri.

A Trieste e a Muggia, secondo certi autori, elementi slavi dell’Ozna nel 1944 si fanno delatori nei confronti degli stessi compagni del Partito Comunista Italiano in seno al Cln, facendoli arrestare dai nazisti. i comunisti italiani erano considerati poco favorevoli alla linea annessionistica iugoslava, che intendeva prendere Trieste, Gorizia (nella Venezia Giulia), Udine, Pordenone (allora in Veneto), se non qualcosa in più. In particolare il muggesano Luigi Frausin, segretario federale del Pci, assieme ad altri esponenti (Kolarich, Facchin, Morgan e Spadaro) riprendono in mano il partito dopo l’8 settembre 1943, rientrando dal confino o dalle galere regie. Essi riconoscono la necessità di un accordo che assegni alla Jugoslavia il territorio abitato da slavi, ma non Trieste, né Gorizia, né la costiera istriana. Peggio, il Frausin non è per niente d’accordo con la delibera del cosiddetto governo provvisorio croato, che nel settembre 1943, a Pisino, prima dell’arrivo dei tedeschi, ha proclamato – sic et simpliciter – l’annessione dell’Istria alla Croazia e quindi alla Jugoslavia, decisione festosamente accolta e ufficialmente riconosciuta dal governo jugoslavo dei partigiani di Tito.

Come ha scritto Fulvio Farba, “ecco che il destino viene a dare una mano agli slavi, tra maggio ed ottobre del 1944 i tedeschi catturano ed eliminano prima un forte gruppo di resistenti muggesani, sostenitori di Frausin, poi fucilano Kolarich ed infine vengono arrestati e deportati Luigi Frausin ed il nipote Ezio, che moriranno nei lager. Poco dopo toccherà a Vincenzo Gigante, Martino Solieri ed altri. A questo punto si impone una domanda, che a quanto pare i comunisti italiani non si sono posti, o non hanno voluto porsi: poiché Natale Kolarich cade in una imboscata ad opera di un traditore e poiché, come dice la motivazione della Medaglia d’Oro al V. M. concessa a Frausin, questi fu catturato a seguito di delazione slava, non si potrebbe ritenere che le persone maggiormente contrarie ai piani jugoslavi, non altrimenti eliminabili in quanto antifascisti convinti dal limpido passato, fossero state volutamente consegnate ai tedeschi? E, naturalmente, da chi poteva trarre maggiori vantaggi dalla loro scomparsa. Le conseguenze di questi avvenimenti si vedono subito: a capo del Partito Comunista Italiano della Venezia Giulia si installano elementi slavi (Rudi Ursich, Frane Stoka, Destradi, Giustincich, Francovich e Karis); alcuni mesi dopo, il rappresentante comunista che ha sostituito Frausin in seno al Cln, Giustincich, abbandonerà il Comitato, reo di non aver voluto sottostare alle imposizioni slave e cesserà ogni collaborazione. Così aumenterà l’antagonismo fra l’ente rappresentativo della resistenza italiana e l’omologo jugoslavo. Inizia cosi allora la svolta comunista pro-Jugoslavia, che suscitò, bisogna dirlo, proteste e risentimenti fra gli aderenti al partito, ma non servirono a nulla. Il Partito comunista italiano era diventato di fatto partito comunista jugoslavo, e tornerà a chiamarsi Pci dopo varie metamorfosi solamente nel 1957. La propaganda pro-Jugoslavia venne intensificata, e si passò a sostenere apertamente la pura e semplice annessione alla Jugoslavia”.

Sin dal 17 luglio 1944 il Comando Generale delle Brigate Garibaldi, attivo in Friuli e nella Venezia Giulia stipula un accordo col comando del IX Corpus del Novj per il quale i partigiani italiani comunisti passano alle dirette dipendenze degli slavi. Gli Osovani non accettano, provocando forti tensioni che sfociano nell’eccidio di Porzus e in vari morti per strani incidenti. Nella notte del 24 e 25 dicembre 1944 i Garibaldini guadano l’Isonzo e vanno a mettersi sotto il comando degli slavi, come ha scritto Giorgio Rochat.

Tale passaggio non è indolore, perché i partigiani italiani in territorio slovenofono sono maltrattati, messi alla fame, costretti a marce forzate e, pur male armati, devono andare alla battaglia di Voschia contro i nazisti. Voschia / Voisko, Comune di Idria (ex-provincia di Gorizia, poi Jugoslavia, oggi Slovenia). Le assurde vicissitudini patite sono descritte nel diario di Renato Rozio, classe 1924, contestato dai dirigenti comunisti. Studente e già partigiano a Mondovì (CN), rientra a casa a causa dei rastrellamenti. Si arruola militare ad Alessandria, al Comando tedesco, per non gravare sulla famiglia, viste le minacce naziste ai familiari dei renitenti alla leva (il bando relativo, del 2 aprile 1944, scrive di presa in “ostaggio dei genitori dei renitenti e all’incendio delle loro case”). Trasferito a Trieste e Fiume, viene addestrato ad Abbazia, in una caserma tedesca. Poi è destinato nella Valle dell’Isonzo (GO, poi Slovenia). Diserta a Bodres di Canale d’Isonzo (GO, poi Slovenia) e si arruola nei partigiani rossi della Divisione Garibaldi-Natisone a Breg di Medana (oggi in Slovenia), presso Dolegna del Collio (GO). Come accennato, tutta la Divisone partigiana nel 1944 si trasferisce da Albana, Comune di Prepotto (UD) verso Tolmino, Circhina (ex-provincia di Gorizia, poi Jugoslavia e Slovenia), Blegos Likar (presso Škofia Loka), Logatec e Lubiana (ex Jugoslavia, poi Slovenia). È ferito il 23 marzo 1945 nella battaglia di Voschia. Patisce fame, freddo e prepotenze demenziali del suo comandante, che vorrebbe fucilarlo, perché lo sorprende a dormire dopo del suo turno di guardia, in seguito a massacranti trasferimenti senza cibo. Poi, rientrato in Italia, vede che si sistemano solo i politicanti. Ecco alcune pagine del suo Diario. “Ti sparo, erano gli ingredienti coesivi del reparto [partigiano]”. È il comandante Lampo a sferzare così i suoi sottoposti italiani, in movimento in territorio slavofono (p. 48 del Diario di Rozio). “Li scortava Mirko, il partigiano slavo promosso caposquadra, noto per la fucilazione sul posto di una guardia addormentata” (p. 79 e p. 104).

Tra i partigiani italiani si infila un personaggio ambiguo. È il mongolo, un ufficiale medico russo caucasico appartenente prima alle file nemiche; è gentile con tutti, forse è un agente in missione segreta, in contatto con l’Ozna. “Dice di avere combattuto coi dissidenti polacchi” (p. 48). Il mongolo è poi passato coi partigiani. Era ottobre 1944. Al rancio di un giorno alle ore 12, il partigiano Siro si sente male: vomito e bava schiumosa. “Sparategli, non fatelo soffrire oltre! – urlò ad un tratto qualcuno impressionato e commosso, ma troppo compreso dei sistemi eccessivamente sbrigativi cui l’avevano abituato da tempo le dure necessità della guerriglia” (p. 50). Forse epilessia? Allo stesso tempo stanno male altri partigiani, per un probabile avvelenamento. Il giorno dopo è inscenato un processo popolare: “assemblea” (p. 53) contro il mongolo. La sentenza è: “Sparategli subito!” (p. 54). Infatti gli scaricheranno il mitra alle spalle e lo seppelliranno mezzo nudo (p. 55). Si muore di fame, di sonno, di fatica… i tedeschi possono apparire da un momento all’altro” (p. 65). Poi fucilano 2 dei nostri, per tentata diserzione (p. 65); uno di questi grida: “Mamute, mamute” (mammina, mammina, in friulano) e lancia il portafogli verso un gruppo di partigiani, tra i quali c’è Gino. I corpi vengono seppelliti nelle fosse preparate. Così era la vita quotidiana del partigiano garibaldino in Slovenia, alla faccia dell’internazionalismo proletario.

Il più grave attentato dell’Ozna contro gli italiani a guerra finita è la strage di Vergarolla, presso Pola, del 18 agosto 1946. Ci furono 116 vittime e oltre 200 feriti. Del resto, attentati dinamitardi titini si verificano, nel 1946, anche a Monfalcone e Trieste, come hanno documentato Paolo Radivo, nel 2016, oltre al «Messaggero Veneto» del 1946. Un altro attentato dell’Ozna si svolge a Gorizia, presso il Parco della Rimembranza il 9 agosto 1946. Si teneva una pacifica cerimonia italiana per il XXX anniversario delle Battaglie dell’Isonzo e del tricolore italiano esposto su Gorizia redenta nel 1916. Esagitati sloveni giunti da lontano dapprima tentano di contestare e di agitare la folla, ma vengono messi a tacere. Gli stessi provocatori slavi allora lanciano delle bombe a mano sulla gente assiepata, provocando vari feriti, tra i quali Sergio Zuccolo e, per puro caso, nessun morto, come ha scritto Primo Cresta, nel 1969.

Cimeli militari. Elmetto italiano 1939-1945. Tascapane militare, post 1945, guerra fredda. Borraccia USA 1939-1954. Gavetta di un alpino di Codroipo 1939-1945, con coperchio antecedente (oggetto in alluminio più grande). Gavetta del fante italiano G.G. di Percoto, 1939-1945. Bustina partigiana, detta “titovka” di un appartenente al IX Corpus di Tito dell’Osvobodilna Fronta. Da una ricerca scolastica dell’Istituto Stringher di Udine, 2015.

Durante la Resistenza, nei centri urbani, agiscono i gappisti, che sono membri dei Gruppi di Azione Patriottica, appartenenti al Partito Comunista d’Italia. Vari gappisti al termine della guerra fuggono nella Jugoslavia di Tito molto bene accolti. Come mai? Perché sono legati all’Ozna. Nel 1946 anche Mario Toffanin “Giacca”, lo stragista di Porzùs, scappa a Capodistria, evitando il carcere successivo alla condanna comminatagli nel 1951 al processo della Corte d’Assise di Lucca. Pure certi Diavoli Rossi (gappisti della Bassa friulana collegati ai titini) fuggono in Jugoslavia, primo fra tutti il loro caporione Gelindo Citossi, poi pure Norberto Sguazzin e un certo “Tom”, di Mortegliano; “emigrano in Jugoslavia”, come ha scritto Francesca Artico. Alcuni di tali partigiani fuggiti in Istria, come “Giacca”, Mario Abram (partigiano rosso triestino), Nerino Gobbo (noto infoibatore) e Giuseppe Krevatin se la prendono coi preti italiani, minacciandoli e picchiandoli a sangue, come ha riportato il «Giornale di Trieste» del 23 novembre 1951. Poi quando i titini nel 1948 vogliono fare piazza pulita dei cominformisti, dei comunisti storici e degli stalinisti, certi partigiani italiani scappati nel “paradiso di Tito” svicolano in Cecoslovacchia, perché neanche Tito li vuole più tra i piedi. Quelli che riesce a beccare li deporta all’Isola Calva (Goli Otok) dove patiscono e muoiono di stenti, come in ogni campo di concentramento. Alcuni dei fuggitivi in Cecoslovacchia, forse per la coscienza sporca, cambiano addirittura nome, imbrogliando sui documenti.

È una scena sconvolgente quella cui assiste Antonio Zappador a Verteneglio, in Istria nel dopoguerra. “Mi è capitato di vedere tre agenti dell’Ozna – ha riferito Zappador – accoltellare a morte un compaesano, così in mezzo alla strada, come se niente fosse, poi mio padre ha fatto di tutto per tenermi nascosto dato che ero un testimone scomodo, hanno squartato quell’uomo come con i maiali al macello”. Quel tremendo ricordo vissuto verso il 1950 è contenuto pure in un verso di una recente raccolta poetica del testimone: “Ho rivisto la casa della mia fanciullezza, / pietre senza anima, / profanata dagli uomini dei pugnali” (Zappador, pag. 83).

Il colmo della situazione iugoslava è che ad un certo punto restano traumatizzati gli stessi infoibatori o eliminatori, come emerge da un’intervista. A Rovigno “si diceva che per ogni uccisione ci fosse il parere positivo dell’Ozna, il servizio segreto iugoslavo – ha detto Riccardo Simoni – so che alcuni ragazzi arruolati nell’Ozna sono rimasti poi colpiti per tutta la vita di ciò che è successo”.

Capitani partigiani slavi in Friuli

Nella Bassa friulana il 3 aprile 1945 è arrestato dai Repubblichini lo sloveno Angelo Cernig, Vinco, di 31 anni, della Brigata “Garibaldi Natisone”. Torturato per giorni dalla Banda Ruggiero nella caserma Piave di Palmanova (UD), viene impiccato il 7 aprile sui bastioni della città (Corte d’Assise di Udine, 1946). 

Pure nelle zone montane del Friuli ci sono stati dei capi partigiani slavi violenti e crudeli con tutti, compresi i loro sottoposti, come ha documentato Giulio Del Bon nel 2018. Un certo comandante Mirko è menzionato alle pagine 24, 34, 46, 111 e 254 del suo volume. Verso la metà di marzo 1944 in Carnia nasce il primo nucleo di partigiani paracomunisti, il Btg “Friuli” della Garibaldi, di cui Mirko è il comandante e Italo Mestre, Diego, il commissario. Mirko Arko, nato in Slovenia nel 1921, è un ex ufficiale iugoslavo, fuggito sembra da un Campo di prigionia. Si era stabilito fra le borgate del Comune di Lauco, mentre avrebbe potuto tornarsene a casa. Il loro Comando era a Esemon di Sopra e poi a Pani di Raveo. “Mirko era un buon combattente, tuttavia era spietato e feroce non solo nella lotta e con la gente, ma anche nei confronti di noi combattenti”, in base alla testimonianza del garibaldino Giancarlo Fraceschinis, Checo, citata da Del Bon.

Mirko si macchia di un lungo elenco di violenze e di uccisioni, per le stesse fonti della Garibaldi. Lo slavo adotta “metodi violenti ed estremisti, contrari alla mentalità dei nostri resistenti italiani”. Mirko è definito “il re degli episodi violenti estranei ai veri e propri combattenti, lo spietato giudice delle spie, l’implacabile requisitore di beni ai fascisti o non fascisti” come ha testimoniato Osvaldo Fabian, citato ancora da Del Bon.

Maria Iole Furlan, Ospedaletto, 3 maggio 1945, Carro armato P 40 della Karstjäger-Division colpito dagli inglesi, con il monte San Simeone sullo sfondo, fotocopia colorata da un’immagine diffusa da Stefano Di Giusto, cm 20,5×29, 2021.

Dopo l’occupazione della Carnia da parte Cosacca e nazifascista, nell’autunno 1944, Mirko si ritira sui monti di Pani, a Raveo, assieme alla compagna Gisella Bonanni, Katia, da Raveo, forse incinta; per sopravvivere saccheggiarono viveri e armi in un magazzino garibaldino, perciò e per gli altri gravi motivi già menzionati gli stessi comandi della Garibaldi decisero la loro eliminazione, come ha scritto P.A. Carnier, alle pp. 253, 254 di un suo libro.

Negli scontri di Paluzza, avvenuti nei giorni 8-9 luglio 1944 tra partigiani della Garibaldi e 48 Waffen SS Karstjäger della I Kompanie partiti dalla caserma di Udine al comando del maresciallo Bauernschmid resta ferito un russo, ex soldato sovietico catturato e passato nelle file tedesche, di nome Lininowitch, poi morto in ospedale. Che fosse un’altra spia doppiogiochista? Nello scontro c’erano anche genieri della Wehrmacht per liberare la strada per Passo Monte Croce Carnico ostruita da massi (Del Bon, p. 104).

Come ha scritto Luigi Raimondi Cominesi:  “Talvolta i prelievi [di generi alimentari ed altro] erano fatti arbitrariamente da personaggi che non erano partigiani ma che si spacciavano per tali. I ladri, se scoperti dai partigiani veri, venivano eliminati”. Nell’Archivio ANPI di Udine esistono dei buoni di prelievo originali, in bianco o usati. I buoni rilasciati dai partigiani vennero pagati dopo la guerra (p. 91). Ciò che colpisce, tuttavia, è la naturalezza con cui si scrive della “eliminazione” dei presunti ladri.

Ci sono infine comandanti partigiani della Divisione “Garibaldi-Natisone” assassinati dai loro stessi compagni. È successo il 30 aprile 1945 a Leo Scagliarini con un colpo alla nuca a Rizzolo di Reana del Rojale (UD). Pur essendo un democratico libertario, egli si aggrega nel 1944 alla brigata “Picelli”, col nome di battaglia “Ricciotti”, perché erano le unità più robuste per combattere i nazifascisti, ma con la metà di gennaio 1945 finiscono sotto il comando del IX Korpus titino. La spiegazione fornita dai partigiani invece narra di una morte per il fuoco amico di un aereo da caccia inglese che mitraglia una colonna di partigiani e l’autovettura con dentro “Ricciotti” il 29 aprile. Pare che l’assassino sia stato lo stesso “Giacca”, molto ostile a “Ricciotti”, che intendeva liberare Udine il 1° maggio con le bandiere tricolori e non con quelle rosse dei comunisti. Su tale eliminazione non è mai stata aperta un’indagine giudiziaria, come ha scritto Pansa (pp. 291-315).

Conclusioni – I valori umani si vedono dai comportamenti, senza che siano sbandierati. Forse sono l’elemento più importante della vita. L’individuo vive col valore dell’umanità, oppure dimentica l’umanità, compiendo gli atti del male. Come diceva Max Weber i valori vengono facilmente falsati in dichiarazioni programmatiche, scivolando banalmente nella retorica o nella predica. La disumanità dell’Ozna è così nota, che viene menzionata persino dai romanzieri, come Stefania Conte, nel suo La stanza di Piera, opera del 2020, ambientato in Istria nella Seconda guerra mondiale, compreso il dramma delle foibe.

Documento partigiano interessante datato a Gimino (Istria) 20 marzo 1944 e firmato dal Commissario Osman Kovačić (con grafia serbo-croata) per la richiesta di una radio. Il timbro d’intestazione “K.K. Žminj”, vista la firma, potrebbe essere esplicato con: “Komunistički komesar Žminj” (Commissario comunista di Gimino). Molto interessante l’uso della lingua italiana (pur con molte licenze grammaticali) tra partigiani della Venezia Giulia con comando slavo. Coll. privata Udine

Fonti orali – Riccardo Simoni, Rovigno 1940, trapiantato a San Casciano Val di Pesa (FI),  int. telefonica di E. Varutti del 23-25 febbraio 2020.  Antonio Zappador, Verteneglio 1939, int. di E. Varutti, del 23 febbraio 2020, a Fossoli di Carpi (MO).

Collezioni private: Coll. Gemma Valente, Bastajànawa, vedova Barbarino, Resia, titovka.  Coll. privata Udine, elmetto, gavette, borraccia e tascapane militari.

Bibliografia, sitologia e ringraziamenti

Sono riconoscente all’architetto Franco Pischiutti, dell’ANVGD di Udine, per i consigli bibliografici ricevuti. Grazie a Maria Iole Furlan per i disegni messi a disposizione.

Francesca Artico, “Morto ‘Ferro’, partigiano dei Diavoli Rossi”, «Messaggero Veneto», Cronaca di Cervignano Latisana Bassa, 19 aprile 2020, p. 37.

Corte d’Assise di Udine, sentenza n. 120 del 5 ottobre 1946, presidente G. Rota; estratto pubblicato sul «Messaggero Veneto».

Pier Arrigo Carnier, Lo sterminio mancato, Milano, 1982.

Primo Cresta, Un partigiano dell’Osoppo al confine orientale, Udine, Del Bianco, 1969.

Giulio Del Bon, 1943-1945 Vicende di guerra. La Carnia durante l’occupazione nazista, Paluzza (UD), Associazione culturale “Elio cav. Cortolezzis”, 2018.

Stefano Di Giusto, P 40 della Karstjäger-Division a Ospedaletto, PDF nel web, 2017.

Fulvio Farba, “Scelta comunista nella Venezia Giulia. La via jugoslava al socialismo”, «Arena di Pola», n. 2.376, 9 febbraio 1985, p. 6.

Milovan Gilas, o Ðjilas, Vlast, London, Naša Reč, 1983, traduz. ital.: Se la memoria non m’inganna… Ricordi di un uomo scomodo 1943-1962, Bologna, Il Mulino, 1987.

Lidia Luzzatto Bressan, Gli scomparsi da Gorizia nel maggio 1945, a cura del Comune di Gorizia, Associazione Congiunti dei Deportati in Jugoslavia, 1980, pag. 16

Orietta Moscarda Oblak, “La presa del potere in Istria e in Jugoslavia. Il ruolo dell’OZNA”, «Quaderni del Centro Ricerche Storiche Rovigno», vol. XXIV, 2013, pp. 29-61.

Giampaolo Pansa, I gendarmi della memoria. Chi imprigiona la verità sulla guerra civile, Sperling & Kupfer, 2007.

Joze Pirjevec, “Il ruolo del Fronte di Liberazione”, in Pietro Spirito, Roberto Spazzali (a cura di), L’altra Resistenza. La guerra di liberazione a Trieste e nella Venezia Giulia, Ote SpA, «Il Piccolo», Trieste, 1995, pp. 47-54.

Maria Pia Premuda Marson, L’assassinio di Vittorio Silvio Premuda tra le epurazioni finalizzate al tentativo di porre una parte del nostro stato sotto la sovranità della nascente confederazione jugoslava, Padova, Cleup, 2017.

Maria Pia Premuda Marson, La memoria del patriota cristiano, ten. col. Vittorio Silvio Premuda comandante della Brigata Fratelli d’Italia, campeggia nella lotta per la liberazione della seconda guerra mondiale nei ricordi della popolazione più anziana dei paesi tra Piave e Livenza, Padova, Cleup, 2020.

Paolo Radivo, La strage di Vergarolla (18 agosto 1946) secondo i giornali giuliani dell’epoca e le acquisizioni successive, Libero Comune di Pola in esilio, «L’Arena di Pola», 2016.

Luigi Raimondi Cominesi, Poesie di lotta e di speranza. Frammenti dal 1944 al 2009, a cura di Pietro Angelillo, Pordenone, Istituto Provinciale per la Storia del Movimento di Liberazione e dell’Età Contemporanea, 2010.

Alvaro Ranzoni, “Se interviene anche l’Islam”, «Panorama», 21 luglio 1991.

Giorgio Rochat, Atti del Comando generale del Corpo Volontari della Libertà, Milano, Angeli, 1972.

Renato Rozio, La paga del guerriero. Le vicissitudini di un partigiano della Divisone Garibaldi-Natisone sul Collio e in territorio sloveno (1944-1945), Udine, Del Bianco, 1997.

E. Varutti, Giuseppe Baucon, di Gradisca, salvatosi dalla fucilazione titina e dalla foiba a Circhina nel 1944, on line dal 20 settembre 2018 su blog-di-elio-varutti.webnode.it

Elio Varutti, L’Ozna di Tito in Nord Italia tra guerra e dopoguerra, on line dal 9 giugno 2020 su eliovarutti.wordpress.com

E. Varutti, L’ombra dell’Ozna in omicidi partigiani in Veneto. Il caso Vittorio Silvio Premuda, 1944, on line dal 10 agosto 2020 su eliovarutti.wordpress.com

Antonio Zappador, 29.200 giorni. Una vita piena di tutto… di più, Carpi (MO), stampato in proprio, 2019.

Maria Grazia Ziberna, Storia della Venezia Giulia da Gorizia all’Istria dalle origini ai nostri giorni, Gorizia, Lega nazionale, 2013.

Testi e Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti. Lettore: Enrico Modotti. Disegni di Maria Iole Furlan. Copertina: Maria Iole Furlan, Elementi dell’Ozna accoltellano un italiano a Verteneglio nel 1950, matita su carta, cm 16×22, 2021, courtesy dell’artista. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – I piano, c/o ACLI – 33100 Udine – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

Arrivo dei titini a Fiume senza colpo ferire, 2-3 maggio 1945, di Rodolfo Decleva

Come finisce la seconda guerra mondiale a Fiume? Quante vittime ci sono l’ultimo giorno prima dell’armistizio? Proponiamo in lettura un originale contributo scritto di Rodolfo Decleva, da lui intitolato: 2 – 3 maggio 1945. L’occupazione jugoslava di Fiume. Testimonianza depositata in data 01 Ottobre 2020 presso la Società di Studi Fiumani in Roma, Via A. Cippico 10. La redazione del blog presente ringrazia vivamente l’Autore per la cortese concessione alla pubblicazione. Allo stesso tempo ci permettiamo di aggiungere qualche frase di contesto degli ultimi giorni di una città italiana bombardata dall’aviazione angloamericana, dall’artiglieria titina e minata nel porto dai nazisti , dove non c’è più cibo, né collegamenti ferroviari, postali o d’altro genere.

Ecco le parole dal Diario dell’ingegnere Carlo Alessandro Conighi “3.V [1945] Giornate grandemente burrascose. La città / è stata giorno e notte continuamente intronata [meglio: rintronata] / di poderosi scoppi di mine, di cannonate. Parecchie / granate caddero in città e alcune fecero vittime. / Di faccia a casa nostra dalla parte del cortile fu colpita / una testa di camino. Di tutto ciò non si conosce la / provenienza [neanche si immaginavano certi fiumani che i partigiani di Tito sparassero da Tersatto coi cannoni sulla città, come riportato nelle interviste sull’esodo da Fiume curate dallo scrivente in altri articoli, NdR] e chi siano realmente i combattenti. / Pare che durante la scorsa notte tutti i tedeschi se ne sieno andati. Noi di famiglia stiamo tutti / bene, tranne Amalia molto debole. Io personalmente sono stato e sono perfettamente / tranquillo. Divenni fatalista, quasi indifferente a tutto, / né mi lascio impressionare, lasciando correre e / dicendomi: sarà quel che sarà. Pensiamo sempre ai / lontani, incerti di quando e di come ne avremo notizie…” (Collezione famiglia Conighi, esule da Fiume a Udine). Autore del diario è l’ingegnere Carlo Alessandro Conighi, nato a Trieste il 26 febbraio 1853, costruttore di Fiume e Abbazia, morto esule a Udine il 5 agosto 1950.

Il porto di Fiume, anni ’20 ca., bombardato dagli angloamericani 1944-’45 e minato dai nazisti dalla fine di aprile 1945; Collezione Aldo Tardivelli

Così ha scritto Rodolfo Decleva nel 2020. “In questi giorni [settembre 2020, NdR] sono avvenute a Fiume-Rijeka delle manifestazioni contrarie alla iniziativa presa dall’Amministrazione cittadina di installare in cima al Grattacielo della ex Piazza Regina Elena una grande Stella Rossa formata da 2800 pezzi di vetro di colore rosso rappresentanti 2.800 Caduti Partigiani nella Battaglia per la Liberazione di Fiume. Io sottoscritto Dr. Rodolfo DECLEVA nato a Fiume l’8 Gennaio 1929, residente in quell’epoca a Fiume, in Calle del Barbacane 19, rendo la seguente testimonianza resa ‘Pour servir et valoir ce que de droit’. – – –

Dal 15 aprile al 3 maggio 1945 – Dalla metà di Aprile, ai bombardamenti aerei su Fiume si erano aggiunti lanci isolati di schrapnell [proiettile cavo, riempito di sfere di piombo, o di acciaio, e munito di una carica di scoppio collegata ad una spoletta a tempo] da parte dei Partigiani sulla nostra città che provenivano dalle alture di Tersatto. Perciò la gente si era portata i materassi nel rifugio antiaereo di Via Roma a 120 metri dal confine con Sussak e la Fiumera e vi dormiva. La nostra famiglia  continuò a dormire in casa essendo distanti dal rifugio solo un quarantina di passi. Di giorno la vita in città – occupata da tedeschi e repubblichini – era normale.

Ancora in Aprile io prendevo regolarmente il treno alle ore 7 del mattino per andare al Lager di Mattuglie per firmare la presenza e poi recarmi a piedi a Giordani dove – essendo state chiuse le scuole – ero stato precettato dalla Organizzazione TODT per la costruzione di Bunker sotto la direzione di un militare Gruppfuehrer austriaco. Nella mia squadra di 10 elementi faceva parte anche il signor Stabellini, Bidello della Scuola di Avviamento Commerciale. Rientravamo a Fiume con il treno delle ore 17.

Fiume 1945 – Bruno Tardivelli precettato al lavoro per la Todt. Collezione Aldo Tardivelli

Una settimana prima della fine del mese di Aprile, i tedeschi mi ordinarono di recarmi a lavorare ai Bunker a Santa Caterina, sulle alture sopra Fiume dove erano posizionate le difese italo-tedesche che rispondevano alle provocazioni partigiane che ho descritto sopra, dove già lavorava il mio amico Massimo Gustincich. I schrapnel continuavano a cadere ma ogni tanto uno e non a pioggia, e l’impressione era che si fosse ormai giunti alla fine. Perciò mio padre non mi lasciò andare al lavoro e quindi non feci nemmeno una giornata di lavoro a Santa Caterina. Per paura che i tedeschi mi venissero a cercare, mi fece vivere e dormire nella nostra cantina (fondo) alla quale si entrava dalla Calle dei Facchini n. 9.

Fu proprio in quei giorni – una settimana prima della fine – che i tedeschi fecero brillare le mine che avevano predisposto nei Moli e nella Diga per la distruzione del bacino portuale che richiese 4-5 giornate. Inspiegabilmente i Partigiani di Sussak restarono insensibili a tanto sfacelo senza intervenire.

Affermo che in città non c’era panico. Alle 7,30 del giorno 3 Maggio 1945 venni svegliato da una vicina – la Signora Giuditta Barbalich, la cui famiglia aderiva al movimento partigiano – abitante in Calle del Barbacane n. 23, ultima casa di questa Calle prima della Via Roma – che gridò: “Siamo liberi! I tedeschi sono andati via.”

Così è finita la guerra a Fiume con i Partigiani fermi e passivi a Sussak. Va dato atto all’Esercito jugoslavo, nato dalla lotta partigiana iniziata sin dal 1941, di aver sconfitto gli Eserciti italiano e tedesco da Belgrado a Trieste. Su «La Vedetta d’Italia», quotidiano di Fiume, seguivamo attraverso le poche righe riservate alle brutte notizie della guerra le battaglie ed i ripiegamenti delle nostre truppe da Sebenico, e poi da Bihac’ e Knin già nel Dicembre 1944.

L’ordine ai tedeschi era di difendere ogni palmo di terra per tenere lontana la guerra dalla Germania in attesa che gli scienziati producessero l’arma segreta – dopo le micidiali V1, V2 e V3 che stavano piovendo su Londra – dalla quale sarebbero cambiate le sorti del conflitto mondiale. Perciò ci vollero 4 mesi di combattimenti accaniti dell’Esercito di Tito per guadagnare i 200 km. di distanza tra Fiume e Bihac’, per cui i 2800 Caduti dichiarati recentemente in Croazia possono riguardare questo percorso raggiungendo, e insediandosi a Sussak verso la fine di Aprile.

Ma è ormai generalmente noto che la conquista di Fiume fu rinviata e il grosso dell’Armata si allargò passando a nord della nostra  città perché l’obbiettivo finale era diventato Trieste e il territorio sino all’Isonzo allo scopo di realizzare il fatto compiuto dell’occupazione militare e quindi ottenere l’assegnazione alla Jugoslavia del territorio occupato, in sede di Trattato di Pace. E in effetti con questo espediente l’Esercito di Tito vinse la storica ‘Corsa per Trieste’ giungendo in città il giorno 1° Maggio 1945 con un giorno di anticipo sui Neozelandesi fermi in attesa di ordini a Monfalcone.

A Fiume l’esercito partigiano entrò solo dopo che i tedeschi l’abbandonarono nella notte tra il 2-3 Maggio. La presero senza sparare un colpo, senza un morto, senza entusiasmi e nella freddezza del popolo fiumano.

Entrarono in città passando il Ponte sull’Eneo verso le ore 9,30 del 3 Maggio arrestando soldati italiani che stavano prendendo possesso della città. Personalmente assistetti all’arresto di tre Finanzieri di cui un Ufficiale, che erano in Via Roma a guardia di due mine anticarro lasciate dai tedeschi sulla strada a 20 metri dell’imboccatura del rifugio vis-à-vis la Caserma dei Carabinieri, oggi ancora in piedi. Probabilmente i nostri facevano parte del Gruppo di Don Luigi Polano, purtroppo bloccato dagli eventi in Italia, per cui non poté personalmente guidare il ritorno alla normalità.

In conclusione ripeto: – Nell’ultima settimana di Aprile fino al 3 Maggio 1945 la vita  a Fiume scorreva nella consueta normalità di stato di guerra con il timore di eventuali bombardamenti aerei, qualche isolato schrapnel che cadesse su qualche tetto, e il rumore delle Batterie di Santa Caterina e Drenova che rispondevano ai colpi delle postazioni partigiane a Sussak e Tersatto. ll mio amico Massimo Gustincich ha lavorato al Bunker Streiffen 3/B della TODT a Santa Caterina regolarmente fino a tutto il 29 Aprile 1945, situato nel dirupo a strapiombo sull’Eneo in fronte ai partigiani posizionati nella collina di Tersatto. Nel giorno 30 Aprile, il Gruppo di cui faceva parte venne spostato in zona meno esposta. Quindi, fino ancora due giorni dall’occupazione titina egli si recava a piedi dal Centro della città sino a Santa Caterina senza incontrare problemi o pericoli durante il tragitto.

Il porto saltava a pezzi tra l’indifferenza della gente in strada, preoccupata solo di non esserne    colpita, e consapevole che si era ormai alla fine. – La popolazione dormiva nei rifugi antiaerei o nelle abitazioni. – Non ci furono assolutamente sparatorie strada per strada o battaglie casa per casa, etc. da provocare morti né italiani né jugoslavi. – Alle 8 del mattino del 3 Maggio 1945 nella città di Fiume c’erano soldati italiani imboscati e Forze di polizia italiane al lavoro in servizio d’ordine.

– I Partigiani che da giorni erano stabiliti a Sussak, passarono il Ponte sull’Eneo verso le 9,30 a piedi entrando nel Centro della città dalla Via Roma e dalla Via Fiumara come già descritto in narrativa. Così occuparono la città. In fede. F.to  Dr. Rodolfo Decleva. Fatto in Genova, il 1° Ottobre 2020”.

Cartolina con borgo di Sussak; Collezione Aldo Tardivelli

Nel 1944, Fiume tra guerra e teatri – Sono le parole di Aldo Tardivelli quelle che seguono. È un altro fiumano patoco. Aldo Tardivelli, nato a Fiume il 20 settembre 1925, è deceduto a Genova il 19 novembre 2020 a causa del Corona virus. Ecco il suo racconto, scritto agli inizi del 2000. “La passione per la recitazione aveva spinto mio fratello Bruno ad allestire, insieme con altri amici, una compagnia di recitazione ‘filodrammatica’, come aveva fatto nostro padre, quando frequentava il circolo degli impiegati la Filodrammatica del Dopolavoro Ferroviario, con gran successo. ‘Lo Smemorato. Le Baruffe Chioggiotte. I Gatti Selvatici, L’Antenato. I fallimenti del curatore, Tre Rusteghi, Il medico e la pazza’. Commedie brillanti e di successo nel Teatro Fenice e Teatro Giuseppe Verdi nel 1944.

Fiume, 15.6.1944 – Il medico e la pazza. Compagnia teatrale filodrammatica. Collezione Aldo Tardivelli

Non c’erano grandi occasioni mondane in quel tempo. Se per caso suonava durante la recita l’allarme, correvano tutti nel rifugio, e poi…il successo era stato garantito, ma fra questi ‘bravi e novelli teatranti’ c’erano alcuni militanti e simpatizzanti collegati politicamente alle cellule clandestine del ‘Movimento Antifascista di Liberazione’. Alla fine la maggioranza di questi attori hanno optato e partirono per l’Italia nel 1947-48. In corso di un rastrellamento, durante la notte, le ‘forze di sicurezza naziste delle SS’ avevano arrestato gran parte della compagnia teatrale e condotta, con la forza, nelle carceri di Via Roma, mentre altri che non erano presenti in casa erano riusciti a sfuggire alla cattura.

Su tutti i detenuti del carcere persistevano per i diversi capi d’imputazione, l’incubo di una ìmorte certa’. Il dramma di questi condannati, non era diverso da quello di diventare, anche, ‘ostaggi di se stessi’ in seguito a qualche inutile attentato od omicidio di uno o più soldati Tedeschi, commesso dai loro ‘Compagni di lotta’.

Con uno stratagemma Aldo Tardivelli, tuttavia, riuscì a far liberare il fratello Bruno, che si salvò dalle grinfie naziste. Col 3 maggio 1945 la città fu invasa dagli iugoslavi ed iniziarono gli arresti di italiani da parte dei titini.

Fonti originali – Rodolfo Decleva, 2 – 3 maggio 1945, L’occupazione jugoslava di Fiume. Testimonianza depositata in data 1° Ottobre 2020 presso la Società di Studi Fiumani in Roma, Via A. Cippico 10, testo in Word, pp. 2; Collezione Elio Varutti, ANVGD di Udine.

Dalla Collezione di Claudio Ausilio, esule da Fiume a Montevarchi, ANVGD di Arezzo: – Aldo Tardivelli, Una vita in pericolo (1944-1945), testo in Word, s.d. [2003?] pagg. 15. – A. Tardivelli, Fiume, 3 maggio 1945, testo in Word, s.d. [2003?] pp. 12.

Collezione famiglia Conighi, esule da Fiume a Udine, ms.

Collezione Aldo Tardivelli, esule da Fiume a Genova, cartoline e testi in Word

Sitologia – E. Varutti, Diario di Carlo Conighi, Fiume aprile-maggio 1945, on line dal 7 giugno 2016.

Ricerca di Claudio Ausilio (ANVGD di Arezzo) e Elio Varutti (ANVGD di Udine). Autore principale: Rodolfo Decleva. Altri testi e Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo e E. Varutti. Lettori: Claudio Ausilio, Rodolfo Decleva e Sebastiano Pio Zucchiatti. Copertina: Cartolina del Ponte sull’Eneo tra Fiume e Sussak/Sussa, anni ‘40; Collezione Aldo Tardivelli. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Via Aquileia, 29 – I piano, c/o ACLI – 33100 Udine; orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

Memorial Aldo Tardivelli, esuli scaraventati nei Campi profughi

Aldo Tardivelli, nato a Fiume il 20 settembre 1925, è deceduto a Genova il 19 novembre 2020 a causa del Corona virus. Con queste righe vogliamo ricordarlo, per la passione con cui scriveva vari interventi sulla sua città e poi li inviava ai suoi corrispondenti di posta elettronica. Siccome nel suo esodo è passato al Centro smistamento profughi di Udine, per finire al Centro Raccolta profughi (Crp) di Laterina (AR), poi a Genova, ecco le sue parole, a volte pittoresche. Omaggio a un novantacinquenne fiumano! La redazione del blog.

Udine! Centro Smistamento Profughi – Il giorno seguente siamo arrivati nella città di Udine. All’arrivo nel  Centro di Smistamento Profughi le famiglie erano divise: gli uomini ed i ragazzi dormivano separati dalle donne e dai fanciulli; durante il giorno però i mariti raggiungevano le mogli ed i figli nella loro camerata e vi rimanevano tutto il giorno, consumandovi pure i pasti distribuiti da un cuoco obeso, scherzoso e prepotente che ci trattava come se il cibo che ci versava con un mestolo nella gavetta militare fosse di sua proprietà e ce lo concedeva soltanto grazie al suo buon cuore.

Ebbi l’impressione che fummo trattati con sufficienza come appartenenti ad una casta di paria e dipendessimo in tutto soltanto dalla buona grazia di coloro che ci sorvegliavano ed accudivano ai servizi. Non ci sognavamo di reclamare, ma tanto nessuno ci avrebbe dato retta, dovevamo esprimere solo gratitudine e sottomissione, ogni cosa ci doveva andare bene, altrimenti potevamo tornarcene al luogo dal quale eravamo venuti: in Jugoslavia.

Finale Ligure, Natale 2011 – Aldo e la figlia Adriana Tardivelli. Collezione Tardivelli, Genova

Era sera, con un istriano, già lì da qualche giorno, andai a gironzolare nei paraggi dell’edificio che ci ospitava e doveva essere una ex Casa del Fascio o della GIL [Era della GIL]. Mi fecero impressione l’opulenza, le abbaglianti luci con cui erano illuminati i negozi e le vetrine stracolme di ogni ben di dio. Ci soffermammo davanti ad una salumeria e rimasi incantato davanti all’abbondanza e alla varietà dei generi alimentari che vi erano esposti; in vita mia non ricordavo di avere mai visto un simile spettacolo: la dovizia delle merci esposte mi fece pensare che avevamo ben ragione di scappare da Fiume, l’Italia mi appariva il Paradiso della Prosperità (ed eravamo appena nel 1948) rimpiangevo che la mia Graziella non fosse con me, la porterò per prima cosa davanti a questa vetrina di salumiere per farla stupire.

Seguii il mio accompagnatore nel negozio; che profumo sconosciuto di leccornie prelibate c’era lì dentro, mi sembrava di sognare. Si vedeva da lontano un miglio che eravamo dei profughi per il vestito dimesso e l’aria spaesata. Ritornammo commentando alle nostre brande, aprii a metà le rosette, ci misi dentro la mortadella anche per Graziella, mi leccai le dita unte e sentimmo per la prima volta il sapore dell’Italia: buono, appetitoso, invitante, gustoso, indimenticabile.

Per noi che volessimo rimanere nella Nostra Italia si sarebbe presentato e iniziato un vero dramma. Fummo convocati nell’ufficio da quelli che gestivano questo traffico umano sperando che ci mandassero in qualche Campo Profughi vicino alla città di Genova. Insistemmo e supplicammo a calde lacrime affinché la nostra destinazione fosse la Liguria, poiché nella città di Genova (come avevamo ripetutamente spiegato), risiedevano diversi parenti di mio padre che avrebbero potuto darci degli aiuti sicuri. Pensavamo sinceramente che avrebbero tenuto conto delle nostre suppliche, ma non vollero sentire ragioni, furono irremovibili, ci trattarono come ‘stranieri’ e ci spedirono… in un paesino al centro della Bella terra di Toscana – Laterina, Arezzo, distante 320 km. da Genova.

Aldo Tardivelli e Graziella Superina. Anniversario delle Nozze d’oro, 1997

Al Crp di Laterina – Mi caddero le braccia davanti a tale mentalità burocratica, ma dovemmo sottostare, altrimenti non avremmo avuto dove alloggiare e ricevere un po’ di cibo; in tasca avevo i pochissimi soldi che mi avevano dato: poche decine di ‘AmLire’ che avevo stabilito di non spendere ulteriormente, dopo essermi tolto la voglia della mortadella, se non per motivi gravi. Fummo muniti di biglietto ferroviario speciale riservato ai profughi e di un ‘foglio di via’ munito del quale potevo entrare nel Campo Profughi di Laterina con l’obbligo di presentarmi entro tre giorni dal nostro arrivo alla Questura dalla quale dovevamo essere registrati.

Un tale che s’aggirava per il Campo Profughi di Udine mi soffiò all’orecchio che ci avrebbero preso le impronte digitali: e fu proprio così, andavamo proprio bene; in Italia ci prendevano per individui poco raccomandabili e ci stavano schedando. Non ne fui risentito, ormai ero abituato a subire ogni sorta di vessazioni morali, una più una meno non mi facevano né caldo né freddo, alla peggiore delle ipotesi dall’Italia ce ne saremmo andati altrove a casa del diavolo, l’importante era essere usciti dalla Jugoslavia di Tito, peggio di lì non saremmo stati da nessuna parte!

Durante il viaggio, infatti, avevo scambiato alcuni discorsi con i viaggiatori che mi facevano delle domande strane sul mio stato, ma ebbi l’impressione che molti non comprendessero il motivo per cui ce ne stavamo andando da Fiume, dove c’era Tito, a loro dire, un benefattore del popolo e nemico dei fascisti: almeno fosse venuto pure in Italia! Qualcuno, senza mezzi termini, espresse il pensiero che da Fiume ci cacciavano perché eravamo fascisti e lì ormai comandava il popolo. Ma tutti noi avevamo poco da stare allegri, il Comunismo sarebbe presto giunto a liberare anche l’Italia. Ero disorientato, non capivano nulla questi italiani! Per noi derelitti che più di tutti avevamo pagato il prezzo della sconfitta ed avevamo cercato rifugio nel grembo della Madre Patria, questa ci stava trattando da perfida matrigna, quali ospiti indesiderati.

Col passare degli anni ho visto che l’Italia ha relegato i suoi figli più sfortunati, quelli che presso di lei hanno cercato rifugio ed hanno pagato per tutti lo scotto della sconfitta, in modo disumano e vergognoso. Io vorrei chiedere a quei signori, nostri connazionali e, ahimè, anche concittadini che dissertano sulla ‘scelta giusta’ di coloro che hanno scelto la via dell’esilio e quelli che invece non se ne sono andati dalla Nostra Terra, di coloro che dicono di condividere o non condividere la scelta che la Nostra Gente ha fatto, se avessero il coraggio di provare quelle esperienze almeno per un giorno solo.

A questo stato ci aveva condotto l’Esodo dalla nostra Terra Natia, al termine della guerra. Non c’è stata per noi Esuli la Liberazione, non abbiamo nulla da festeggiare noi perché non l’abbiamo vissuta, ne siamo stati defraudati. Noi siamo passati da un’oppressione ad un’altra oppressione e da questa ad un totale smarrimento della nostra identità. Questo fu solo l’inizio dell’avventura italiana che scaraventò gli esuli nei Campi Profughi. Uno scenario spoglio di vita nei campi governati da dirigenti ladri che gli amministravano. Nei fatti non ci furono atti di protesta, ma di rassegnazione e sconforto per quanto stava accadendo, mentre le vie dell’infelicità erano già state percorse tutte!

 Tutti fummo sgomenti nel vedere la nostra nuova dimora – ha scritto Aldo – Un vero e proprio campo di concentramento che dopo lo sgombero degli ultimi reclusi aveva cambiato solo nome. Ambienti freddi e umidi. Dove malandate coperte appese ai fili nascondevano pudicamente l’intimità. Appena giunti a destinazione fummo circondati da centinaia di persone che provenivano dalla terra Istriana e che per tornare ad essere cittadini italiani, per rimanere fedeli alla cultura italiana e alla sua gente, avevano abbandonato tutto. Ma il resto del paese non aveva compreso il motivo per cui avevamo lasciato le nostre città”.

Un contributo importante per l’integrazione dei profughi all’interno della comunità lo ha fornito anche la chiesa di Laterina, in particolare don Bruno Bernini, complice in prima persona della realizzazione di una scuola pubblica nel territorio.  Quando venne effettuato un corso per muratori e carpentieri, il parroco propose, sulla base di un contributo statale, una sorta di esperienza pratica da far fare agli apprendisti: è nata così la scuola elementare di Casanova.

Fiume, Corso e Torre civica; collez. Tardivelli, Genova

Fonte orale e digitale – Aldo Tardivelli (Fiume, 20 settembre 1925 – Genova, 19 novembre 2020), int. telefonica e per e-mail nel periodo 20-24 gennaio 2017, con la collaborazione di Claudio Ausilio, dell’ANVGD di Arezzo.

Cenni bibliografici, del web e collezioni private

Genny Pasquino, I ricordi e le testimonianze dei profughi istriani, accolti da un filo spinato, on line su http://www.valdarnopost.it dall’8.2.2012.

Aldo Tardivelli, Un filo spinato… non ancora rimosso, testo videoscritto in Word, s.d. [ma: post 2004?], p. 1-7, Collez. Varutti.

Aldo Tardivelli, …, «La Voce di Fiume», dicembre 2015.

A. Tardivelli, Era un tempo di guerra, 1944 – 1945. Bombardieri anglo americani sulla città di Fiume, dattiloscritto in formato Word, 30 giugno 2018, Collez. Varutti.

E. Varutti, Esodo disgraziato dei Tardivelli, da Fiume a Laterina 1948, pubblicato su eliovarutti.blogspot.com  il 22 gennaio 2017.

Progetto di Claudio Ausilio. Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti. Collezione famiglia Tardivelli, Genova. Copertina: cartolina di Fiume. Lettore: Claudio Ausilio. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine, – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

L’esodo degli Scocco da Pola a Udine, Laterina e Marina di Ravenna nel 1956

Certi esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia preferiscono non parlare, ancor oggi. Forse perché “no xe cose belle de contar”. C’è qualche esule che lascia solo brevi messaggi in Facebook come per Nadia Zanghirella, una cucciola dell’esodo, dato che ha frequentato la scuola elementare del Centro raccolta profughi (Crp) di Laterina. Era nella classe 3^ elementare della maestra Giuliana Stoppielli. Pur mancando banchi e armadi, come in tutta la scuola del Campo profughi, la maestra si arrangiò sui tavoloni da refettorio con panche pluriposto, trovando nell’aula: il mappamondo, l’atlante, carte geografiche e la bandiera (p. 24 del Registro Stoppielli). La Zanghirella, di recente, ha scritto in Facebook: “Pure noi siamo stati a Laterina nel 1956-‘58”. Eh, già da Laterina passano oltre 10mila esuli, dal 1948 al 1963, bisogna saperlo.

Attestazione di profugo di Scocco Giovanni del 20 maggio 1956, firmata dal prefetto di Arezzo, “sentito il Comitato provinciale dei Profughi giuliani di Arezzo”. Collez. Liliana Scocco Cilla

È come un fiume in piena, invece, la testimonianza di Liliana Scocco Cilla. Pure lei è una cucciola dell’esodo al Crp di Laterina. È una scolara della classe 4^ con la maestra Emilia Carmignani, di Terranuova Bracciolini (AR). La maestra scrive sul registro che i suoi alunni sono “pieni di entusiasmo e di buona volontà” (p. 17 del Registro Carmignani). Hanno poche suppellettili scolastiche. Il sussidiario arriva il 27 gennaio 1957 e “i ragazzi sono tanto contenti e vorrebbero studiarlo tutto insieme”, nonostante il disagio vissuto nelle baracche di Laterina.

“I miei genitori, quattro fratelli ed io siamo venuti via dalla nostra amatissima Pola nel gennaio 1956 – ha detto Liliana Scocco Cilla – dall’Istria siamo giunti a Udine al Centro smistamento profughi, dove c’erano i teloni per separare gli stanzoni, si faceva la coda per mangiare. Eravamo in cinque fratelli Maria Giovanna, Mario, Nerina, Liliana e Branco, poi c’era il papà Giovanni e la mamma Elvira Premate. A Udine ci siamo fermati per 8 giorni, poi a mio papà hanno detto di scegliere la destinazione tra alcuni Campi profughi, quello più a nord e più vicino all’Istria era quello di Laterina, così ci hanno mandato lì”.

Signora lei ha fatto la scuola a Pola, nel dopoguerra? “Sì, ho dovuto fare le scuole croate in 4 classi – ha risposto la signora Liliana – perché all’iscrizione ci hanno detto: ah, siete italiani, bene scuola croata! È stata dura, ma così ho vari amici che sento ancor oggi al telefono, poi io stavo dalla nonna Giovanna Premate, detta Ivana, a Promontore e ho altri amici anche lì e so parlare il croato”.

Ci sono altri ricordi di Laterina? “È un bel paesino lindo e pulito – ha aggiunto – ci siamo tornati per una visita anni dopo l’esodo, ma mia sorella maggiore non ha voluto saperne, lei ha chiuso  con l’Istria e non ne vuole sentir parlare, per lei deve essere stato brutto venir via. In Campo profughi mia sorella pianista suonava l’organo e si è messo su persino il coro per le cerimonie . Noi eravamo nella baracca n. 1, ci eravamo ambientati, dopo un anno siamo finiti a Marina di Ravenna, perché il papà voleva star vicino a Pola. Mi vengono in mente i nomi dei medici del campo profughi, il più giovane allora, nel lontano 1956, si chiamava dottor Fiore e l’altro era il dott. Sinisi”.

Liliana Scocco Cilla, I colori della regata, olio su tela, cm. 100 x 150, 2006

Ricorda qualcosa della scuola al Crp di Laterina? “Mi porto sempre nel cuore quell’insegnante – ha detto la testimone, emozionata – era una giovane maestra, lei mi chiamava ‘amore’, ero brava a fare i calcoli mentalmente, ero proprio veloce”.

Il nome della maestra è Emilia Carmignani. “La penso spesso, ancora mi si inumidiscono gli occhi di lacrime, pensi. Mi piacerebbe poterle dare un forte abbraccio. Ripeto lei era una grande maestra, lo sentivo, per questo è rimasta sempre con me racchiusa nel mio cuore”.

Esterno circolo italiano Pola 2015

Quale mestiere faceva il suo babbo a Pola? “Era capitano marittimo – ha replicato Liliana Scocco – e, penso fosse nel 1944, quando aumentavano i bombardamenti angloamericani sul porto, mi ricordo che raccontava di aver fatto togliere gli sbarramenti notturni antisommergibile per fare uscire la famosa nave ‘Amerigo Vespucci’, che stava a Pola, salvandola dalle bombe d’aereo. Poi un altro suo intervento celebre fu il tentativo di salvare l’equipaggio di un sommergibile italiano affondato a Promontore. Lui diceva che con la sonda era riuscito a far scendere un po’ di latte ai marinai bloccati là sotto, poi il tempo si è guastato, si son rotti gli ormeggi e quei disgraziati sono tutti morti, li hanno recuperati poco tempo fa. Quando raccontava questo fatto tragico aveva sempre le lacrime agli occhi, per non essere riuscito a salvarli, ma il mare è così. Nel dopoguerra era capitano marittimo sulle navi da Pola a Trieste e le autorità iugoslave l’hanno sempre lasciato lavorare nella tratta fino a Trieste, forse perché avevano bisogno di lui”.

Pola 2015, l’artista alla sua Mostra personale presso la sezione polese della Società ‘Dante Aligheri’. Collez. Liliana Scocco Cilla

Lei oggi vive a Ravenna, dopo che Felice Lapini, direttore del Crp di Laterina ha consegnato al suo babbo Scocco Giovanni il certificato di profugo, con le firme di Arcelio Lalli, sindaco di Laterina e di Vincenzo Paternò, prefetto di Arezzo. È questa l’ultima tappa del suo esodo? “Mio papà con quella smania di avvicinarsi il più possibile all’Istria e al mare – ha spiegato Liliana Scocco – ha fatto domanda per le case popolari a Marina di Ravenna, così ci siamo potuti trasferire dal Crp di Laterina, un posto che io ricordo con piacere. Scelta la città di residenza, ci siamo rifatti una vita lavorando duramente e onestamente”.

Signora Liliana, lei è una pittrice di fama internazionale, quali sono i temi della sua pittura? Posso dire che la pittura è stata terapeutica? “L’arte è stata la mia salvezza – ha concluso – prima dipingevo per me stessa, poi mi hanno detto di esporre le mie opere ed è stato un successo, perché sa, io dipingo con le mani, senza pennelli, è la tecnica del ‘Digitismo’, brevettata proprio da me. I temi della mia pittura sono il mare, dove non si vedono confini, la vela, quale segno di libertà e la luce”.

Biografia artistica – Liliana Scocco Cilla è nata l’11 febbraio 1945 a Pola, nell’Istria italiana, da dove, all’età di undici anni, si è trasferita in Italia, approdando a Ravenna, dove vive ed opera tutt’ora. Questa esperienza ne ha segnato la sensibilità che riversa nei suoi lavori, ricchi di tonalità, di sfumature e di una inconfondibile profondità. Con una pluridecennale pratica pittorica che ha raggiunto livelli eccelsi. Unica è la tecnica usata dall’artista che dipinge direttamente sulla tela, senza disegno preparatorio, formando con le mani le sue opere senza l’uso del pennello, proprio per il bisogno di sentire il colore e l’opera in un contatto diretto tra forma e spirito. Istinto, colore, forme: per Liliana Scocco Cilla sono i temi determinanti della sua personalissima  interpretazione dell’arte pittorica che ne hanno fatto la caposcuola del “Digitismo”, ovvero l’arte di dipingere con le dita direttamente sulla tela. Le sono stati attribuiti riconoscimenti da tutto il mondo artistico compresa la dedica “Omaggio a Liliana Scocco Cilla” attribuitale da vari artisti.

Pola 2015, Liliana Scocco Cilla con la professoressa Silvana Wruss, presidente della sezione polese Società ‘Dante Aligheri’. Collez. Liliana Scocco Cilla

Fonti orali e ringraziamenti

La redazione del blog per l’articolo presente è riconoscente a Valentina Suprani e al signor Claudio Ausilio, esule da Fiume a Montevarchi (AR), socio dell’ANVGD provinciale di Arezzo, per aver fornito con la consueta cortesia i contatti per la ricerca, andando a incrementare una tradizionale e collaudata collaborazione con l’ANVGD di Udine risalente al 2016. Oltre alle fonti orali e digitali, si ringraziano gli operatori e le autorità del Comune di Laterina e dell’Istituto Comprensivo “Francesco Mochi” di Levane (AR) per la collaborazione riservata all’indagine storica. Le interviste (int.) sono state condotte dal professor Elio Varutti, vicepresidente dell’ANVGD di Udine, se non altrimenti indicato.

Liliana Scocco Cilla, Pola 1945, vive a Ravenna, int. telef. del 16 novembre 2020, oltre ai contatti nel web con Claudio Ausilio del 2 febbraio 2014 e periodi successivi.

Nadia Zanghirella, Pola, vive a Bergamo, post in Facebook del 12 novembre 2020.

Fonti archivistiche

Premesso che potrebbero esserci alcuni errori materiali di scrittura nei registri esaminati, ecco i testi della ricerca presente; i materiali sono stati raccolti da Claudio Ausilio, dell’ANVGD di Arezzo.

Comune di Laterina (AR), Elenco alfabetico profughi giuliani, 1949-1961, ms.

Istituto Comprensivo “Francesco Mochi” di Levane (AR); consultati i seguenti documenti:

– Giuliana Stoppielli, Note della Prova d’esami, 14 giugno 1957, allegato al Registro della classe 3^ mista, insegnante Giuliana Stoppielli, anno scolastico [1956-1957], c. 1, ms.

– Provveditorato agli studi di Arezzo, Comune di Laterina, Circolo Didattico di Montevarchi, Frazione C.R.P., Scuola Elementare Laterina C.R.P., Registro della classe 4^ mista, insegnante Emilia Carmignani, anno scolastico 1956-1957, pp. 23+10, stampato e ms.

Scheda di registrazione della scolara Liliana Scocco, n. 3.725, del 2 febbraio 1956 al Crp di Laterina. Collez. Liliana Scocco Cilla

Collezione privata di Liliana Scocco Cilla, fotografie, documenti dell’esodo, scheda di registrazione al Crp di Laterina, dattiloscr., stampati e ms.

Cenni bibliografici nel web

Alcune immagini delle opere dell’artista, per gentile concessione dell’autrice alla pubblicazione, sono state riprese dal sito web di Liliana Scocco Cilla. http://www.lilianascoccocilla.it/

Liliana Scocco Cilla, 1967-2008. Oltre i confini del colore sensibile.

E. Varutti, Cucciole dell’esodo crescono. La scuola elementare al Campo profughi di Laterina, 1956-1957, on line dal 24 giugno 2020.

E. Varutti, Via da Pola nel 1956. I Mocenni ai Campi profughi di Aversa e Laterina con l’Istria nel cuore, on line dall’11 novembre 2020.

Retro della Scheda di registrazione di Liliana Scocco al Crp di Laterina, dove si legge, nella prima riga, la provenienza dal Centro smistamento profughi di Udine. Collez. Liliana Scocco Cilla

Progetto di Claudio Ausilio. Ricerca di Elio Varutti. Servizio giornalistico e di Networking a cura di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Liliana Scocco Cilla, Claudio Ausilio e Enrico Modotti. Copertina: Liliana Scocco vicino all’Arena di Pola nel 1951, Collez. Liliana Scocco Cilla. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

1956, via da Pola. I Mocenni ai Campi profughi di Aversa e Laterina con l’Istria nel cuore

Ci sono degli istriani famosi come Sergio Endrigo, Mario Andretti, Nino Benvenuti, Uto Ughi e, in campo artistico, c’è Gualtiero Mocenni. Pittore, scultore e grafico, Gualtiero Mocenni, è nato a Pola, nel rione di Montegrande, nel 1935. A Pola trascorre la sua giovinezza, finisce gli studi ginnasiali e si sposa con Aliza. Nel 1956, a ventuno anni, decide di andare in Italia. Dopo l’esperienza nei campi profughi e un breve soggiorno a Firenze, corona il suo sogno di andare a vivere a Milano, prima come grafico e poi dedicandosi esclusivamente alla pittura, un obiettivo da sempre nei suoi sogni. Non dimentica mai l’Istria, che frequenta assiduamente e sarà uno dei fili conduttori della sua ricerca artistica, sia in campo pittorico che in quello scultoreo. I soggiorni nella terra natale, sin dagli anni ‘70, diventano sempre più frequenti con periodi che durano fino a sei mesi, trascorsi a lavorare la sua pietra d’Istria nelle cave di Vincural e Altura, grazie al supporto di Kamen Pazin e dei suoi cavatori, con cui stringe un rapporto di vera e propria amicizia e contiguità lavorativa. Trasferisce l’amore per la sua terra anche ai figli e nipoti che ogni anno trascorrono vari periodi nella penisola. Artista noto nel mondo, Gualtiero Mocenni ha prodotto oltre 30 grandi sculture in Istria, dove è assai apprezzato, ma è presente pure in Italia.

Tessera ANVGD del Comitato Provinciale di Arezzo, data 11 settembre 1956 e intestata a Stefano, padre di Gualtiero Mocenni, esule da Pola. Collez. Mocenni

Simone Mocenni, figlio di Gualtiero, ha ereditato la vena artistica paterna, orientandosi nella produzione scritta. È del 2006 il suo romanzo intitolato Ginestre sulla costa / Trilogia di Pola, per la collana della EDIT di Fiume “Lo Scampo Gigante”. Tale romanzo, presente l’autore, è stato illustrato in pubblico con successo a Pola il 6 luglio, come ha scritto «La Voce del Popolo» del 22 luglio 2006. Gualtiero Mocenni ha accettato di raccontare la sua vita nei campi profughi. Ecco la sua preziosa testimonianza.

“Il mio nonno Simone era morto sotto i bombardamenti di febbraio del 1944 e noi non siamo venuti subito via da Pola dopo le opzioni – ha detto Gualtiero Mocenni – perché la nonna Elena stava poco bene, così s’è persa l’occasione e nonostante i ricorsi che poi faceva alle autorità mio papà Stefano, non volevano lasciarci partire. Per lo svincolo dalla cittadinanza iugoslava di mia moglie, di etnia croata, si è pagato un riscatto e abbiamo abbandonato l’Istria nel 1956”.

Con quali mezzi siete partiti da Pola e dove vi hanno destinato? “Siamo partiti in treno per Trieste – è la risposta – ma non tutta la famiglia insieme. Mio padre Stefano, mio fratello Elio e mia madre Romana sono andati al Centro raccolta profughi di Laterina (AR), mentre mia moglie ed io siamo finiti al Crp di Aversa (CE), ma si è chiesto il ricongiungimento familiare così anche noi siamo giunti a Laterina”.

Signor Mocenni, lei è il primo a raccontarmi di aver scelto il Crp di Laterina. Tale Campo nei primi anni di attività era poco apprezzato dai profughi d’Istria, Fiume e Dalmazia, per i disagi e per le precarie condizioni di vita. “È vero il Crp di Laterina non era certo un comodo hotel – ha replicato Mocenni – pensi che ad Aversa ogni famiglia viveva in una piccola baracca, mentre a Laterina la baracca era lunga decine di metri e ogni 4 metri era tirato un filo di ferro con le coperte appese per dare un po’ di intimità. Erano disagi grossi con i servizi igienici raggiungibili dall’esterno, ma almeno la famiglia era riunita e mia moglie ha trovato lavoro in segreteria nello stesso Crp. Ho anche dei bei ricordi di Laterina, mentre ad Aversa i profughi erano malvisti. Ebbene a Laterina un negoziante di calzature che conoscevo mi ha regalato addirittura un paio di scarpe”.

Certificato di cittadinanza italiana di Mocenni Stefano, del Comune di Laterina, del 1959, uso emigrazione. Collez. Mocenni

Poi cosa succede? “Capita che mio padre, mia madre e mio fratello Elio nel 1960 emigrano a Buenos Aires fino al 1965 – ha aggiunto il testimone – mentre io andavo a lavorare a Firenze, pensi che disegnavo e dipingevo i cartelloni per il cinema alla Fortezza da Basso, fino al 1957, poi sono andato a Milano, perché era considerata la capitale culturale del momento, ancora più attraente di Parigi e a Milano ci hanno raggiunti più tardi pure i miei familiari rientrati dall’Argentina”.

C’è qualche altro ricordo di Pola nel dopoguerra? “Sì, è successo che mio padre si è presentato a Pola in divisa inglese – ha replicato Mocenni – perché ha combattuto nel 14° Reggimento scozzese degli Highlander e quindi i militari iugoslavi, credendolo un tedesco, l’hanno imprigionato e volevano fucilarlo, per fortuna è stato salvato da una conoscente che ha spiegato loro l’equivoco. Con orgoglio posso dire che oggi a Pola c’è un mio monumento in acciaio intitolato Alla città e ai polesani, del 1979, alto 7 metri”.

Anche per lei, come per molti profughi dell’esodo giuliano dalmata l’Italia è stata un po’ matrigna, oppure no? “A dire il vero forse sì – ha concluso Gualtiero Mocenni – a un certo punto mi hanno cercato i carabinieri perché, secondo loro, ero renitente alla leva, ma ero l’unico sostegno della mia famiglia e nonostante ciò per evitare la prigione di Gaeta, sono andato militare a Palermo, poi là il comandante ha visto che ero bravo in cartellonistica e mi ha tenuto in considerazione, poi ho avuto l’avvicinamento alla famiglia e ho finito la naia a Milano, ma le mie radici sono a Pola, dove ho avuto tanti riconoscimenti, come la cittadinanza della città e della regione istriana”.

Stato di famiglia di Metti Romana, moglie di Stefano Mocenni, emesso dal Comune di Laterina, del 1959, per emigrazione. Collez. Mocenni

Chiediamo a Simone Mocenni, figlio di Gualtiero, com’è la situazione a Pola, in questi ultimi anni, al di là della crisi sanitaria dovuta alla pandemia di Covid-19. “Noi figli siamo attaccati all’Istria – ha detto Simone Mocenni – e parliamo in dialetto istriano anche con mio figlio, c’è un bel dialogo con la gente del posto, ci sentiamo europei”.

Il Crp di Laterina – “Il 19 agosto 1948 veniva aperto il Centro Profughi di Laterina nelle vicinanze di Arezzo – così scrive nella sua tesi di laurea Francesca Lisi, a p. 138 –. Questo Centro, che dipendeva dal Ministero dell’Interno, a differenza di quello di Arezzo, era in grado di ospitare un numero maggiore di profughi ed aveva un’organizzazione molto più efficiente”. La struttura chiuse i battenti il 30 settembre 1963 (p. 224 della tesi). I profughi transitati sono oltre 10mila, come si vede dalla tabella n. 1. Tra le fonti bibliografiche sulle presenze per il 1946, si aggiunga rispetto alla ricerca dello scrivente diffusa il 1° settembre 2020 nel blog, anche la pubblicazione di Giuseppe Jannacci, il quale, circa Laterina, afferma che: “Nel 1946 la struttura degli alloggiamenti si trasformò: alle capanne in muratura si aggiunsero baracconi per ospitare i profughi della Venezia Giulia e la vita interna ebbe disciplina separata”. Il Campo accoglieva infatti pure 1.637 internati politici, Altoatesini ed altri recalcitranti repubblichini. Dal 1948 il Crp fu a disposizione soprattutto di profughi dell’esodo giuliano dalmata, oltre a quelli del Dodecaneso e delle colonie d’Africa.

Tabella n. 1 – Numero d’arrivi al Centro raccolta profughi di Laterina, 1946-1963

Anni1946194819581949-611962-63Totale
Arrivi, o  stime *1.7003.0006484.693300 *10.341
Fonti: Nostra elaborazione su: S. Bassetti, Gianfranco Chiti…(per il 1946), Schede di registrazione delle famiglie Compassi e G. Chiappino, Il campo per prigionieri… (1948), Pastrovicchio (1958) e dall’Elenco alfabetico profughi giuliani del Comune di Laterina, 1949-1961.
Atto di convocazione a Genova per emigrare in Argentina di Mocenni Stefano, Romana e Elio dal Centro Raccolta Profughi di Laterina (AR), con la nave Provence. Collez. Mocenni

Fonti orali e ringraziamenti – Si ringraziano gli amministratori e gli operatori del Comune di Laterina (AR). Grazie al signor Claudio Ausilio, dell’ANVGD di Arezzo, con cui l’ANVGD di Udine collabora dal 2016 per le ricerche sull’esodo giuliano dalmata. Ausilio, esule da Fiume a Montevarchi (AR), mi ha inviato molto materiale di studio sul Crp di Laterina e mi ha messo cortesemente in contatto con i signori Gualtiero e Simone Mocenni. Un sentito ringraziamento vada agli intervistati per la cortesia dimostrata nella ricerca presente. Le interviste (int.) sono state condotte da Elio Varutti come qui di seguito indicato.

Gualtiero Mocenni, Pola 1935, vive a Milano e a Pola, int. telefonica del 9 novembre 2020 assieme al figlio Simone.

Simone Mocenni, Milano 1970, vive a Milano e a Pola, int. telefonica del 9 novembre 2020 assieme al babbo Gualtiero.

Collezioni private e ANVGD – Claudio Ausilio, ANVGD di Arezzo, Comune di Laterina (AR), Elenco alfabetico profughi giuliani, 1949-1961, ms.

Famiglia Compassi Mandich, esule da Fiume a Laterina e Genova: fotografie, documenti, schede di registrazione al Crp di Laterina, stampati e ms.

Gualtiero Mocenni, Milano-Pola: tessera ANVGD del Comitato Provinciale di Arezzo, documenti dell’esodo, fotografie, ritagli di giornali, articoli letterari, stampati e dattiloscr.

Famiglia Pastrovicchio, esule da Valle d’Istria a Pessinetto, città metropolitana di Torino: schede di registrazione al Crp di Laterina, stampati e ms.

Pola, 2017 – Gualtiero Mocenni, al centro, cittadino onorario della regione Istriana. Collez. Mocenni

Cenni bibliografici e del web

Sandro Bassetti, Gianfranco Chiti. Vita militare di un Ufficiale e Gentiluomo, 1936-1978, Milano, Lampi di stampa, 2010.

Ivo Biagianti (a cura di), Al di la del filo spinato. Prigionieri di guerra e profughi a Laterina (1940-1960), Firenze, Centro Editoriale Toscano, 2000.

Gianna Chiappino, Il campo per prigionieri di guerra n. 82 di Laterina, testo in Word, 13 settembre 2003, pp. 16 con foto di documenti d’archivio, piante e panoramiche dei resti del Campo. Per tale documento Claudio Ausilio è riconoscente all’ex Sindaco di Laterina, signora Rosetta Roselli.

Piotr Chmiel, Università di Varsavia, “Atlante del fuorimano. Il panorama di luoghi della letteratura italiana dell’Istria”, «Planeta Literatur. Journal of Global Literary Studies», 1, 2015, pp. 1-14.

Giuseppe D. Jannacci, I lager dei vinti.I Campi di Concentramento per i Soldati della R.S.I., Macerata, Scocco & Gabrielli, 2011.

Helena Labus, “Grandi opere plen air di Gualtiero Mocenni”, «La Voce del Popolo», 22 luglio 2006, p. 6.

Francesca Lisi, L’Assistenza post-bellica ad Arezzo. Il Centro Raccolta Profughi di Laterina, Tesi di Laurea, Università di Firenze, Anno accademico 1990-1991.

Alfio Mandich, “Ricordi dell’esodo. Quando se partiva senza saver dove se andava”, «La Voce di Fiume», 30 aprile 1997.

P.T. [Piero Tarticchio], “Gualtiero Mocenni e l’Obelisco-scultura di Valcane”, «L’Arena di Pola», n. 12, 28 dicembre 2006, p. 9.

E. Varutti, Esodo da Fiume a Laterina. La s’ciavina per parete di giorno e per dormire la notte, 1948, on line dal 1° settembre 2020.

Progetto e ricerca iconologica di Claudio Ausilio. Servizio giornalistico e di Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e Elio Varutti. Lettori: Stefano Meroi, Claudio Ausilio, Gualtiero e Simone Mocenni. Copertina: Gualtiero Mocenni mostra il suo quadro col paesaggio di Laterina degli anni ’50; l’opera è stata esposta a Pola, Trieste, Caserta, Laterina e, infine, Milano; foto del 2014. Collez. Mocenni. Fotografie e documenti della collezione privata di Gualtiero Mocenni e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

Gualtiero e Simone Mocenni. Collez. Mocenni

Esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia si associano in Friuli col presidente Conighi, 1946-1954

Quando nasce l’ANVGD a Udine? E come si chiamava? Col presente articolo si cercherà di dare una risposta all’alba dell’associazionismo giuliano dalmata in Friuli dopo la Seconda guerra mondiale. È interessante capire come gli esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia si associano in Friuli per ricevere aiuto, per darsi coraggio e per rivendicare i propri diritti verso l’Italia matrigna, dopo la fuga e l’abbandono delle terre degli avi a causa delle prevaricazioni e delle violenze titine.

La prima notizia riguardo all’associazionismo dei profughi giuliano dalmati a Udine è del 16 gennaio 1946. In una lettera scritta dalla zona di Trieste a Renato Vittadini, prefetto di Udine, il partigiano col nome di battaglia Furio menziona il “Comitato Esuli Istriani Dalmati e Fiumani”. In particolare il capo partigiano scrive riguardo al “nulla osta e appoggio alla costituzione” di detto Comitato. Ho reperito tale dato presso l’Archivio di Stato di Udine (ASUd), Prefettura, b 55, f 190, ms. Nulla osta significa che: niente osteggia. È solo una presa d’atto. Non altro, come invece si deduce dal pur interessante sito web, in lingua croata, sulla figura di Carlo Leopoldo Conighi a cura di Nenad Labus.

Sussidio a Corinna De Cecco firmato da Conighi, 1947; Aanvgd b B, Contributi

Il prefetto di Udine Vittadini si attiva sul tema dei profughi perché il 6 gennaio 1946 viene istituito, con decreto ministeriale, l’Ufficio della Venezia Giulia, alle dipendenze del Ministero dell’Interno. Esso ha il fine di “promuovere, coordinare e vigilare le iniziative in favore dei connazionali profughi della regione giuliana”, come scrive la Colummi (a pag. 309), utilizzando le fonti dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma e alcune note del prefetto Micali.

Sul giornale «Libertà» che esce a Udine, sotto il controllo angloamericano e del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), il 10 maggio 1946 si legge una notizia circa la “Sezione di Udine del Comitato Alta Italia per la Venezia Giulia e Zara”. In sigla è il CAIVGZ. Il neonato organismo dell’associazionismo giuliano dalmata informa che c’è “l’esonero del pagamento delle tasse scolastiche per gli studenti medi giuliani che abbiano dovuto abbandonare la propria residenza per gli eventi bellici” secondo una nota del Ministero della Pubblica Istruzione, in base ad un provvedimento del Consiglio dei Ministri. Si sa, inoltre, che la sezione di Udine del Comitato Alta Italia per la Venezia Giulia e Zara ha sede in Via Liruti n. 12, con orario dalle ore 9 alle 12,30 e dalle 14,30 alle 17,30.

Domenica 23 giugno 1946, come si legge sulla stampa locale («Libertà» del 21 giugno 1946 e «Messaggero Veneto» del 25 giugno 1946) si celebra a Udine la “Giornata della solidarietà istriana”. L’evento è volto a “raccogliere fondi per l’assistenza a favore dei profughi istriani residenti nella provincia e per ricordare alle genti del Friuli questi nostri fratelli costretti a vivere in esilio nella loro stessa Patria per non sottostare ad un regime straniero tanto inviso”. L’ente organizzatore è la sezione di Udine del Comitato Alta Italia per la Venezia Giulia e Zara (CAIVGZ) che, nel frattempo, ha cambiato sede dato che si trova “in Via Belloni 12, telefono 233”. Finora si sa poco di tale organismo, che poco dopo cambierà nome.

L’attentato di Vergarolla del 18 agosto 1946, secondo alcuni esuli cambia tutto, implementando la paura e il desiderio di fuga dagli iugoslavi che volevano farla da padroni. Vergarolla è un’amena spiaggia, vicino a Pola, che nel dopo guerra funge da deposito di materiale bellico, evidentemente messo in sicurezza. Pola in quei frangenti appartiene ancora all’Italia, pur essendo controllata militarmente dagli angloamericani. Accade che, quando la spiaggia della città portuale istriana è affollata per la popolare manifestazione di nuoto della società “Pietas Julia”, ci sia lo scoppio del grosso arsenale di esplosivo, con l’uccisione di oltre 80 persone, tutti italiani, in maggioranza donne, madri di famiglia e bambini. Certe fonti attribuiscono l’attentato ad elementi dei servizi segreti titini. Tutti percepiscono subito quale fosse stata la matrice del delitto di Vergarolla nell’intento di spingere all’esodo coloro che non si erano ancora rassegnati: ebbene, nel 2006, l’apertura degli archivi inglesi di Kew Gardens (Foreign Office) ha confermato che la strage fu opera dell’OZNA, la polizia politica jugoslava, ed ha affidato i nomi di cinque responsabili alla storia. Su tali fatti ha scritto Carlo Cesare Montani, esule da Fiume.

Si occupa degli esuli a Udine pure il giornale di Trieste «La Voce Libera» che nella pagina della “Cronaca del Friuli”, del 14 ottobre 1946, riporta la notizia della indizione della “Settimana del profugo” nel capoluogo friulano. L’organizzazione è del Comitato profughi istriani, fiumani e dalmati per una “umana e fraterna solidarietà”.

Opzione di Zuccheri Lorenzo, pag. 2, 1948; Aanvgd, b F, Qualifiche

Tutti i Conighi via da Fiume – L’esodo da Fiume coinvolge anche il gruppo delle famiglie dei costruttori Conighi. Va a Trento il comandante dei vigili del fuoco Giorgio Conighi, che prima era già stato trasferito a Trieste. A Roma, passando per Venezia, vanno Ferruccio Conighi, suo zio Cesare Augusto Conighi e le famiglie rispettive. Alcuni gruppi di loro parenti vanno esuli a Firenze, Norimberga, Klagenfurt e in Svizzera, mentre certi cari amici di casa riparano a Bolzano. Una parte dei Conighi va esule a Udine, essendosi trasferito lì l’architetto Carlo Leopoldo Conighi, dipendente delle ferrovie. “I era andadi a Udine – ha detto Miranda Brussich – la zia Maria Regina Conighi, zia Helga, mia suocera Amalia Rassmann Conighi, mio suocero l’architetto Carlo Conighi e ‘l nono bis, che iera l’ingegnere Carlo Alessandro Conighi, perché la zia Maria la iera amica della signorina Giordani, alieva de l’Educandado Uccellis de Udine. Lori i ghe ga dà casa in afito de Via Volontari de la Libertà. Una stanza per ‘l nono bis e zia Maria e le altre done in sofita con Carlo Conighi l’architeto”. La signora Miranda, sposata nel 1942 con Carlo Enrico Conighi (Fiume 1914 – Ferrara 1995) col figlio Carlo Cristiano (Fiume 1943 – Ferrara 2010), sono profughi a Trieste, poi a Belluno, spostatisi poi per lavoro a Forlì, Modena e Ferrara. I Conighi riparati in casa Giordani a Udine stanno in quella soffitta fino al 1958, poi vanno in un alloggio in affitto in via del Gelso. “La casa di viale Volontari della Libertà è stata costruita da mio nonno Italico Giordani, che era costruttore a Fiume e in Friuli, agli inizi del Novecento – ha detto Carla Giordani, socia ANVGD – ricordo che da bambina giocavo col piccolo Carlo Conighi, quasi mio coetaneo e c’erano i suoi familiari”. I Conighi riescono a traslocare parte delle loro masserizie in treno da Fiume a Udine, poi dalla stazione ferroviaria verso casa Giordani con la ditta di Sabino Leskovic di Udine, che utilizza “carri, cavalli e uomini”, come si legge nella Nota spese del 17 settembre 1946, regolarmente quietanzata (Collezione famiglia Conighi).

Il primo presidente – Secondo quanto riferito da Giuseppe Bugatto, esule da Zara, negli anni 1946-1947, il presidente dell’associazionismo giuliano dalmata a Udine è un tale Sbisà, coadiuvato da don Luciano Manzin. Un dirigente dell’organismo degli esuli a Udine è senz’altro Tevere Sbisà, detto Testi. Si legge ne «L’Arena di Pola» del 30 marzo 1965: “Infatti dopo l’esodo dall’Istria il caro amico Tevere Sbisà, padre di Gianfranco, visse qualche anno a Udine dove fu anche segretario del Comitato giuliano-dalmata. Quindi, di fronte alle difficoltà che in quel momento rendevano impossibile una sistemazione adeguata, la famiglia Sbisà accettò l’offerta di trasferirsi in Australia”.

Attestazione di profugo di Volghieri Emilio; Aanvgd, b F, Qualifiche, 1949

Nel 1947 è presidente Carlo Leopoldo Conighi; ciò in base alla tessera n. 1.096 del Comitato Nazionale per la Venezia Giulia e Zara (CNVGZ), sede di Udine, rilasciata il 2 giugno 1947 e intestata al maestro Renato Lupetich, di Fiume, che è dichiarato “profugo giuliano” (Collezione privata, Belluno). Una ulteriore conferma della sua presidenza si ha dalla concessione di un sussidio di lire 1.600 all’esule Corinna De Cecco, proveniente dall’Istria, residente a Udine con quattro persone a carico. La De Cecco fa domanda nel mese di giugno 1947 e l’ordine di pagamento n. 3.018, del successivo 3 settembre, è firmato da Carlo Conighi, presidente della Sezione di Udine del Comitato Alta Italia per la Venezia Giulia e Zara (CAIVGZ); cfr.: Archivio dell’ANVGD di Udine, d’ora in poi: Aanvgd, busta B, Contributi, 1947. Ciò significa che c’erano a Udine, nel 1947, oltre 3.000 profughi che avevano già ottenuto un sussidio monetario dal CAIVGZ, presieduto dall’architetto Carlo Conighi. C’è infine la tessera del CNVGZ n. 494, del 20 dicembre 1947, sezione regionale di Udine, firmata dal Conighi e intestata all’insegnante Maria Zonta di Parenzo, esule a Udine, dichiarata profuga il 14 settembre 1948.

Il 23 marzo 1948 è la data della tessera di socio del Comitato Nazionale per la Venezia Giulia e Zara (CNVGZ), sede regionale di Udine della signora Maria Regina Conighi, nata a Trieste nel 1881 ed esule da Fiume. La tessera è firmata dall’architetto Carlo Leopoldo Conighi, fratello di Maria Regina (Collezione Helga Conighi, Udine).

Don Manzin è presidente regionale del Comitato Nazionale per la Venezia Giulia e Zara (CNVGZ), come risulta da «L’Arena di Pola» del 16 giugno 1948. Il giornale istriano riporta le attività del 1947 dell’organismo dei profughi a Udine, che comprendeva anche la zona di Pordenone. La struttura a Udine ha messo piede, tanto da riuscire ad organizzare il raduno dei Comitati Triveneti del CNVGZ. La medesima testata riferisce che per Udine sono intervenuti “il reverendo professor Manzin, il sig. Conighi, il conte Fanfogna e il sig. Antonio Premate”.

Secondo Mario de Vidovich a Roma il 20 giugno 1948 ottanta comitati provinciali di esuli giuliano dalmati danno vita all’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), primo presidente è Alfonso Orlini, di Cherso, ma a Udine la sigla CAIVGZ permane per un po’ di tempo, come si può vedere dalla bolletta della luce del 1951 (Coll. famiglia Conighi). È del 13 settembre 1948 la Dichiarazione di opzione per la cittadinanza italiana di tale Lorenzo Zuccheri, nato a Dignano d’Istria nel 1893 ed ivi residente in piazza Italia n. 1.080, redatta presso il Comune di Udine, con legalizzazione prefettizia della stessa data. L’incartamento è diretto al Consolato Generale della Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia in Milano. Lo Zuccheri pone il suo domicilio “presso Delton in via Trieste a Udine”. Curioso che nella postilla A della medesima pratica sia previsto addirittura che fosse emesso un “Certificato del Comitato Popolare di… attestante che la mia lingua d’uso è l’italiana”. Come a dire italiani (pur titini) dichiarano di cacciare via altri italiani da terre italiane, dato che la lingua d’uso è quella italiana (Aanvgd, b. F, Qualifiche, 1948).

Il 5 luglio 1949 il prefetto di Udine, in base al D.L. 3 settembre 1947, n. 885, riconosce “la qualifica di profugo” al signor Emilio Volghieri, nato a Pola nel 1920, di professione autista. Nel documento rilasciato dal Comune di San Giorgio di Nogaro a firma di Giuseppe Garzoni, segretario comunale, il prefetto precisa di aver “sentito il Comitato Provinciale della V.G. e Zara”. I familiari a carico del Volghieri sono Ester Gorlato, la moglie e le figlie Luciana e Paola Volghieri (Aanvgd, b. F, Qualifiche, 1949). In base alla normativa vigente  l’associazionismo giuliano dalmata deve essere tenuto, dunque, in grande considerazione dall’autorità prefettizia e dalle amministrazioni comunali della provincia di Udine.

Scheda elettorale Consiglio Direttivo Anvgd di Udine, 1950; Aanvgd, b D, Cariche sociali verbali

ANVGD divisa in 4 Leghe – In occasione dell’assemblea ordinaria tenutasi in sala Brosadola a Udine per il rinnovo delle cariche sociali si sa dal «Messaggero Veneto» del 6 agosto 1950 che il presidente dell’ANVGD è il conte Giovanni de Fanfogna; il vice presidente risulta Carlo Conighi. La sede dell’associazione è in piazza Marconi, 7. Di detta assemblea c’è la scheda elettorale, che evidenzia come il sodalizio a Udine fosse suddiviso in base alle provenienze dell’esodo, perciò l’ANVGD di Udine è composta da 4 Leghe: Fiumana, Istriana, Dalmata e Triestina-Goriziana. I candidati sono Carlo Conighi, erroneamente definito “ing.” e Enrico Persi (Lega Fiumana), don Luciano Manzin e Argeo Benussi (Lega Istriana), Giovanni de Fanfogna e Walter Tudorov (Lega Dalmata), Antonio Premate e Marcello De Angeli (Lega Triestina-Goriziana). Cfr.: Aanvgd, busta D, Cariche sociali, verbali, 1950. Ciò conferma che pure Trieste e Gorizia, in quegli anni, fossero considerate terre d’esodo, data la loro instabilità politico istituzionale, i vari sconfinamenti, i sabotaggi e il pullulare di spie di ogni sorta. Gorizia era divisa dal confine con quella parte di città che gli slavi si annettono e chiamano Nova Gorica, mentre Trieste era sotto amministrazione angloamericana nel Territorio Libero di Trieste (TLT) fino al 1954, quando c’è la riannessione all’Italia. Nel 1951 è presidente dell’ANVGD di Udine l’architetto Carlo Conighi, mentre il vice presidente è Antonio Calvi.

Poi ci sono le tensioni politico militari del 1953-1954 fra Italia e Jugoslavia. “Mi ricordo che a Gorizia verso 1953 il confine era molto vicino alla mia scuola e i militari iugoslavi armati e coi capelli lunghi arruffati venivano a farci paura, gridando come matti dietro la recinzione confinaria – ha raccontato Ines Leonardi – noi ragazze eravamo allieve della scuola magistrale agazziana delle suore Orsoline e quel giardino vicino agli arbusti non lo potevano proprio sopportare, visto che quelli, passando sotto il filo spinato, ci inseguivano urlando coi mitra”. Un’altra fonte ricorda che: “In quel momento di crisi politica internazionale c’era tanta paura in famiglia – ha aggiunto Carmen Burelli – se ricordo bene le suore Orsoline di Gorizia ci fecero stare a casa per alcuni giorni, solo alcune delle studentesse si avvicinavano a quel giardino da dove sbucavano gli iugoslavi, ma noi, mai”.

Come si legge su «Difesa Adriatica» del 7 febbraio 1954 il presidente del sodalizio udinese dei profughi è ancora Carlo Conighi. Il 9 gennaio 1954 e nei giorni seguenti l’ANVGD di Udine consegna vari sussidi ai profughi che ne avevano fatto richiesta. È il caso di Sagrestano Vincenzo che firma una ricevuta di lire 500 (Collez. Conighi). Il 23 gennaio successivo un tragico lutto investe il Conighi, che perde l’amata consorte, Amalia Rassmann, tedesca di origine boema, come si vede a p. 2 su «Difesa Adriatica» del mese di febbraio 1954.

Bolletta della luce per il CAIVGZ di Udine, 1951. Collez. fam. Conighi.

Le dimissioni di Conighi – In seguito, sono convocati in assemblea per il rinnovo delle cariche sociali i 187 soci dell’ANVGD di Udine alla data del 25 luglio 1954. La riunione è piuttosto effervescente riguardo alle candidature per il Consiglio direttivo, considerato che nel 1953 i soci erano meno di cento, mentre in seguito raddoppiano in pochi mesi. Succede che certi fiumani, nelle votazioni per il Consiglio direttivo, preferiscono un triestino al fiumano Conighi il quale, sentendosi risentito da tale gesto, rassegna le sue dimissioni il 30 luglio 1954 al Comitato elettorale. Il presidente dello stesso Comitato elettorale, Guido de Randich, ha firmato il verbale delle votazioni per il Consiglio direttivo, da cui emerge che sono eletti: Borri Carlo, Bratti Attilio, Cremonesi Arduino, De Angeli Marcello, Gecele Augusto, Marini Marino, Premate Antonio, Scaglia Livio e Terdossi Claudio.

Passano un po’ di settimane, durante le quali, con contatti verbali probabilmente si cerca di rimediare alle dimissioni. Allora Aldo Clemente, presidente dell’Opera per l’Assistenza ai profughi giuliani e dalmati, da Roma il 24 agosto 1954, scrive al Conighi, manifestandogli il suo “sincero rincrescimento per il suo ritiro dall’Esecutivo del Comitato Provinciale di Udine, dopo lunghi anni di proficuo lavoro a favore dei Profughi Giuliani e Dalmati”. Il 15 settembre successivo Marcello De Angeli, presidente dell’ANVGD di Udine fresco di nomina, scrive al Conighi, accettando le sue dimissioni e nominandolo “presidente onorario”, con la sua firma assieme a quella del segretario Arduino Cremonesi e dei vicepresidenti Marino Marini e Claudio Terdossi. Pace sembra fatta. Il 21 settembre 1954, infatti, Carlo Conighi, nella sua veste di presidente onorario dell’ANVGD di Udine, scrive a padre Flaminio Rocchi, alla segreteria nazionale dell’ANVGD di Roma per perorare la causa del socio Alcido Innocente, macellaio, riguardo al rimborso per i beni abbandonati. “Per l’Alcido – spiega Conighi – il risarcimento di questi suoi beni, può significare la sua salvezza fisica versando egli in condizioni salutari veramente pietose e in continuo peggioramento” (Lettera di C. Conighi a padre Rocchi, Udine 21 settembre 1954, Collez. Conighi).

Lettera di Aldo Clemente a Carlo Leopoldo Conighi; Collez. fam. Conighi

Nota riguardo alla copertina – Una osmiza, o osmizza (in sloveno osmica), è un negozio tipico dell’altopiano del Carso, tra Italia e Slovenia, dove si vendono e si consumano vini e prodotti locali (quali uova, prosciutti, salami e formaggi) direttamente nelle stanze e nelle cantine dei contadini produttori. Tali negozi sono poi definiti agriturismi, con possibilità di ospitalità. Una vecchia zia triestina, senza malizie ma solo con intenti identitari, negli anni ’40 diceva: “Se magna e se bevi assai ben ne le osmizze, pecà che xe tutti s’ciavi, anche i gatti”. Con la parola “s’ciavo”, in dialetto istro-veneto si intende “schiavo”, nel senso di “slavo, croato”. Deriva dal latino volgare “sclavus”, ossia “slavo”. I veneziani chiamavano “S’ciavoni” o “Schiavoni” i marinai slavi della flotta della Serenissima e pure gli abitanti slavi delle isole e della Dalmazia, senza attribuire al termine l’accezione vagamente spregiativa, che ha assunto invece a Trieste, con la guerra fredda: “s’ciavo = schiavo, sottomesso, o iugoslavo titino”.

Fonti orali e ringraziamenti – Si ringraziano e si ricordano le persone seguenti che hanno collaborato alla ricerca con l’intervista (int.) condotta a Udine da Elio Varutti con taccuino, penna e macchina fotografica, se non altrimenti indicato. Grazie a Fausto Deganutti per l’immagine di copertina dell’articolo presente e a Daniela Conighi per i vari aiuti nelle biografie.

1) Miranda Brussich, vedova Conighi (Pola 1919 – Ferrara 2013), int. a Ferrara tra il 17 agosto 2003 e il 21 agosto 2013, alla presenza della figlia Daniela Conighi.  2) Giuseppe Bugatto Junior (Zara 1924 – Udine 2014), int. del giorno 11 febbraio 2004, in presenza di Giuseppe Marsich, italiano all’estero (Veglia 1928 – Udine 2019) e di Rita Bugatto in Marsich, Zara 1928.  3) Carmen Burelli, Udine 1936, int del 4 novembre 2020.  4) Carla Giordani, Udine 1942, int. del 2 novembre 2020. – Ines Leonardi (Udine 1934 – Roma 2014), int. del 6 luglio 2012.  5) Giovanni Lupetich, Udine 1953, residente a Belluno, int. telef. del 10-14 giugno, 7 agosto 2016, oltre all’int. del 1° settembre 2016, con sua figlia Marianne Lupetich.

Lettera di Carlo L. Conighi a padre Rocchi, 1954; collez. fam. Conighi

Archivi, Biblioteche e Istituti di ricerca visitati – Archivio ANVGD di Udine (Aanvgd), Collezione Maria Zonta di Parenzo, tessera CNVGZ n. 494 del 20 dicembre 1947, sezione regionale di Udine. Ordine di pagamento a De Cecco, 1947, b B Contributi e varie altre buste. – Archivio di Stato di Udine (ASUd), Prefettura, b 55, f 190, ms. – Biblioteca Civica “Vincenzo Joppi”, Udine, quotidiani, libri e giornali vari. – Biblioteca dell’ANVGD di Udine, Vicolo Sillio, 5, libri sull’esodo. – Biblioteca Statale Isontina, Gorizia, «L’Arena di Pola», annate varie. – Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, Udine, quotidiano «Libertà», 1946.

Collezioni private – Collezione famiglia Conighi, Ferrara, ora a Udine, bollette, lettere, verbali, nota spese e fotografie.

– Collezione Helga Conighi Orgnani, Udine, tessera ANVGD n. 628, giornale «Difesa Adriatica» 1954 e vari altri cimeli.

– Collezione privata, Belluno, tessera n. 1.096 del CNVGZ, sede di Udine, del 2 giugno 1947 e intestata a Renato Lupetich, di Fiume.

Ricevuta per sussidio a Sagrestano Vincenzo, ANVGD di Udine,1954; Coll. fam. Conighi

Riferimenti bibliografici – Cristiana Colummi, Liliana Ferrari, Gianna Nassisi, Germano Trani, Storia di un esodo. Istria 1945-1956, Trieste, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione del Friuli Venezia Giulia, 1980.

«Difesa Adriatica», VIII, n. 6-7, febbraio 1954, p. 2.

“Le nozze di Gianfranco e Carol Sbisà a Sydney”, «L’Arena di Pola», n. 1.466, 30 marzo 1965, p.2.

Elio Varutti, Il Campo Profughi di Via Pradamano e l’Associazionismo giuliano dalmata a Udine. Ricerca storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo, 1945-2007, Udine, Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Comitato Provinciale di Udine, 2007.

Sitologia – Carlo Cesare Montani, Gloria victis: la strage di Vergarolla. A 70 anni dall’eccidio, il giudizio storico circa la responsabilità jugoslava si coniuga con quello etico, 2017.

– Nenad Labus – SEAS, Biografija. Conighi, Calo Leopoldo, “Formula 1 dizionario – Fiume” (in lingua croata).

– E. Varutti, L’ANVGD di Udine, storia e cifre, on line dal 16 agosto 2017.

Udine 19.11.1961, sala Circolo bancario, conferenza per il Gruppo Giovanile Adriatico dell’avvocato Ruggero Gherbaz, sindaco del Libero Comune di Fiume, a sinistra, presentato dall’architetto Carlo L. Conighi, presidente onorario dell’ANVGD di Udine. Collez. fam. Conighi

Servizio giornalistico diretto da Elio Varutti. Ricerche e Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Copertina: Fausto Deganutti, La strana Osmizza, cm 40 x 50, 1999, courtesy dell’artista. Lettrice: Daniela Conighi. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 (in fase di trasloco) – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

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