Quando nasce l’ANVGD a Udine? E come si chiamava? Col presente articolo si cercherà di dare una risposta all’alba dell’associazionismo giuliano dalmata in Friuli dopo la Seconda guerra mondiale. È interessante capire come gli esuli d’Istria, Fiume e Dalmazia si associano in Friuli per ricevere aiuto, per darsi coraggio e per rivendicare i propri diritti verso l’Italia matrigna, dopo la fuga e l’abbandono delle terre degli avi a causa delle prevaricazioni e delle violenze titine.
La prima notizia riguardo all’associazionismo dei profughi giuliano dalmati a Udine è del 16 gennaio 1946. In una lettera scritta dalla zona di Trieste a Renato Vittadini, prefetto di Udine, il partigiano col nome di battaglia Furio menziona il “Comitato Esuli Istriani Dalmati e Fiumani”. In particolare il capo partigiano scrive riguardo al “nulla osta e appoggio alla costituzione” di detto Comitato. Ho reperito tale dato presso l’Archivio di Stato di Udine (ASUd), Prefettura, b 55, f 190, ms. Nulla osta significa che: niente osteggia. È solo una presa d’atto. Non altro, come invece si deduce dal pur interessante sito web, in lingua croata, sulla figura di Carlo Leopoldo Conighi a cura di Nenad Labus.
Il prefetto di Udine Vittadini si attiva sul tema dei profughi perché il 6 gennaio 1946 viene istituito, con decreto ministeriale, l’Ufficio della Venezia Giulia, alle dipendenze del Ministero dell’Interno. Esso ha il fine di “promuovere, coordinare e vigilare le iniziative in favore dei connazionali profughi della regione giuliana”, come scrive la Colummi (a pag. 309), utilizzando le fonti dell’Archivio Centrale dello Stato di Roma e alcune note del prefetto Micali.
Sul giornale «Libertà» che esce a Udine, sotto il controllo angloamericano e del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), il 10 maggio 1946 si legge una notizia circa la “Sezione di Udine del Comitato Alta Italia per la Venezia Giulia e Zara”. In sigla è il CAIVGZ. Il neonato organismo dell’associazionismo giuliano dalmata informa che c’è “l’esonero del pagamento delle tasse scolastiche per gli studenti medi giuliani che abbiano dovuto abbandonare la propria residenza per gli eventi bellici” secondo una nota del Ministero della Pubblica Istruzione, in base ad un provvedimento del Consiglio dei Ministri. Si sa, inoltre, che la sezione di Udine del Comitato Alta Italia per la Venezia Giulia e Zara ha sede in Via Liruti n. 12, con orario dalle ore 9 alle 12,30 e dalle 14,30 alle 17,30.
Domenica 23 giugno 1946, come si legge sulla stampa locale («Libertà» del 21 giugno 1946 e «Messaggero Veneto» del 25 giugno 1946) si celebra a Udine la “Giornata della solidarietà istriana”. L’evento è volto a “raccogliere fondi per l’assistenza a favore dei profughi istriani residenti nella provincia e per ricordare alle genti del Friuli questi nostri fratelli costretti a vivere in esilio nella loro stessa Patria per non sottostare ad un regime straniero tanto inviso”. L’ente organizzatore è la sezione di Udine del Comitato Alta Italia per la Venezia Giulia e Zara (CAIVGZ) che, nel frattempo, ha cambiato sede dato che si trova “in Via Belloni 12, telefono 233”. Finora si sa poco di tale organismo, che poco dopo cambierà nome.
L’attentato di Vergarolla del 18 agosto 1946, secondo alcuni esuli cambia tutto, implementando la paura e il desiderio di fuga dagli iugoslavi che volevano farla da padroni. Vergarolla è un’amena spiaggia, vicino a Pola, che nel dopo guerra funge da deposito di materiale bellico, evidentemente messo in sicurezza. Pola in quei frangenti appartiene ancora all’Italia, pur essendo controllata militarmente dagli angloamericani. Accade che, quando la spiaggia della città portuale istriana è affollata per la popolare manifestazione di nuoto della società “Pietas Julia”, ci sia lo scoppio del grosso arsenale di esplosivo, con l’uccisione di oltre 80 persone, tutti italiani, in maggioranza donne, madri di famiglia e bambini. Certe fonti attribuiscono l’attentato ad elementi dei servizi segreti titini. Tutti percepiscono subito quale fosse stata la matrice del delitto di Vergarolla nell’intento di spingere all’esodo coloro che non si erano ancora rassegnati: ebbene, nel 2006, l’apertura degli archivi inglesi di Kew Gardens (Foreign Office) ha confermato che la strage fu opera dell’OZNA, la polizia politica jugoslava, ed ha affidato i nomi di cinque responsabili alla storia. Su tali fatti ha scritto Carlo Cesare Montani, esule da Fiume.
Si occupa degli esuli a Udine pure il giornale di Trieste «La Voce Libera» che nella pagina della “Cronaca del Friuli”, del 14 ottobre 1946, riporta la notizia della indizione della “Settimana del profugo” nel capoluogo friulano. L’organizzazione è del Comitato profughi istriani, fiumani e dalmati per una “umana e fraterna solidarietà”.
Tutti i Conighi via da Fiume – L’esodo da Fiume coinvolge anche il gruppo delle famiglie dei costruttori Conighi. Va a Trento il comandante dei vigili del fuoco Giorgio Conighi, che prima era già stato trasferito a Trieste. A Roma, passando per Venezia, vanno Ferruccio Conighi, suo zio Cesare Augusto Conighi e le famiglie rispettive. Alcuni gruppi di loro parenti vanno esuli a Firenze, Norimberga, Klagenfurt e in Svizzera, mentre certi cari amici di casa riparano a Bolzano. Una parte dei Conighi va esule a Udine, essendosi trasferito lì l’architetto Carlo Leopoldo Conighi, dipendente delle ferrovie. “I era andadi a Udine – ha detto Miranda Brussich – la zia Maria Regina Conighi, zia Helga, mia suocera Amalia Rassmann Conighi, mio suocero l’architetto Carlo Conighi e ‘l nono bis, che iera l’ingegnere Carlo Alessandro Conighi, perché la zia Maria la iera amica della signorina Giordani, alieva de l’Educandado Uccellis de Udine. Lori i ghe ga dà casa in afito de Via Volontari de la Libertà. Una stanza per ‘l nono bis e zia Maria e le altre done in sofita con Carlo Conighi l’architeto”. La signora Miranda, sposata nel 1942 con Carlo Enrico Conighi (Fiume 1914 – Ferrara 1995) col figlio Carlo Cristiano (Fiume 1943 – Ferrara 2010), sono profughi a Trieste, poi a Belluno, spostatisi poi per lavoro a Forlì, Modena e Ferrara. I Conighi riparati in casa Giordani a Udine stanno in quella soffitta fino al 1958, poi vanno in un alloggio in affitto in via del Gelso. “La casa di viale Volontari della Libertà è stata costruita da mio nonno Italico Giordani, che era costruttore a Fiume e in Friuli, agli inizi del Novecento – ha detto Carla Giordani, socia ANVGD – ricordo che da bambina giocavo col piccolo Carlo Conighi, quasi mio coetaneo e c’erano i suoi familiari”. I Conighi riescono a traslocare parte delle loro masserizie in treno da Fiume a Udine, poi dalla stazione ferroviaria verso casa Giordani con la ditta di Sabino Leskovic di Udine, che utilizza “carri, cavalli e uomini”, come si legge nella Nota spese del 17 settembre 1946, regolarmente quietanzata (Collezione famiglia Conighi).
Il primo presidente – Secondo quanto riferito da Giuseppe Bugatto, esule da Zara, negli anni 1946-1947, il presidente dell’associazionismo giuliano dalmata a Udine è un tale Sbisà, coadiuvato da don Luciano Manzin. Un dirigente dell’organismo degli esuli a Udine è senz’altro Tevere Sbisà, detto Testi. Si legge ne «L’Arena di Pola» del 30 marzo 1965: “Infatti dopo l’esodo dall’Istria il caro amico Tevere Sbisà, padre di Gianfranco, visse qualche anno a Udine dove fu anche segretario del Comitato giuliano-dalmata. Quindi, di fronte alle difficoltà che in quel momento rendevano impossibile una sistemazione adeguata, la famiglia Sbisà accettò l’offerta di trasferirsi in Australia”.
Nel 1947 è presidente Carlo Leopoldo Conighi; ciò in base alla tessera n. 1.096 del Comitato Nazionale per la Venezia Giulia e Zara (CNVGZ), sede di Udine, rilasciata il 2 giugno 1947 e intestata al maestro Renato Lupetich, di Fiume, che è dichiarato “profugo giuliano” (Collezione privata, Belluno). Una ulteriore conferma della sua presidenza si ha dalla concessione di un sussidio di lire 1.600 all’esule Corinna De Cecco, proveniente dall’Istria, residente a Udine con quattro persone a carico. La De Cecco fa domanda nel mese di giugno 1947 e l’ordine di pagamento n. 3.018, del successivo 3 settembre, è firmato da Carlo Conighi, presidente della Sezione di Udine del Comitato Alta Italia per la Venezia Giulia e Zara (CAIVGZ); cfr.: Archivio dell’ANVGD di Udine, d’ora in poi: Aanvgd, busta B, Contributi, 1947. Ciò significa che c’erano a Udine, nel 1947, oltre 3.000 profughi che avevano già ottenuto un sussidio monetario dal CAIVGZ, presieduto dall’architetto Carlo Conighi. C’è infine la tessera del CNVGZ n. 494, del 20 dicembre 1947, sezione regionale di Udine, firmata dal Conighi e intestata all’insegnante Maria Zonta di Parenzo, esule a Udine, dichiarata profuga il 14 settembre 1948.
Il 23 marzo 1948 è la data della tessera di socio del Comitato Nazionale per la Venezia Giulia e Zara (CNVGZ), sede regionale di Udine della signora Maria Regina Conighi, nata a Trieste nel 1881 ed esule da Fiume. La tessera è firmata dall’architetto Carlo Leopoldo Conighi, fratello di Maria Regina (Collezione Helga Conighi, Udine).
Don Manzin è presidente regionale del Comitato Nazionale per la Venezia Giulia e Zara (CNVGZ), come risulta da «L’Arena di Pola» del 16 giugno 1948. Il giornale istriano riporta le attività del 1947 dell’organismo dei profughi a Udine, che comprendeva anche la zona di Pordenone. La struttura a Udine ha messo piede, tanto da riuscire ad organizzare il raduno dei Comitati Triveneti del CNVGZ. La medesima testata riferisce che per Udine sono intervenuti “il reverendo professor Manzin, il sig. Conighi, il conte Fanfogna e il sig. Antonio Premate”.
Secondo Mario de Vidovich a Roma il 20 giugno 1948 ottanta comitati provinciali di esuli giuliano dalmati danno vita all’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), primo presidente è Alfonso Orlini, di Cherso, ma a Udine la sigla CAIVGZ permane per un po’ di tempo, come si può vedere dalla bolletta della luce del 1951 (Coll. famiglia Conighi). È del 13 settembre 1948 la Dichiarazione di opzione per la cittadinanza italiana di tale Lorenzo Zuccheri, nato a Dignano d’Istria nel 1893 ed ivi residente in piazza Italia n. 1.080, redatta presso il Comune di Udine, con legalizzazione prefettizia della stessa data. L’incartamento è diretto al Consolato Generale della Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia in Milano. Lo Zuccheri pone il suo domicilio “presso Delton in via Trieste a Udine”. Curioso che nella postilla A della medesima pratica sia previsto addirittura che fosse emesso un “Certificato del Comitato Popolare di… attestante che la mia lingua d’uso è l’italiana”. Come a dire italiani (pur titini) dichiarano di cacciare via altri italiani da terre italiane, dato che la lingua d’uso è quella italiana (Aanvgd, b. F, Qualifiche, 1948).
Il 5 luglio 1949 il prefetto di Udine, in base al D.L. 3 settembre 1947, n. 885, riconosce “la qualifica di profugo” al signor Emilio Volghieri, nato a Pola nel 1920, di professione autista. Nel documento rilasciato dal Comune di San Giorgio di Nogaro a firma di Giuseppe Garzoni, segretario comunale, il prefetto precisa di aver “sentito il Comitato Provinciale della V.G. e Zara”. I familiari a carico del Volghieri sono Ester Gorlato, la moglie e le figlie Luciana e Paola Volghieri (Aanvgd, b. F, Qualifiche, 1949). In base alla normativa vigente l’associazionismo giuliano dalmata deve essere tenuto, dunque, in grande considerazione dall’autorità prefettizia e dalle amministrazioni comunali della provincia di Udine.
ANVGD divisa in 4 Leghe – In occasione dell’assemblea ordinaria tenutasi in sala Brosadola a Udine per il rinnovo delle cariche sociali si sa dal «Messaggero Veneto» del 6 agosto 1950 che il presidente dell’ANVGD è il conte Giovanni de Fanfogna; il vice presidente risulta Carlo Conighi. La sede dell’associazione è in piazza Marconi, 7. Di detta assemblea c’è la scheda elettorale, che evidenzia come il sodalizio a Udine fosse suddiviso in base alle provenienze dell’esodo, perciò l’ANVGD di Udine è composta da 4 Leghe: Fiumana, Istriana, Dalmata e Triestina-Goriziana. I candidati sono Carlo Conighi, erroneamente definito “ing.” e Enrico Persi (Lega Fiumana), don Luciano Manzin e Argeo Benussi (Lega Istriana), Giovanni de Fanfogna e Walter Tudorov (Lega Dalmata), Antonio Premate e Marcello De Angeli (Lega Triestina-Goriziana). Cfr.: Aanvgd, busta D, Cariche sociali, verbali, 1950. Ciò conferma che pure Trieste e Gorizia, in quegli anni, fossero considerate terre d’esodo, data la loro instabilità politico istituzionale, i vari sconfinamenti, i sabotaggi e il pullulare di spie di ogni sorta. Gorizia era divisa dal confine con quella parte di città che gli slavi si annettono e chiamano Nova Gorica, mentre Trieste era sotto amministrazione angloamericana nel Territorio Libero di Trieste (TLT) fino al 1954, quando c’è la riannessione all’Italia. Nel 1951 è presidente dell’ANVGD di Udine l’architetto Carlo Conighi, mentre il vice presidente è Antonio Calvi.
Poi ci sono le tensioni politico militari del 1953-1954 fra Italia e Jugoslavia. “Mi ricordo che a Gorizia verso 1953 il confine era molto vicino alla mia scuola e i militari iugoslavi armati e coi capelli lunghi arruffati venivano a farci paura, gridando come matti dietro la recinzione confinaria – ha raccontato Ines Leonardi – noi ragazze eravamo allieve della scuola magistrale agazziana delle suore Orsoline e quel giardino vicino agli arbusti non lo potevano proprio sopportare, visto che quelli, passando sotto il filo spinato, ci inseguivano urlando coi mitra”. Un’altra fonte ricorda che: “In quel momento di crisi politica internazionale c’era tanta paura in famiglia – ha aggiunto Carmen Burelli – se ricordo bene le suore Orsoline di Gorizia ci fecero stare a casa per alcuni giorni, solo alcune delle studentesse si avvicinavano a quel giardino da dove sbucavano gli iugoslavi, ma noi, mai”.
Come si legge su «Difesa Adriatica» del 7 febbraio 1954 il presidente del sodalizio udinese dei profughi è ancora Carlo Conighi. Il 9 gennaio 1954 e nei giorni seguenti l’ANVGD di Udine consegna vari sussidi ai profughi che ne avevano fatto richiesta. È il caso di Sagrestano Vincenzo che firma una ricevuta di lire 500 (Collez. Conighi). Il 23 gennaio successivo un tragico lutto investe il Conighi, che perde l’amata consorte, Amalia Rassmann, tedesca di origine boema, come si vede a p. 2 su «Difesa Adriatica» del mese di febbraio 1954.
Le dimissioni di Conighi – In seguito, sono convocati in assemblea per il rinnovo delle cariche sociali i 187 soci dell’ANVGD di Udine alla data del 25 luglio 1954. La riunione è piuttosto effervescente riguardo alle candidature per il Consiglio direttivo, considerato che nel 1953 i soci erano meno di cento, mentre in seguito raddoppiano in pochi mesi. Succede che certi fiumani, nelle votazioni per il Consiglio direttivo, preferiscono un triestino al fiumano Conighi il quale, sentendosi risentito da tale gesto, rassegna le sue dimissioni il 30 luglio 1954 al Comitato elettorale. Il presidente dello stesso Comitato elettorale, Guido de Randich, ha firmato il verbale delle votazioni per il Consiglio direttivo, da cui emerge che sono eletti: Borri Carlo, Bratti Attilio, Cremonesi Arduino, De Angeli Marcello, Gecele Augusto, Marini Marino, Premate Antonio, Scaglia Livio e Terdossi Claudio.
Passano un po’ di settimane, durante le quali, con contatti verbali probabilmente si cerca di rimediare alle dimissioni. Allora Aldo Clemente, presidente dell’Opera per l’Assistenza ai profughi giuliani e dalmati, da Roma il 24 agosto 1954, scrive al Conighi, manifestandogli il suo “sincero rincrescimento per il suo ritiro dall’Esecutivo del Comitato Provinciale di Udine, dopo lunghi anni di proficuo lavoro a favore dei Profughi Giuliani e Dalmati”. Il 15 settembre successivo Marcello De Angeli, presidente dell’ANVGD di Udine fresco di nomina, scrive al Conighi, accettando le sue dimissioni e nominandolo “presidente onorario”, con la sua firma assieme a quella del segretario Arduino Cremonesi e dei vicepresidenti Marino Marini e Claudio Terdossi. Pace sembra fatta. Il 21 settembre 1954, infatti, Carlo Conighi, nella sua veste di presidente onorario dell’ANVGD di Udine, scrive a padre Flaminio Rocchi, alla segreteria nazionale dell’ANVGD di Roma per perorare la causa del socio Alcido Innocente, macellaio, riguardo al rimborso per i beni abbandonati. “Per l’Alcido – spiega Conighi – il risarcimento di questi suoi beni, può significare la sua salvezza fisica versando egli in condizioni salutari veramente pietose e in continuo peggioramento” (Lettera di C. Conighi a padre Rocchi, Udine 21 settembre 1954, Collez. Conighi).
Nota riguardo alla copertina – Una osmiza, o osmizza (in sloveno osmica), è un negozio tipico dell’altopiano del Carso, tra Italia e Slovenia, dove si vendono e si consumano vini e prodotti locali (quali uova, prosciutti, salami e formaggi) direttamente nelle stanze e nelle cantine dei contadini produttori. Tali negozi sono poi definiti agriturismi, con possibilità di ospitalità. Una vecchia zia triestina, senza malizie ma solo con intenti identitari, negli anni ’40 diceva: “Se magna e se bevi assai ben ne le osmizze, pecà che xe tutti s’ciavi, anche i gatti”. Con la parola “s’ciavo”, in dialetto istro-veneto si intende “schiavo”, nel senso di “slavo, croato”. Deriva dal latino volgare “sclavus”, ossia “slavo”. I veneziani chiamavano “S’ciavoni” o “Schiavoni” i marinai slavi della flotta della Serenissima e pure gli abitanti slavi delle isole e della Dalmazia, senza attribuire al termine l’accezione vagamente spregiativa, che ha assunto invece a Trieste, con la guerra fredda: “s’ciavo = schiavo, sottomesso, o iugoslavo titino”.
Fonti orali e ringraziamenti – Si ringraziano e si ricordano le persone seguenti che hanno collaborato alla ricerca con l’intervista (int.) condotta a Udine da Elio Varutti con taccuino, penna e macchina fotografica, se non altrimenti indicato. Grazie a Fausto Deganutti per l’immagine di copertina dell’articolo presente e a Daniela Conighi per i vari aiuti nelle biografie.
1) Miranda Brussich, vedova Conighi (Pola 1919 – Ferrara 2013), int. a Ferrara tra il 17 agosto 2003 e il 21 agosto 2013, alla presenza della figlia Daniela Conighi. 2) Giuseppe Bugatto Junior (Zara 1924 – Udine 2014), int. del giorno 11 febbraio 2004, in presenza di Giuseppe Marsich, italiano all’estero (Veglia 1928 – Udine 2019) e di Rita Bugatto in Marsich, Zara 1928. 3) Carmen Burelli, Udine 1936, int del 4 novembre 2020. 4) Carla Giordani, Udine 1942, int. del 2 novembre 2020. – Ines Leonardi (Udine 1934 – Roma 2014), int. del 6 luglio 2012. 5) Giovanni Lupetich, Udine 1953, residente a Belluno, int. telef. del 10-14 giugno, 7 agosto 2016, oltre all’int. del 1° settembre 2016, con sua figlia Marianne Lupetich.
Archivi, Biblioteche e Istituti di ricerca visitati – Archivio ANVGD di Udine (Aanvgd), Collezione Maria Zonta di Parenzo, tessera CNVGZ n. 494 del 20 dicembre 1947, sezione regionale di Udine. Ordine di pagamento a De Cecco, 1947, b B Contributi e varie altre buste. – Archivio di Stato di Udine (ASUd), Prefettura, b 55, f 190, ms. – Biblioteca Civica “Vincenzo Joppi”, Udine, quotidiani, libri e giornali vari. – Biblioteca dell’ANVGD di Udine, Vicolo Sillio, 5, libri sull’esodo. – Biblioteca Statale Isontina, Gorizia, «L’Arena di Pola», annate varie. – Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione, Udine, quotidiano «Libertà», 1946.
Collezioni private – Collezione famiglia Conighi, Ferrara, ora a Udine, bollette, lettere, verbali, nota spese e fotografie.
– Collezione Helga Conighi Orgnani, Udine, tessera ANVGD n. 628, giornale «Difesa Adriatica» 1954 e vari altri cimeli.
– Collezione privata, Belluno, tessera n. 1.096 del CNVGZ, sede di Udine, del 2 giugno 1947 e intestata a Renato Lupetich, di Fiume.
Riferimenti bibliografici – Cristiana Colummi, Liliana Ferrari, Gianna Nassisi, Germano Trani, Storia di un esodo. Istria 1945-1956, Trieste, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione del Friuli Venezia Giulia, 1980.
«Difesa Adriatica», VIII, n. 6-7, febbraio 1954, p. 2.
“Le nozze di Gianfranco e Carol Sbisà a Sydney”, «L’Arena di Pola», n. 1.466, 30 marzo 1965, p.2.
Elio Varutti, Il Campo Profughi di Via Pradamano e l’Associazionismo giuliano dalmata a Udine. Ricerca storico sociologica tra la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo, 1945-2007, Udine, Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Comitato Provinciale di Udine, 2007.
Servizio giornalistico diretto da Elio Varutti. Ricerche e Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Copertina: Fausto Deganutti, La strana Osmizza, cm 40 x 50, 1999, courtesy dell’artista. Lettrice: Daniela Conighi. Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 (in fase di trasloco) – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.
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Se ne sta in un cimitero di Firenze, la zia Tina. È una zia acquisita, per me, ma ne ho sentito parlare così tante volte che mi sembra ormai una parente stretta. Mi sono piaciute molte parti della sua vita, perché era una creativa con l’ago e col filo.
In copertina: Cartolina di Pola viaggiata l’8 settembre 1910. Nella parte centrale, nel riquadro, si apre uno scomparto, per una serie di piccoli panorami a fisarmonica. Fotografo Guido Costalunga 1909.
“E la jera tanto bona, che quando me son sposada, la me gà regalà la camera matrimonial, comprada de un antiquario de Fiume e che dopo i ne gà confiscado i titini quando se scampa per l’esodo – mi ha raccontato Miranda Brussich, una sua nipote diretta – Eh! Son vignuda via de Fiume a Nadal del 1946 e i titini i era entradi fin al fiume Eneo, mi gavevo una valigia picola. A Pola i xe stadi mandadi via i slavi dai inglesi. A Tersatto, in alto, i era i slavi con un canon e i bombardava Fiume. Mio marito ‘l era a Castelnuovo d’Istria nel maggio 1945. Parto in coriera, organizada per portar via i profughi…”. Clementina Zanetti, detta “Tina” era nata a Pola, sotto l’Austria, il 10 aprile 1891 e morì esule a Prosecco (TS) il 30 agosto 1993 e riposa a Firenze. Faceva la sarta. Si è sempre sentita italiana.
“Sua mama jera Maria Antonia Zanetti nata Fabro, la mia nona – ha aggiunto Miranda Brussich – la jera originaria de Dignan, con una casa in piazza Italia nei anni Trenta”. Le vicende vissute dall’istriana zia Tina sono state veramente complesse. Intanto ho sempre sentito dire che era nata sotto la Defonta, per intendere la decaduta monarchia austro ungarica. Poi, nel 1914, assieme ad una parte della famiglia Zanetti Fabro, viene internata da Pola, in Istria, fino a Wagna, in Austria. “Le xe stade internade a Wagna – continuava la testimonianza – nel 1914, mia nona Maria Antonia Zanetti, nata Fabro, con le sue fie, la zia Maria (1900-1998) e la zia Clementina, cjamada “Tina”, la nona parlava de Wagna del campo de barache… a Pola le resta zia Giuseppina, cjamada “Pina” (1887-1953), con mia mama Elisa (1893-1972), perché le lavorava al Montur Magazin (in tedesco: Deposito uniformi) e i faceva divise militari, le jera precetade per lavorar per i militari de la Defonta (la monarchia asburgica)”.
Molti italiani di Pola vengono internati a Wagna nel 1914, come “è successo a mio papà e alla famiglia, tanto che lui la prima comunion la gà fata a Viena nel 1916 e dopo el gà imparà a parlar tedesco – ha detto Sergio Satti – mentre il nonno Satti lavorava all’arsenale e mia mamma, che iera Furlani de cognome, e mia nona e mia zia se stade internade vicino a Zagabria, così lori le gà imparà a parlar slavo”. Altri intervistati hanno ricordato il Barackenlager di Wagna, come Maria Millia, di Rovigno: “Mia mama, Anna Sciolis, e mia sorella xe stade internae a Wagna col caro bestiame. Me ricordo che, dopo l’esodo, andavo a cusirghe nelle famiglie a Udine nel 1948, come alla famiglia Brisighelli”.
La signora Marisa Roman di Parenzo ricorda che i suoi nonni Giuseppe Vittorio Privileggi (che fu tra i fondatori del Club canottieri parentini Adriaco, il 20 settembre 1885) e Maria Clarici furono internati a Wagna e a Mittergraben, in Austria; qui trovarono il nonno di Uto Ughi, e la famiglia Bracco, della celebre industria farmaceutica con odierni innovativi laboratori di ricerca.
Le brave sarte istriane sono state ricordate da altri intervistati, come Caterina Pagnucco, di Castelnuovo del Friuli, vicino a Pordenone, che dal 1951 visse a Udine in via delle Fornaci, accanto al Centro Smistamento Profughi più grande d’Italia. C’è un altro testimone che mi ha raccontato degli italiani
internati dall’Austria allo scoppio della Grande Guerra. “Mi che son nato a San
Lorenzo Isontin, gò fato el ginnasio a Viena – ha detto Egidio Toros – e avevo
per insegnante el papà de Alida Valli e se jera a Viena internadi nel 1917 e
1918, assieme ad altri giuliani, triestini, tuti italiani”. Pure la stampa
dell’esodo istriano ha ricordato il periodo degli internamenti a Wagna. In
particolare su «L’Arena di Pola» del 1947 si legge che: “Esiste il Canto dei
Profughi dell’Istria, internati nella Stiria, a Wagna, in Austria, nel 1915”.
Come si è forse inteso la storia, ad un certo punto, si amplia dalla zia Tina alle quattro sorelle Zanetti – Giuseppina, Clementina, Elisa e Maria – che, con la loro madre avevano un’avviata sartoria in quel di Pola, nella prima metà del Novecento.
Ludovico Zanini ha scritto, nel 1961, sulle vicende delle
famiglie Zanetti, da Ravascletto, in provincia di Udine, cramârs (venditori
ambulanti) attivi ad Augusta e in Germania nel Seicento e Settecento. Zanetti è
un cognome della Carnia, perciò chiedo come mai ci sono dei Zanetti pure in
Istria? “Nono Giovanni Zanetti el jera de Aquileia – replica la Brussich – el
se gà trasferido a Pola per lavorar a l’arsenal, el deve esser morto nel 1903 o
1904, perché se ricordava del suo funeral la zia Maria, che la jera picia; la
piangeva e per farla star bona i ghe gà comprado una pupeta (bambola)”.
L’ambulantato è tipico dei rapporti mercantili del passato. Il mestiere di sarto viene esercitato anche nell’abitazione del cliente, che fornisce, quindi, vitto e alloggio. Ciò succede alle sarte Zanetti, che vanno a cucire a casa della famiglia tal dei tali. Nei secoli trascorsi accadeva così anche ai sarti della Carnia, che si annotavano i loro impegni di lavoro in un libro contabile, come ad esempio Leonardo di Ronco nel 1748, nel Canale di San Pietro e, ai fratelli Pietro e Giacomo Antoniacomi, nel 1863, tra Forni di Sopra e Forni di Sotto nella Val Tagliamento, quando facevano “la giornata a cosire (cucire)”. Leonardo di Ronco nelle locande locali consumava “bocali vin” e pagava con “giornate a cucire”. (Vedi: Giornale D, ms, Archivio di Stato di Udine – ASUd, Archivio Gortani, Parte I, Documenti, b 19). Ho consultato pure: Giornale dei fratelli Antoniacomi, sarti e negozianti di panni, 1855-1881, ms, Archivio del Circolo Fornese di Cultura, Forni di Sopra (UD).
Le sarte Zanetti di Pola, negli anni 1920-1930 e anche a Fiume
(1924-1945), cucivano a domicilio per la clientela benestante, ricevendo oltre
al compenso in denaro pure il vitto. Pina era specializzata in cappellini,
copriletto, pizzi e ricami. Maria si dedicava al vestiario comune, come le
altre sorelle. Dopo la seconda guerra mondiale che ne fu della sartoria
Zanetti? “Dopo de l’esodo – spiega la Brussich – le sorelle Zanetti le jera a
Firenze, perché zia Maria la jera entrada a lavorar a la Manifattura Tabacchi
de Pola e lì jera i inglesi nel 1946 e la xe stada trasferida a Firenze, ma
dopo loro le lavorava de sarte con la loro mama, che la more verso el 1948 a 85
anni. Me ricordo del Campo profughi de Firenze, un vecio fabricado vodo e
adibido ai profughi; jera i divisori coi cartoni e le sorelle Zanetti le xe stade
così per qualche anno. I aveva messo profughi italiani de l’Istria perfin ne le
Cappelle Medicee, perché no jera posto. Nei primi anni Cinquanta jera tanti
profughi a Firenze, mi li gò visti, perché da Forlì, dove con mio marito e i
fioi jerimo esuli da Fiume, andavo a trovar le mie zie Zanetti ”.
Si precisa che il Campo Profughi Istriani e Dalmati a Firenze era presso la ex Manifattura Tabacchi, compresa tra la via Guelfa, via Panicale e via Taddea, nell’area dell’antico Monastero di Sant’Orsola. Il Campo Profughi operò dal 1945 al 1968, quando alla fine accoglieva anche sfrattati o senza tetto. Maria Zanetti lavorava alla Nuova Manifattura Tabacchi di Firenze, situata in via delle Cascine, 33-35, a pochi passi da piazza Puccini. Inaugurata nel 1940, la struttura ha un’attribuzione critica, ma diversi critici concordano sia di Pierluigi Nervi.
Come Miranda Brussich ha ricordato i cartoni del Campo
Profughi fiorentino di Via Guelfa, anche Myriam Andreatini-Sfilli, nel suo
Flash di una giovinezza vissuta tra i cartoni, Alcione, 2000, sin dal titolo
del libro accenna ai cartoni che fungevano da parete divisoria nel Centro
Raccolta Profughi di Via Guelfa a Firenze, nel vecchio Monastero di
Sant’Orsola.
Sulla foggia dei capelli per signora esiste una cultura e una
varietà assai articolata, tra Ottocento e Novecento. Pola e Fiume non erano
molto diverse da ciò che succedeva a Trieste. Le signore e le signorine delle
famiglie agiate nella Trieste di fine Ottocento avevano il loro bel daffare tra
la passeggiata al Corso, sul “Liston”, prima del pranzo, il pomeriggio a
Sant’Andrea e la sera al Teatro Grande. Questa serie di appuntamenti mondani e
culturali comportava il cambio d’abito per due o tre volte al giorno. Cambiando
il vestito, è ovvio che veniva cambiato pure il cappellino. C’erano i famosi
cappellini di Vienna, naturalmente quelli di Firenze erano più ricchi
dell’italico fascino.
Torniamo alle sarte Zanetti. Non si contavano le specializzazioni di mestiere. Oltre alla sarta, c’era la modista, la ricamatrice e la stoccatrice. Molte erano le donne che filavano, tessevano, ma all’occorrenza cucivano, rammendavano. C’era una serie di giornali, oltre alle stampe artistiche, che diffondevano il gusto per l’abito raffinato ed il bel copricapo femminile. A Milano, dal 1848, esce «La Ricamatrice», che reca per sottotitolo: “Giornale di cose utili ed istruttive per le famiglie”. Caterina Percoto pubblica in questa testata alcuni dei suoi racconti con sottofondo patriottico. Tale periodico mensile contiene spiegazioni sui lavori ad uncinetto e con altri strumenti, oltre ad indicazioni sui negozi dove trovare le ultime novità di moda da Venezia, Parigi, Berlino e Francoforte. C’erano altri giornali, come «Le Ore casalinghe», oppure «Il Corriere delle Dame».
L’autorità austriaca concede la Patente istitutiva del Portofranco a Trieste e a Fiume il 18 marzo 1719. Da quella data gli scambi mercantili aumentano in quantità e qualità. Per questo motivo Trieste e Fiume tra Ottocento e i primi del Novecento sono al centro di grandi interessi mercantili. I prodotti della moda femminile circolavano senza restrizione. Si consideri poi che Firenze, capitale del Granducato di Toscana, prima del suo assorbimento nel Regno di Sardegna, nel 1859, aveva un rapporto doganale speciale coi porti dell’Austria. Ugo Cova ha dimostrato che il movimento delle navi e delle merci austriache nei porti toscani era più consistente di quello toscano nei porti austriaci dell’Alto Adriatico. Infine c’era una vera e propria unione doganale con l’Austria dei Ducati di Parma e Piacenza, di Modena e Reggio (Ho consultato: Ugo Cova, Commercio e navigazione a Trieste e nella Monarchia asburgica da Maria Teresa al 1915, Udine, Del Bianco, 1992, pp. 10 e 181).
Su «L’Arena di Pola» del 1948 si legge che nel Campo Profughi
di Firenze è stata festeggiata la ricorrenza di San Nicolò, per far contenti i
bambini. Qualche altra notizia sul Campo Profughi di Firenze mi è giunta dalla
signora Marisa Roman, nata a Parenzo nel 1929. “Una mia amica nata a
Trieste, che era Chiara Battigelli in Baldasseroni – ha detto Marisa Roman – mi
ha parlato del Campo Profughi di Firenze”. Come mai? “La Battigelli
conosceva troppo bene Firenze – racconta la Roman – e, saputo che i profughi
istriani e dalmati erano stati accolti nei locali della Manifattura Tabacchi,
andò a cercare notizie tra piazza Indipendenza e piazza San Lorenzo, trovando
solo il figlio del custode di quel luogo”. Quando fu fatta tale ricerca?
“Erano gli anni 1990-1995 – è la risposta della Roman – e in Italia
c’erano molti profughi dal Kossovo, perché c’erano le guerre balcaniche, allora
la domanda al figlio del custode fu del tipo ‘Ci sono stati dei profughi qui
alla Manifattura di Firenze?’ e la risposta fu negativa”. La Battigelli
non si arrese, e gli parlò degli italiani dell’Istria, di Fiume e della
Dalmazia, negli anni 1946-1956. “Allora il figlio del custode disse: ‘Ah,
gli istriani, ma quelli non erano profughi, erano brave persone, erano educati
e hanno lasciato tutto pulito”. Mai una risposta così poteva essere più
soddisfacente per il mondo degli esuli.
Ritorno alla zia Tina, dopo questa parentesi sul Campo Profughi di Firenze. Zia Tina si sposò nel 1923 con Michele Dokmanovich, detto “Miko”, rappresentante di una fabbrica di aceto a Fiume. “Lui el gaveva un negozio de comestibili – ha aggiunto la Brussich – el sarà morto nel 1937, el jera serbo ortodosso, dunque de religion ortodossa. Mi gò fato le prime tre classi elementari a Pola, in piaza de la Madona, con la maestra Eugenia De Caneva, dopo nel 1929, l’anno del fredo, gò fato la quarta a Fiume, con la maestra Elisabetta Lazarus, de la famiglia che gaveva cantieri navali a Sussak, dopo a le scuole comerciali jera ragazze ebree che ne la ora de religion le andava via, come la Lilli Hand, o la Vigevano, oppur la Sinigalia; eh, Fiume jera una città aperta, più de Pola. A Fiume, mi e mio fratel Guerrino jerimo ospiti de zia Tina e de zio Miko e fasevimo le scuole lì. Me ricordo dei zoghi che se faceva; se doveva saltar su le caselle disegnade col gesso in tera e no se doveva toccar la riga o se pagava pegno, dopo se diceva ‘zoghemo a manete?’se cjapava dei piccoli sassi e se butava in alto, per cjapar quei altri”.
Il silenzio dei
profughi, dopo il 1946
Ascoltiamo altre fonti orali. In diverse famiglie friulane c’è una vecchia zia di Pola, me l’hanno confidato vari intervistati. La signora Rosalba Meneghini Capoluongo è figlia di Maria Millia, esule di Rovigno. “Mia madre parlava poco, aveva paura – ha detto – invece dopo il Giorno del Ricordo, c’è la voglia di capire da parte dei discendenti. I profughi raccontano cosa è successo dopo il 1946 e si ascoltano cose mai sentite fino ad ora”. È assai ricorrente il tema del silenzio dei profughi, ossia
la mancata comunicazione ai discendenti sui fatti storici dell’esodo
dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia. Pure Massimo Gobessi, giornalista RAI
di Trieste, condivide tale opinione; lo scrivente è stato da lui intervistato
per una trasmissione radio del 10 febbraio 2014, sul Giorno del Ricordo.
Gianpaolo Polesini, giornalista del «Messaggero Veneto» mi ha riferito: “Da bambino non mi parlavano per non dover dire cose tristi, quando il papà voleva raccontarmi dell’esodo, io non avevo tempo”. “Noi istriani abbiamo un grande affetto per il nostro territorio – ha detto una intervistata, Anna Maria L., con parenti a Dignano d’Istria e a Pola, dove ha trascorso varie settimane estive negli anni ‘60 – ma ne parliamo poco, c’è tanta dignità e silenzio, preferiamo il duro lavoro e stare zitti”. Sugli istriani gentili e riservati, c’è la testimonianza pure di Ivana Varutti, che ha vissuto per anni accanto al Centro di Smistamento Profughi di Via Pradamano.
Roberto De Bernardis, esule da Pola (vedi: Roberto De
Bernardis, Quel triste addio alle colline dell’Istria, «L’Adige» 18 febbraio
2008), ha riferito su un quotidiano di Trento dell’assoluto silenzio mantenuto
da sua madre dopo l’esodo, avvenuto nel 1952. “Poi guardò solo avanti – ha
scritto – non sarebbe più tornata, non ne avrebbe più parlato: un silenzio
durato sino alla sua morte, nel 1999”. Certi esuli hanno rielaborato il dolore
dell’esilio in tremenda solitudine.
Proprio un amico e conoscente di esuli di Fiume, il signor Renato Bianco, di Silea, provincia di Treviso, mi ha confermato il disagio provato dai profughi nel raccontare la propria storia, la propria fuga dalla città del Golfo del Quarnero, in questo caso. Si trattava della famiglia di Decio Tuchtan, esule proprio da Fiume: “Spesso mi accennava alle sue vicissitudini di profugo – ha detto Renato Bianco – quasi con un senso di vergogna”.
Destini incrociati
delle famiglie di Pola e di Fiume. L’ingegnere Carlo Alessandro Conighi
Nel 1942 la fonte principale di questo racconto, Miranda Brussich, si sposa a Fiume con Carlo Enrico Conighi (Fiume 1914 – Ferrara 1995), discendente dei Conighi, che “gà costruido tanto a Fiume e Abbazia”. Suo nonno Carlo Alessandro Conighi (Trieste 1853 – Udine 1950) compie gli studi al liceo di Trieste, a Graz e a Monaco, presso la Regia Scuola Bavarese Politecnica, diplomandosi ingegnere nel 1875, come è scritto sul «Messaggero Veneto», del 17 agosto 1950. Costui, in effetti, lavora dapprima a Trieste, poi è già a Fiume nel 1880, quando lavora assieme a Nikolaki de Nikolaides alla casa Turca, completata nel 1906. Nel 1883 si trova per lavoro a Fiume e, assieme ad Icilio Bacci, fonda il “Circolo letterario”, che cura la creazione di varie biblioteche popolari. Deve essere per questo motivo che, ancor oggi, alcuni siti web della Croazia citano l’ingegnere Carlo Conighi come un “filantropo”.
Nel 1884, avendo vinto l’appalto per costruire il Palazzo del Governo Marittimo a Fiume, su progetto dell’architetto ungherese Alajoš Hauszmann, l’ingegnere Carlo Conighi si trasferisce nella città del Carnaro, dove rimane fino al 1946, quando fu costretto all’esodo dalla pulizia etnica iugoslava. Agli inizi degli anni ottanta dell’Ottocento l’ingegnere Carlo Alessandro Conighi sposa Elisa Ambonetti, che gli dà cinque figli: Maria Regina (Trieste 1881-Udine 1955), Carlo Leopoldo (Trieste 1884-Udine 1972), Silvia (Fiume 1888-1892), Giorgio Alessandro (Fiume 1892-Trento 1977) e Cesare Augusto (Fiume 1895-Roma 1957). Alla sua azienda – che aveva la seguente intestazione: “Carlo ing. Conighi, Impresa di costruzioni, Fiume – Abbazia” – si deve la costruzione, avvenuta nel 1890, del palazzo della Società Filarmonico-Drammatica, su progetto dell’architetto Giacomo Zammattìo (Trieste 1855-1927), come si legge su «La Vedetta d’Italia» del 26 febbraio 1933.
L’articolista de «La Vedetta d’Italia» gli attribuisce molte
altre costruzioni come la prefettura, il tempio israelitico, il gruppo di case
operaie alla Torretta, il palazzo della Banca d’Italia, la casa Smaich, la casa
Rauschel al Corso, le scuole di Via XXX Ottobre e quelle statali alla Torretta.
Alla sua genialità sono dovute le più sfarzose ville della riviera degli anni
trenta, come la villa Rosalia, la villa Adria, la villa Nettuno, le ville
barone Ransonnett, Smith, Harey, Frappart, Portheim, Janet, Italia, oltre
all’Hotel Bellevue e al Sanatorio Szegoe. La sinagoga, di “aspetto
orientaleggiante”, opera del 1902, fu fatta saltare in aria nel 1944, in un attentato
antisemita.
Nel 1915, essendo presidente della Camera di Commercio e Industria di Fiume, l’ingegnere Conighi è costretto a dimettersi e viene inviato nel campo di internamento di Kiskunhalas, nella landa ungherese. Liberato il 1° agosto 1918, fa ritorno a Fiume e, a fianco di Antonio Grossich, lotta per l’annessione all’Italia. Dopo la marcia di Ronchi (12 settembre 1919), è uno dei consiglieri di D’Annunzio. Ha pure l’incarico della vice presidenza del Consiglio nazionale, dopo la marcia di Ronchi e la Reggenza del Carnaro.
Nel 1914 i suoi tre figli maschi indossano divise militari
opposte, provocando strazio e orgoglio in una famiglia di forti sentimenti
italiani. L’architetto Carlo Leopoldo è artigliere austriaco, mentre i giovani
Giorgio Alessandro e Cesare Augusto, fuggiti da Fiume in Italia, divengono
volontario alpino il primo e nell’esercito, il secondo.
La regina Elena, reggente del Montenegro, il 6 giugno 1922 nomina l’ingegnere Carlo Conighi commendatore dell’Ordine del Principe Danilo I, istituito per l’indipendenza del Montenegro (Collezione Conighi, Udine). Successivamente all’annessione italiana di Fiume, datata 27 gennaio 1924, egli ricopre varie cariche amministrative e politiche: vice sindaco, vice presidente della Provincia del Carnaro, presidente della Cassa Distrettuale Ammalati e, per qualche tempo, è commissario prefettizio alle Corporazioni Industria e Commercio, come scrive «Difesa Adriatica» del 12 agosto 1950. Nella sua Fiume l’ingegnere Conighi è pure presidente del
Club Alpino Fiumano, del Circolo letterario, della Società Dante Alighieri,
della Lega nazionale, del Circolo patriottico e della Società dei concerti.
Dopo il 1924 viene nominato Grande ufficiale della Corona d’Italia, motu
proprio del re.
Nel 1928 l’ingegner Conighi, assieme al socio ebreo Grünwald, progetta a Fiume la raffineria di benzina e i depositi di petrolio, ma l’azienda di famiglia non si riprende dal tracollo economico causato dalla Grande guerra.
Carlo Leopoldo Conighi,
l’architetto
Il primogenito maschio, Carlo Leopoldo Conighi (Trieste 1884–Udine 1972), architetto – è esponente col padre ed altri costruttori della Sezession a Fiume. Nella Grande Guerra è artigliere austriaco, ma poi è legionario dannunziano a Fiume. Negli anni successivi all’esodo giuliano dalmata è dirigente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD) di Udine, verso il 1948 e fino agli anni sessanta del Novecento. Nel 1910 sposa Amalia Rassmann che gli dà tre figli: Carlo Ferruccio (Fiume 1912–Roma 1998), Carlo Enrico Edoardo (Fiume 1914– Ferrara 1995) e Helga Maria (Fiume 1923–Udine 2000). Nel 1959-1960 è direttore dei lavori del cantiere per il Monumento a D’Annunzio di Monfalcone, in provincia di Gorizia, su progetto dell’architetto Vincenzo Fasolo, di Roma.
Il legionario Giorgio
Conighi
Giorgio Alessandro Conighi (Fiume 07.06.1892 – Trento 04.01.1977) è volontario negli alpini nella Grande Guerra e legionario fiumano. Laureatosi in ingegneria civile diviene comandante del Corpo Pompieri di Fiume e dei Vigili del Fuoco di Trieste e Trento. Costui, fin da ragazzo, assieme ai fratelli, partecipa attivamente al circolo politico irredentistico “La Giovine Fiume”, che si ispirava a Mazzini. A diciotto anni Giorgio Conighi, assieme ad altri nove fiumani, è processato per alto tradimento dalla Corte d’assise di Graz; la data del processo è 10 dicembre 1910, come scrive Enrico Burich in un articolo, del 1961, su «Fiume. Rivista di studi fiumani».
Volontario negli alpini nella Prima guerra mondiale, deve cambiare nome in “Giorgio Dilenardo”, per sfuggire alla forca austriaca. Si legge sul «Giornale di Udine» del 14 novembre 1915 che il “soldato volontario negli alpini Giorgio Conighi, nato a Fiume (Ungheria)” ha ricevuto un encomio solenne. Nel 1918 riceve la medaglia di bronzo e la croce di guerra. Nel 1919 è legionario a Fiume, con i fratelli Carlo Leopoldo
Conighi e Cesare Augusto Conighi, mentre il padre, l’ingegnere Carlo Alessandro
Conighi, è uno dei consiglieri di Gabriele D’Annunzio nella Reggenza del
Carnaro.
Nel maggio del 1945, a Trieste, i titini presero a cannonate la sua abitazione, perché si era rifiutato di esporre la bandiera rossa nella caserma dei pompieri, dove lavorava. Poco dopo viene arrestato dagli iugoslavi e recluso nel carcere del Coroneo. Liberato dopo trenta giorni di prigionia, è costretto all’esodo, abbandonando la terra natia. Nel dopoguerra è comandante dei Vigili del Fuoco di Trieste e di Trento. Viene incaricato nel mese di aprile del 1959, dell’amministrazione del Comitato esecutivo per il monumento a D’Annunzio a Ronchi. Tale opera, su progetto dell’architetto Vincenzo Fasolo, è realizzata in realtà sul territorio del Comune di Monfalcone sotto la direzione dei lavori dell’architetto Carlo Leopoldo Conighi e viene inaugurata il 30 ottobre 1960. Detto monumento è oggetto di aspre polemiche anche dopo il Duemila.
Una ricerca scolastica
sugli itinerari della memoria, 2014
Nell’ambito delle attività del Laboratorio di Storia, all’Istituto Statale d’Istruzione Superiore “Bonaldo Stringher” di Udine, nell’anno scolastico 2014-2015, è stato attivato il progetto «Il Secolo breve in Friuli Venezia Giulia», cofinanziato dalla Fondazione CRUP, di cui sono stato il referente. Ho chiesto ai miei studenti di questa scuola turistico
alberghiera se, nell’allestimento di itinerari turistici della memoria, pareva
loro opportuno ricordare anche i luoghi dei conflitti e delle violenze del
Novecento, come la questione dell’esodo giuliano dalmata e delle foibe. Ecco
una breve selezione delle loro risposte.
Eleonora Traore, Chiara Camatta e Elisa Dal Bello hanno detto che nei tour è importante menzionare i luoghi dei conflitti e delle violenze, come la Risiera di San Sabba o la Foiba di Basovizza “per capire che le guerre causano immani sofferenze e possono indurre gli essere umani a dare il peggio di sé: tutti senza distinzioni”. Andrea Casasola ha ricordato che il turista affronta così “emozioni e sensazioni, ma soprattutto mantiene vivo il ricordo del passato”. Per Agnese Gervasi è rilevante questo segmento turistico poiché i visitatori “si sentiranno più vicini ai parenti perduti”. Col turismo della memoria, albergatori e ristoratori – secondo Christian Ciacchi, Nicolò Salvemini e Giada Todesco – possono contribuire a far conoscere cultura e tradizioni enogastronomiche del territorio. Altri studenti come Alessandro Dimatteo, Mattia Fant e Sabrina Turoldo, si sono spinti più in là, proponendo agli operatori economici di offrire delle riduzioni di prezzo sui menu e sui soggiorni, per le comitive con quei fini di turismo – pellegrinaggio. Nel 1956 è stato tale Pietro Sfilligoi, trascinato da un certo pathos, a scrivere che: “L’unico conforto che rimane agli esuli è che almeno Trieste si sia salvata, che quella che ogni giuliano ha considerato, dopo la propria, la più cara città, non abbia subito l’affronto supremo e, forte della sua italianità, signoreggi specchiando, sì nel suo magnifico golfo dal quale l’esule che va a Trieste come a un pellegrinaggio vede scendere sempre più evanescente, giù giù fino a Pola, la terra condannata, la terra tradita”. Ci sono altri studenti dell’Istituto “Stringher”, come Mattia Pravisani e Giovanni Zamparini, che propongono di ricercare i menu dell’epoca e addirittura di apportare alcune modifiche ai ristoranti di Trieste e di Gorizia, ricreando le atmosfere degli anni Quaranta e Cinquanta. Altri, come Matteo Burello, dicono di ricercare delle compagnie teatrali in grado di allestire degli spettacoli su quegli anni e quegli eventi, da proporre in collaborazione agli operatori economici del turismo.
Fonti orali
Le interviste (int.) sono state condotte a Udine con penna e
taccuino da Elio Varutti, se non altrimenti specificato. Si ringraziano e si
ricordano i seguenti signori per le testimonianze concesse.
1) Renato Bianco, Silea, provincia di Treviso (1951), e-mail del 10 febbraio 2014. 2) Miranda Brussich vedova Conighi (Pola 11 agosto 1919 – Ferrara 26 dicembre 2013), int. del 28 dicembre 2008 a Ferrara. 3) Anna Maria L. istriana, Tolmezzo, provincia di Udine (1963), int. del 15 dicembre 2010. 4) Rosalba Meneghini in Capoluongo, Udine (1951), int. del 3 dicembre 2011. 5) Maria Millia, vedova Meneghini (Rovigno 1920 – Udine 2009) intervista del giorno 11 maggio 2004 e 10 febbraio 2008. 6) Caterina Pagnucco vedova Sguerzi, Castelnuovo – vicino Pordenone (1925), int. del 3 gennaio 2004. 7) Gianpaolo Polesini, Udine (1957), con genitori dell’Isola di S. Nicolò, presso Parenzo, int. del giorno 11 dicembre 2013. 8) Marisa Roman, Parenzo (1929), int. del 23 dicembre 2014. 9) Sergio Satti, Pola (1934), int. del 13 novembre 2014. 10) Egidio Toros (San Lorenzo Isontino 1904 – Udine 2005), int. del 29 ottobre 2001. 11) Ivana Varutti, San Vito di Fagagna, provincia di Udine (1946), int. del 6 settembre 2011.
Fonti bibliografiche
ragionate
Sulla deportazione del 1914 di profughi italiani in Austria
in campi con baraccamenti vedi: – Lepre Rita, Profughi nel Barackenlager di
Pottendorf-Landegg. Il racconto degli abitanti di S. Lorenzo Isontino e di S.
Martino del Carso, «Iniziativa Isontina», n. 103, dicembre 1994.
– Gorlato Achille, Il campo profughi istriani di Wagna
1914-1918, in : Delton Domenico, Del Ton Giuseppe et alii, Dignano e la sua
gente, Trieste, Centro Culturale “Gian Rinaldo Carli”, 1975.
Una ricerca recente, molto documentata, in lingua croata e
tedesca, sul campo di internamento di Gmünd, vicino alla Repubblica Ceca,
1914-1918, è la seguente: – Andrej Bader, Barackenlager Gmünd, Medulin, Općina
Medulin, 2014.
Sul giornale «L’Arena di Pola» e sui giornali dell’esodo si possono trovare diverse conferme di quanto hanno riferito le fonti orali. Io ho consultato nelle biblioteche di Udine e di Gorizia diverse annate, per i miei studi sull’esodo giuliano dalmata. Nelle famiglie dove mi sono recato per le interviste, mi hanno mostrato diversi ritagli di giornali, come quelli da «L’Arena di Pola», appunto, perché molto diffuso tra gli esuli e i loro discendenti. Per questo racconto ho utilizzato specificamente: – «L’Arena di Pola», n. 13, III, 6 dicembre 1947. – «L’Arena di Pola», n. 5, IV, 15 aprile 1948.
Pur essendo un libretto divulgativo, è molto ben documentato
il seguente testo sull’unico campo di concentramento nazista attivo in Italia –
Tristano Matta, Il lager di San Sabba dall’occupazione nazista al processo di
Trieste, Trieste, Beit, 2012.
Ci sono varie testimonianze dell’esodo giuliano dalmata pubblicate sui quotidiani italiani, come la seguente: – P. Sfilligoi, Un esule ricorda, «Messaggero Veneto», 24 maggio 1956, pag. 16.
Tra le più recenti pubblicazioni sull’esodo giuliano dalmata,
che ormai ha una letteratura vasta e variegata, si vedano: – Armando Delzotto,
I miei ricordi di Dignano d’Istria (dalla nascita all’esodo), Edizioni del
Sale, Udine, 2013 – Mario Maffi, 1957.
Un alpino alla scoperta delle foibe, Udine, Gaspari, 2013. – Guido Rumici, Mosaico dalmata. Storie di
dalmati italiani, Gorizia, Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Comitato provinciale di Gorizia, 2011. – Mauro Tonino, Rossa terra, Pasian di Prato
(UD), Orto della Cultura, 2013. –
Francesco Tromba, Pola Cara, Istria terra nostra. Storia di uno di noi Esuli
istriani (prima edizione: Gorizia, Associazione Nazionale Venezia Giulia
Dalmazia, 2000), Trieste, Libero Comune di Pola in Esilio, 2013. – Annalisa Vukusa, Sradicamenti, Fagagna
(UD), Tipografia Graphis, 2001.
Tra gli ultimi contributi sull’Impresa di Fiume, il libro
seguente riporta alcune immagini del capitano degli alpini Giorgio Conighi,
comandante dei reparti volontari fiumani dal 1919. – Mimmo Franzinelli, Paolo
Cavassini, Fiume. L’ultima impresa di D’Annunzio, Milano, Mondadori, 2009.
Sulla saga familiare dei Conighi, vedi i seguenti riferimenti
bibliografici e link in Internet: –
Enrico Burich, Momenti della polemica per Fiume prima della guerra
1915/18, in «Fiume. Rivista di studi fiumani», IX, n. 1-2, gennaio-giugno 1961,
pag. 15. –
E. Varutti, Sembra la pace in avvicinamento… Diario dell’artigliere
austriaco Carlo Conighi e le cartoline postali del bancario Dante Malusa
internato a Tapiosüly da Fiume nel 1915-1918, in Erminio Polo, Alfio Anziutti,
Giancarlo L. Martina, Chiara Fragiacomo, Elio Varutti, Un doul a mi strinzeva
il cour. 1917: questo terribile mistero, Coordinamento dei Circoli Culturali
della Carnia, San Daniele del Friuli (UD), 1997, pagg. 59-76. –
E. Varutti, Casi familiari di radicamento sociale del Risorgimento nel
Friuli e nella Venezia Giulia, in I moti friulani del 1864. Un episodio del
risorgimento europeo, Atti del convegno San Daniele del Friuli 29-30-31 ottobre
2004, Quaderni Guarneriani, 4, 2005,
pp. 131-156. ISBN 88-901571-1-9
– E. Varutti, Il monumento a D’Annunzio, in
Ferruccio Tassin (cur), Monfalcon, LXXXIII congresso, Monfalcon 24 settembre
2006, Udine, Societât Filologjiche Furlane, pp. 231-237. ISBN 978-88-7636-071-8
Sullo studio di casi familiari è molto interessante vedere le
seguenti biografie e articoli che sono riuscito a ricostruire con dati delle
collezioni familiari: – Carlo Alessandro Conighi. – Carlo Leopoldo Conighi. –
Giorgio Alessandro Conighi. – Diario di Carlo Conighi, Fiume aprile-maggio
1945. – Harry caro, tua Mira. Esuli da Fiume, 1945-1946. Lettere dell’esodo
giuliano dalmata.
Una prima versione della storia delle sarte Zanetti di Pola,
Fiume e Firenze si può leggere in: – E. Varutti, Il cramâr Morocutti da
Zenodis, l’imprenditore febbrile di Canal da Malborghetto ed altre storie di
cramarìa, «Bollettino delle Civiche Istituzioni Culturali», Udine, n. 9,
2003-2004, 2005, pp. 111-162.
Sui campi profughi istriani e dalmati di Udine esiste una non
ampia serie edita di articoli e di studi, con certi materiali aggiornati dallo
scrivente e pubblicati nel web. – Remo
Leonarduzzi, La ex-Gil di via Pradamano, «Baldasseria 78», Udine, 1978, pp.
6-7. – Mario Visintin, Accoglienza,
«Baldasseria Festa Insieme 1996», Udine, 1996, pp. 30-31. – Elio Varutti, Il Centro di Smistamento
Profughi di Via Pradamano accolse oltre centomila persone dell’esodo dal 1947
al 1960, «Festa Insieme Baldasseria», Udine, 2004, pp. 18-20. – E. Varutti, Il Campo Profughi di Via Pradamano
e l’Associazionismo giuliano dalmata a Udine. Ricerca storico sociologica tra
la gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo, 1945-2007, Udine,
Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Comitato Provinciale di
Udine, 2007 (esaurito). – E. Varutti,
Cara maestra, le scrivo dal Campo Profughi. Bambini di Zara e dell’Istria
scolari a Udine, 1948-1963, «Sot la Nape», 4, 2008, pp. 73-86. – Franco Sguerzi – E. Varutti, La nostra
parrocchia di San Pio X a Udine 1958-2008. Cinquanta anni di memorie condivise,
Udine, Academie dal Friûl, 2008, pp. 71-72. – Mario Blasoni, Quei centomila esuli in via
Pradamano, «Messaggero Veneto», 4 febbraio 2008, ora in: M. Blasoni, Vite di
friulani, Udine, Aviani & Aviani, 2009, pp. 213-216. – Pupo Raoul, L’Ufficio per le zone di
confine e la Venezia Giulia: filoni di ricerca, «Qualestoria», XXXVIII, 2,
dicembre 2010, pp. 57-63. – Elena
Commessatti, Villaggio Metallico e altre storie a Udine, città
dell’accoglienza, «Messaggero Veneto», 30 gennaio 2011, pag. 4; ora in: E.
Comessatti, Udine Genius Loci, Udine, Forum, 2013, pp. 98-101. – E. Varutti, Rifugi antiaerei a Udine.
Profughi istriani, preti e parrocchiani, «Festa Insieme Baldasseria» 2013,
Udine. – E. Varutti, La Cappella dei
profughi istriani, «Festa Insieme Baldasseria», Udine, 2014, pp. 34-35. – E. Varutti, Il Centro di Smistamento
Profughi istriani di Udine, 2014-2019 –
R. Bruno, E. Marioni, G. Martina, E. Varutti, Ospiti di gente varia. Cosacchi
esuli giuliano dalmati e il Centro di Smistamento Profughi di Udine 1943-1960,
Udine, Istituto Statale d’Istruzione Superiore “B. Stringher”, 2015.
Sulle vicende dell’emigrazione friulana esiste una vasta letteratura; in questo articolo ho utilizzato il lavoro seguente: – L. Zanini, Per la storia della Carnia migrante, Udine, Doretti, 1961.
Referenze iconografiche e ringraziamenti
Le fotografie sono della Collezione Conighi di Udine, ove non
altrimenti indicato. Si ringraziano la collezione privata e le altre fonti per
la diffusione delle immagini. Per le informazioni, i dati, le ricerche e per la
diffusione della cultura sull’esodo giuliano dalmata un ringraziamento
particolare sia riservato a Anna Maria Zilli, Dirigente scolastico
dell’Istituto Stringher di Udine e ai professori del Laboratorio di Storia del
medesimo istituto, che ha per referente il prof. Giancarlo Martina. Ancora per
la collaborazione sui temi dell’esodo giuliano dalmata desidero ringraziare le
professoresse Maria Senis, Giulia Peresani e Manuela Beltramini, della Scuola
secondaria di 1° grado dell’Istituto “Uccellis” di Udine, nonché le
professoresse Paola Quargnolo, Maria Grazia Di Paola e Patrizia Giachin
dell’Istituto “C. Percoto” di Udine, oltre alla professoressa Adriana
Danielis e Guido Rumici dell’Istituto “Einaudi-Mattei” di Palmanova,
provincia di Udine.
Istituto Statale d’Istruzione Superiore “B. Stringher” Udine. Laboratorio di Storia, Progetto «Il Secolo breve in Friuli Venezia Giulia», sostenuto dalla Fondazione CRUP. Hanno collaborato alla elaborazione di questo prodotto gli allievi Elisa Dal Bello e Nicolò Salvemini, della classe 5 ^ D Dolciaria. Anno scolastico 2014-2015. Coordinamento didattico: professoressa Carla Maffeo (Italiano e Storia). Dirigente scolastico: Anna Maria Zilli. Networking: prof. Elio Varutti, Diritto e Tecniche Amministrative della Struttura Ricettiva; novembre 2014; con aggiornamenti al 2019
Sui dati dell’articolo presente è stata effettuata una presentazione in pubblico a Udine, con diapositive in Power point, a cura dell’Associazione dei Toscani in Friuli Venezia Giulia il giorno di venerdì 20 febbraio 2015, alle ore 18, presso la sala riunioni del Centro Servizi Volontariato, in viale Venezia n. 281, nelle vicinanze del Villaggio Giuliano. L’evento aveva il patrocinio del Club UNESCO di Udine e dell’Associazione Insufficienti Respiratori, sede di Udine. Al termine della relazione c’è stato un acceso dibattito. Ecco un’immagine della serata.
Il saggio presente è stato composto nel 2014 da Elio Varutti.
Viene ripubblicato nel 2019 con alcuni necessari aggiornamenti. Servizio redazionale e di Networking
a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti.
Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio
dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale
di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax
0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì
ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.
Sono 100 mila gli esuli passati per il Campo profughi di via
Pradamano a Udine. Dopo il giorno 8 settembre 1943, data della comunicazione
dell’armistizio tra gli alleati angloamericani e il governo italiano di
Badoglio, inizia l’esodo di italiani dalla Dalmazia, da Fiume e dall’Istria.
Fuggono per evitare le violenze degli iugoslavi, spinti dal sentimento di
vendetta per le atrocità patite nella guerra fascista e per la pulizia etnica
voluta da Tito. Gli storici scrivono che l’esodo termina nel 1956, ma io ho
raccolto testimonianze di fughe dall’Istria avvenute nel 1963, come nel caso di
Pietro Palazziol, di Valle d’Istria, scappato di notte con altri ragazzi,
correndo gravi rischi, infatti, morì un suo amico falciato da una raffica di
mitragliatrice “perché i Graniciari meteva le trappole con filo lezero; ti te
tiravi per sbaglio el filo, alora scopiava un bengala, che faceva luce e i
slavi i te tirava contro coi mitra”. I Graniciari erano guardie confinarie
iugoslave, di etnia bosniaca o serba, per evitare che si lasciassero intenerire
dagli italiani dell’Istria in fuga.
C’è chi dice che a Udine i Campi Profughi per gli istriani,
fiumani e dalmati dell’esodo siano stati addirittura quattro. Furono chiamati
Centro Raccolta Profughi (CRP) o, più semplicemente Campo Profughi. Certo è che
ci furono più spazi di accoglienza organizzati dalla prefettura locale. I primi
fuggitivi da Zara e dalla Dalmazia, nel 1943, vennero accolti nel capoluogo friulano da parenti e c’è chi
passò qualche giorno in albergo, a proprie spese. È il caso dei fratelli
Bugatto Giuseppe e Rita, scappati da Zara, nel Natale 1943. L’ospitalità presso
i parenti friulani toccò pure a Roberto Paolini: “Se semo imbarcadi su la nave
a Zara e gavevimo paura de un affondamento dei tedeschi, mio papà jera de la
Forestale e se gà tirado via i stivai, così te pol nodar e salvarte, se i ne
afonda i tedeschi”.
Il 3 settembre 1945 monsignore Giuseppe Nogara, arcivescovo
di Udine, nominò in qualità di presidente della Pontificia Commissione
Assistenza, sezione di Udine, don Abramo Freschi. Vedi: Archivio della Curia
Udinese (ACAU). Dagli atti e comunicazioni arcivescovili del 1946, si sa che il
sostegno ai profughi giuliano dalmati è di competenza della Pontificia
Commissione Assistenza. Vedi: «Rivista Diocesana Udinese».
I Centri di Raccolta Profughi sono chiamati dalla gente: “
Campo Profughi”. Forse perché i rifugiati vengono accolti negli stessi spazi
dove prima c’erano i militari italiani o gli ebrei, concentrati lì dai nazisti,
in attesa della deportazione nei Campi di concentramento o di sterminio in
Germania, dopo l’8 settembre 1943. Erano vecchie caserme, scuole bombardate o
altri edifici di grosse dimensioni, pur fatiscenti, per contenere il maggior
numero possibile di prigionieri. In effetti alcuni reclusi dovevano adattarsi a
stare nelle tende, che erano state aggiunte alle strutture murarie, quando
queste avevano i posti esauriti.
Bisogna dire che sin dal 1941, quando l’Italia fascista
invade la Jugoslavia ed annette alcune parti del suo territorio, come la
provincia di Lubiana o il Governatorato della Dalmazia, viene organizzata
dall’esercito italiano l’operazione di concentramento di militari e civili
iugoslavi, per sottrarli alla nascente resistenza contro gli invasori. I primi
campi attivi in Friuli e nella Venezia Giulia furono quelli di Cighino e di
Gonars. Il primo era sito vicino a Tolmino, mentre il secondo era a sud di
Udine. Nel 1942 a Gonars c’erano oltre 4.200 internati civili, bambini inclusi
(Kersevan 2008).
Nel 1941 fu costruito dagli italiani a Palazzolo dello
Stella, in provincia di Udine, il Campo delle Valderie, per gli internati
militari sloveni e croati. Al 31 marzo 1943 risultano reclusi 185 ufficiali e
4305 soldati iugoslavi. Sul Campo di Palazzolo dello Stella, vedi: Silvio Bini,
Campo delle Valderie un ‘lager’
dimenticato, «Il Gazzettino», edizione del Friuli, 1 giugno 2014, p. XII.
Dal mese di maggio 1945 a Palazzolo dello Stella furono
reclusi dai partigiani alcuni prigionieri fascisti. Angelo Meda è un maggiore
milanese “del disciolto esercito repubblichino” che scrisse a monsignore
Nogara, arcivescovo di Udine, nel mese di giugno 1945. Egli precisa di essere
stato arrestato il 10 maggio 1945, con l’imputazione di aver appartenuto alla
Repubblica di Salò. Operava a Gorizia, dove aveva il “comando del Gruppo
Carabinieri del 4° Regg. Milizia O.T.”. Nella missiva c’è la descrizione delle
pessime condizioni di vita nel campo di Palazzolo dello Stella. Si ritrovava in
cella con giovani ed anziani, con scabbia imperante, senza medici, né cure,
minacciati di “decimazione” per ogni sciocchezza dalle “guardie di partito”. Si
sa, infine, che il maggiore Meda fece domanda di arruolamento volontario nell’esercito
coloniale inglese. La vicenda del maggiore Meda è contenuta in Archivio Osoppo
della Resistenza in Friuli (AORF), cartella T 1, f 7, c 12. Questi campi sì,
erano dotati di tende, perché le baracche non erano sufficienti a contenere i
reclusi. In seguito l’appellativo passò ad ogni tipologia restrittiva degli
apparati di stato.
Biografia di monsignore Abramo Freschi
Nato a Pagnacco il giorno 8 giugno 1913, studia al Seminario
arcivescovile di Udine. È ordinato sacerdote nel 1937 e fa il cooperatore in una
parrocchia della periferia di Udine. Dal 3 settembre 1945 è presidente della
Pontificia Commissione Assistenza. È anche alla guida dell’Ente Comunale di
Assistenza fino alla fine degli anni Cinquanta. Nominato monsignore nel 1951,
si occupa sempre dei profughi istriani. Nel 1953 si laurea in Diritto canonico
al Pontificio Ateneo Lateranense. Dal 1963 è presidente della Pontificia Opera
di Assistenza (POA). Importanti per lui sono le imprese delle colonie di
Lignano, di Piani di Luzza e Tarvisio, che furono non solo riedificate, ma
aggiornate sul piano formativo e che arrivarono a ospitare dodicimila ragazzi
ogni estate. Dal 1956 al 1966 si occupa del Centro educativo di Cividale che
trasforma da istituto per orfani a moderna scuola di formazione professionale.
Nel 1970 è vescovo coadiutore di Concordia (Pordenone). Nel 1976 si occupa dei
terremotati. Vicepresidente per l’Europa della Charitas internationalis, regge
la diocesi di Concordia dal 1977 al 1988. Premio San Marco nel 1991, muore
all’ospedale di Pordenone il 10 febbraio 1996.
A questo punto devo chiarire una scelta precisa, per
comunicare al lettore quali siano gli assiomi entro i quali ci stiamo muovendo.
Nel 1925 Walter Benjamin ne Il dramma del
barocco tedesco ha scritto che: “Le
grandi articolazioni che determinano non solo i sistemi ma anche la
terminologia filosofica – la logica, l’etica, l’estetica – hanno un significato
non come nomi di discipline specialistiche, ma in quanto monumenti della
struttura discontinua del mondo ideale”. (Benjamin 2001 , p. 74).
Ebbene, quali sono allora i monumenti del contributo presente? La sfera culturale entro cui
s’intende operare non può trascurare i riferimenti letterari ad alcuni
romanzieri, che qui si accennano per l’alto significato etico, che sprigiona da
certe loro opere. Hanno essi descritto i contrasti tra italiani e iugoslavi,
con l’annessa questione delle foibe. Tali autori hanno trattato dell’esodo,
della fuga dalle terre istriane, fiumane, dalmate e alto isontine, in seguito
alla Seconda guerra mondiale. Hanno presentato la tematica dei profughi con uno
spirito particolare. Il periodo trattato è denso di avvenimenti a livello
europeo e di conflitti scatenati, guerra fredda inclusa. È un periodo che va
dalla rivoluzione russa, del 1917, alla caduta del Muro di Berlino, avvenuta
nel 1989, definito come il “secolo breve”, secondo lo storico Eric Hobsbawm. Si
tratta, almeno, di cinque grandi autori italiani, come Fulvio Tomizza con La miglior vita, pubblicato nel 1977,
Marisa Madieri con Verde acqua
(1987), Carlo Sgorlon, con il suo Foiba
grande (1992), Enzo Bettiza con Esilio
(1996) e Claudio Magris con Microcosmi
(1997) e con Alla cieca (2005).
2. Le prime ondate di profughi a Udine
La prima forma di accoglienza riservata agli esuli italiani
dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia dalle competenti autorità di Udine, dal
9 maggio 1945 al 1947, fu allestita presso la vecchia scuola “Dante Alighieri”
di via Gorizia, più precisamente in via Monte Sei Busi, nelle vicinanze di un
vecchio camposanto, nella zona a nordest della città. Vedi: Pietro Damiani
Calvino, Relazione sull’attività del
Campo N. 4 AMG-DP Centre Udine, 1 febbraio 1946, Archivio Osoppo della
Resistenza in Friuli (AORF), cit. La esplicazione e traduzione per N. 4 AMG-DP
Centre Udine è: “N. 4 Allied Military Government – Displaced Persons Centre
Udine” (Centro n. 4 per Rifugiati – letteralmente: Persone Sgradite, secondo
certe strane traduzioni, oppure: “Centro Raccolta delle persone senza
patria” – del Governo Militare
Alleato di Udine). L’attribuzione internazionale di “rifugiato” è stabilita a
Ginevra il 28 luglio 1951. L’AORF ha sede presso la Biblioteca “Pietro
Bertolla” del Seminario di Udine. Questa area venne definita come Centro di
Raccolta Profughi di via Gorizia; la struttura era al comando del tenete Previato.
Erano pochi spazi in stanze diroccate e riattate alla meglio. Anche certe fonti della
memorialistica, come quella di Dori Maraggi, ricordano la vecchia scuola “Dante
Alighieri” di via Gorizia, dove fu allestito un primo Centro di Raccolta
Profughi di Udine. Cfr.: Dori Maraggi, Borgo
S. Lazzaro, Udine, 1986, p. 13, dattiloscritto.
In una lettera, del mese di maggio 1945, di don Abramo
Freschi a monsignore Giuseppe Nogara, arcivescovo di Udine, è scritto che i
rimpatriati furono sistemati al cinema Rex, all’ex- GIL maschile (di via
Pradamano) e in quella femminile (di via Asquini), oltre che nei collegi Toppo,
Tomadini, Renati e Paolini (situati in varie parti della città). Per una notte
fu utilizzato anche al Tempio Ossario nella cui cripta vennero accolti esuli
sino al 1959, quando non c’era più spazio nel Campo Profughi.
Un’esule da Pola, Maria Millia, ha ricordato che, verso il
1949, i suoi genitori Anna Sciolis e Domenico Millia, rinomato fabbro di
Rovigno, assieme ad altri profughi istriani furono ospitati nel Tempio Ossario
di Udine, dato che “El Campo jera pien”. Nel 1959, appunto, erano ancora
accolte alcune persone dell’esodo nella stessa chiesa. “Una famiglia è ospitata
nella cripta del Tempio Ossario – riporta L’Arena di Pola del 28 aprile 1959 –
chi all’asilo notturno e altri nelle case diroccate di Via Bertaldia, ora
demolite”. Si pensi alla coincidenza: proprio nell’area di Via Bertaldia, Via
Manzini fu inaugurato, il 26 giugno 2010, il Parco Vittime delle foibe,
rinominato nel 2019 come Parco Martiri delle Foibe.
La signora Rosalba Meneghini Capoluongo è figlia di Maria
Millia, esule di Rovigno. “Mia madre parlava poco, aveva paura – ha detto –
invece dopo il Giorno del Ricordo, c’è la voglia di capire da parte dei
discendenti. I profughi raccontano e si ascoltano cose mai sentite fino ad
ora”.
È assai ricorrente il tema del silenzio dei profughi, ossia
la mancata comunicazione ai discendenti sui fatti storici dell’esodo
dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia. “Noi istriani abbiamo un grande affetto
per il nostro territorio – ha detto Anna Maria L. istriana, con parenti a
Dignano d’Istria – ma ne parliamo poco,
c’è tanta dignità e silenzio, preferiamo il duro lavoro e stare zitti”. Sugli
istriani gentili e riservati, c’è poi la testimonianza di Ivana Varutti.
Roberto De Bernardis, esule da Pola, ha riferito su un
quotidiano di Trento dell’assoluto silenzio mantenuto da sua madre dopo
l’esodo, avvenuto nel 1952. “Poi guardò solo avanti – ha scritto – non sarebbe
più tornata, non ne avrebbe più parlato: un silenzio durato sino alla sua
morte, nel 1999”. Certi esuli hanno rielaborato il dolore dell’esilio in
solitudine.
Per i primi profughi a Udine, nel 1945, venivano preparati
circa duemila pasti al giorno. Il maggiore Henry Hudson, comandante americano
dei Campi Profughi, ebbe modo di elogiare l’organizzazione del Campo Profughi
di via Gorizia, nelle vecchie scuole.
3. Il Villaggio
Metallico a Udine
Nelle vicinanze di via Gorizia c’era un grande
acquartieramento di truppe inglesi distribuito in una quarantina di
prefabbricati metallici, tipo bidonville, con tetto semicircolare; il campo era
presidiato da alte torri di guardia. Le piste di volo per gli avieri inglesi,
presenti contro un’eventuale invasione iugoslava titina, erano a Campoformido e
a Lavariano di Mortegliano, dove nel 1944-1945, i giovani locali furono
precettati a lavorare per la Organizzazione Todt,
dei nazisti.
Quando gli inglesi lasciarono Udine, nel 1946-1947, quegli
spazi, divenuti di proprietà dell’esercito italiano (caserma Spaccamela), dopo
regolare richiesta, furono occupati dagli istriani e da altri sfollati. Fu
subito chiamato il Villaggio Metallico, o dagli istriani “el Vilagjo de Fero”,
per le baracche zincate. Le belle fotografie del Villaggio Metallico, opera di
Tino da Udine, alias Costantino Procaccioli (1927-1996), sono diventate l’icona
del profugo istriano. Pittori del neorealismo friulano, come Dora Bassi
(1921-2007), hanno immortalato su tela le immagini di quelle baracche,
rabberciate dagli uomini dell’esodo alla meglio, con qualche tavola di legno
trovata chissà dove. Altra icona del periodo della guerra e della Ricostruzione
è senz’altro la bicicletta.
I cosacchi, alleati dei nazisti, nel 1944-1945 cercavano partizani, armi e biciclette. Tale mezzo
di locomozione, infatti, è divenuto quasi il simbolo della possibilità di
mandare dei messaggi da parte della Resistenza, con le staffette. C’è un
decreto delle autorità naziste dell’epoca per requisirle tutte. Perfino Afro
Basaldella (1912-1976) ne ha dipinte numerose nella sua Mappa della Resistenza
in Friuli, del 1948 (Casa Cavazzini, Museo d’arte moderna e contemporanea,
Udine, tempera su faesite, cm 202 x 302). La bicicletta di quel periodo fu
immortalata, tra l’altro, pure in una poesia da Riccardo Castellani, col titolo
“La bici dal sfolat (Ultin unvier di uèra) / La bicicletta dello sfollato
(Ultimo inverno di guerra)”. Anche il Villaggio Metallico era pieno di
biciclette.
È la seconda localizzazione di un sito per profughi a Udine.
Oggi ci sono le roulotte degli zingari. A scuola avevano una scodella di latte
caldo, a ricreazione, i figli dei profughi. C’erano poi dei piccoli aiuti da
parte dei compagni di classe. Definiti come “sussidiati”, essi ricevevano
penna, pennino e carta, come ha ricordato Vittorio Zannier, figlio di Santina
Pielich, originaria di Fiume e di Pietro Carlo Zannier, un sopravvissuto al
campo di sterminio nazista di Dachau. La famiglia Zannier visse al Villaggio
Metallico fino al 1956, quando per traslocare “fu sufficiente un motocarro Ape,
da così poche cose che avevamo”. Vittorio Zannier si sente friulano, essendo
nato a Udine nel 1951 e parla in marilenghe. “Tai pîts o vevi i çucui fats cu
la gome dai budiei de biciclete cjatâts te Tor – ha raccontato Vittorio Zannier
– e si lave a scuele a pîts cui fîs dal maresiâl, si jentrave tun negozi par
cjoli merendinis, ‘e paie la mame’, e disevin i fîs dal maresiâl e alore jo o
ai fat come lôr, dopo però me mari mi à dât un tango, che mi lu visi ancjemò”
(Ai piedi avevo gli zoccoli fatti con la gomma delle vecchie camere d’aria
gettate nel Torre, e si andava a scuola a piedi con i figli del maresciallo, si
entrava in un negozio per prendere le merendine, ‘paga la mamma’, dicevano i figli del maresciallo e
allora ho fatto come loro, dopo però mia mamma mi ha punito, che me lo ricordo
ancora oggi). Altri ricordi di aiuti ricevuti? “Pe prime Comunion no vevi il
vistît – ha concluso Vittorio Zannier – e pre Battigelli, plevan di Sant
Gotart, al à paiât lui il vistît par me, li dai Combattenti, in place dai grans
e, di frutin, o ai stât tal asîl de Cjase dal Frut di Via Diaz” (Per la prima
Comunione non avevo il vestito e don Battigelli, il parroco di San Gottardo, ha
pagato il vestito per me, nel negozio Ai Combattenti, in piazza dei Grani –
piazza XX Settembre – e da bambino sono stato all’asilo della Casa
dell’Infanzia di Via Diaz).
Nel 1947 è ricordata un’altra bidonville per i profughi
istriani nella frazione di S. Gottardo, nella periferia est della città. Il
Villaggio istriano di S. Gottardo è il terzo sito stabile individuato nel
capoluogo friulano. Poi c’è un quarto Villaggio giuliano a Sant’Osvaldo. Per i
precettati della TODT al lavoro sulle piste di volo di Lavariano, vedi: Erminio Polo, Maledetta
guerra, Lavariano di Mortegliano (UD), Associazione Culturale La Torre, 2004,
pp. 51, 70, 97, 99, 131 e 142. La poesia di Castellani è pubblicata su «Il
Strolic furlan pal 1960», della Società Filologica Friulana. Per i racconti sul
Villaggio Metallico c’è la fonte orale: Vittorio Zannier, 1951, Udine, int. del
22 febbraio 2008. Per il Campo di baracche di San Gottardo, le testimonianze
sono di: Giuliana Sgobino, 1940, Ancona, vissuta a Udine, int. del 10 febbraio
2013. Bruno De Faccio, 1933, Udine, int. a cura di Elisabetta Marioni del 12
ottobre 2011.
4. Il Centro di Smistamento di via Pradamano a
Udine
Un grande luogo di accoglienza è senz’altro il Centro di
Smistamento Profughi di via Pradamano, che operò dal 1947 al 1960, nella parte
meridionale del capoluogo friulano, ma già dal 1945 accoglieva i rifugiati.
Certi profughi istriani e dalmati, come lo zaratino Bruno
Perissutti, a Udine in Via delle Fornaci, erano vicini di casa della mia
famiglia. Lì appresso, negli edifici della ex Gioventù Italiana Littorio (GIL)
di Via Pradamano, fu attivo il più importante Centro di Smistamento Profughi
(CSP). Accolse oltre centomila profughi istriani, giuliani, fiumani e dalmati,
secondo i dati del Ministero dell’Interno e dell’Associazione Nazionale Venezia
Giulia e Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine. Si tratta di un terzo
dell’esodo. Sono cifre assai elevate.
Dal signor Remo Leonarduzzi, che ne fu il custode dal 1953,
si sa che “raggiunse fino a duemila presenze giornaliere”. Meglio conosciuto
come complesso ex GIL, è stato il più grosso Centro Smistamento Profughi
d’Italia, secondo Silvio Cattalini, presidente del Comitato Provinciale di
Udine dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD) e Bruno
Perissutti. Documenti su
carta intestata del CSP sono in: Archivio di Stato di Udine (ASUD), Prefettura,
Appendice, busta 125, carta dal Registro spedizione masserizie profughi. Fonte
orale: Leonardo Cesaratto (Bucarest 1926 – Udine 2011), impiegato del Centro
Smistamento Profughi, int. del 26 gennaio e del giorno 11 febbraio 2004. Direttore
del Campo il 19 agosto 1948 era Luciano Guaita.
Progettato nel 1934 dall’architetto Ermes Midena (1885-1972), il complesso era un Collegio Convitto della Opera Nazionale Balilla (ONB), poi divenne di proprietà alla GIL. Con pitture murali di Afro Basaldella nel 1936, fu caserma tedesca (1944-1945) e inglese (1945-1946). Come già detto di qui passarono più di centomila giuliani, istriani e dalmati, ma anche balcanici in fuga dal comunismo iugoslavo. Qui trovarono un primo alloggio e un po’ di solidarietà prima di proseguire verso altre mete, nazionali ed estere. L’Italia allestì 140 campi profughi, secondo Guido Rumici, attivi fino alla consegna delle abitazioni per gli esuli (Rumici 2009). Padre Rocchi scrisse di soli 109 CRP in Italia (Rocchi p. 194). Nel 1958 l’Opera per l’assistenza ai profughi giuliani e dalmati riuscì a censire 201 mila e 440 profughi, ma tale cifra non tiene conto di chi partì senza ricorrere all’assistenza del governo e dei vari enti preposti. Ecco perché certi autori portano ad oltre 300 mila il totale degli italiani in fuga dalle loro terre annesse dal regime iugoslavo, dopo il Trattato di Parigi del 1947 (Rumici 2007, pp. 161-173).
Certo il Campo di via Pradamano, gestito dal Ministero degli
Interni, non era un albergo a cinque stelle. Grandi camerate divise da separé
con coperte, letti a castello, la cucina affidata alle volonterose cuoche
istriane, le famiglie si arrangiavano come potevano. Gli stessi profughi si
occupavano delle varie corvées. Oltre alla direzione, al corpo di guardia,
c’erano anche un medico, l’infermeria e la messa la domenica; vi partecipava
anche la gente del quartiere, dato che la chiesa di San Pio X non esisteva
ancora e la parrocchia sorse nel 1958, staccandosi da quella della Beata
Vergine del Carmine.
Nel 1957 fece la sua comparsa in Campo persino il primo
televisore! Un’esperienza, insomma, che non ha lasciato solo brutti ricordi,
anzi: come ha detto Eleonora, un’anziana ex ospite: “Gavemo passà ben!”. È
stata la signora Cristina Dilena a riferirmi l’aneddoto del televisore, con
qualche sorriso. “Abitavo vicino al Campo Profughi – ha raccontato – e, verso
il 1957, sono venuti a cercarmi dei bambini profughi per giocare con me, la mia
famiglia non era di profughi, e hanno detto se potevo andare a vedere televizija
in campo”.
Ecco un’altra testimonianza sull’accoglienza a Udine: “Ero in
camerata con altra famiglia e dei separé fatti con coperte. Si aveva letto a
castello con branda vicino per tre di noi – ha ricordato la signora Albina
Visintin – Per pulizie dei bagni si faceva noi donne a turno. Per mangiare
c’era la mensa e le cuoche erano delle nostre parti. Era chiamato campo di
smistamento. Era tutto pieno. Più di cento persone. Facevano indagine per
sapere che gente se jera. Noi siamo venuti solo col lasciapassare e non siamo
tornati. Siamo entrati in campo il 20 maggio del 1958 e il 20 luglio siamo
usciti e semo andai in affitto nel Cormòr Basso [strada udinese vicino al
Villaggio Giuliano]. I altri, dopo quattro mesi, i andava nei campi di Latina o
Gaeta dove i stava sette anni e i aveva la cittadinanza italiana. So che al
campo de Altamura [in provincia di Bari] la gente del posto, per dispetto,
aveva avvelenato l’acqua”.
I figli dei profughi dove andavano a scuola? Erano sparsi tra
la scuola “IV Novembre” e la “Dante”, con le varie succursali, come quella di
Via Melegnano, divenuta poi “Ada Negri”. Ecco il ricordo di Nino Almacolle:
“Nel 1946 ero alla scuola IV Novembre e c’erano vari bambini profughi istriani
e di Zara, poi le maestre ci portavano alla ex-GIL di via Asquini, dove stavano
i soldati americani, che ci davano le prugne secche: dolci e buone. Tutto era
buono perché c’era tanta fame!”.
Francesco Buliani ha detto che: “Nel 1956 andavo a scuola in
via Melegnano, che era una succursale della “Dante”, in ogni classe avevamo due
o tre figli di profughi giuliani, che stavano al Campo di via Pradamano. C’era
il maestro Mario Quargnolo, che era bravissimo con loro. Prima di lui ho avuto
la maestra Silva Biasioli Toffoletti. Poi, dopo circa tre mesi, sapevamo che
certi bimbi profughi erano partiti, via Napoli, per l’Australia, per gli Stati
Uniti d’America o il Canada”.
Ecco un altro ricordo, quello di Fulvia Zoratto: “Ero alla
scuola elementare di via Melegnano nel 1957, avevo la maestra Misdariis,
istriana che, per S. Lucia in accordo con i genitori, fece un regalo a tutti i
bambini, un mandarino e una caramella, compresi i figli dei profughi, che erano
senza possibilità economiche. Ciò al posto dei regali di S. Lucia dei bambini
di Udine. Ci diceva che i bimbi istriani e le loro famiglie erano stati
cacciati dalle loro case a causa della guerra. Era la prima volta che sentivamo
la parola guerra”.
Sul Campo profughi di via Pradamano, ecco la testimonianza di
Mario Visintin: “La mia famiglia ed io siamo arrivati al campo nell’autunno del
1958; c’erano già ospitate circa 200 persone alle quali era permesso il
soggiorno per non più di tre mesi. Trascorso questo periodo venivano trasferiti
nei campi di altre città come Massa Carrara, Cremona, Latina… in attesa di una
definitiva sistemazione. Ogni stanza dell’edificio ospitava circa 15 persone,
quindi più o meno quattro nuclei familiari diversi il cui spazio era delimitato
da dei teloni”.
Il 10 dicembre 2007, nel 60° anniversario dell’apertura del
CSP udinese, fu inaugurata una lapide con le autorità, come l’ingegnere Silvio
Cattalini, per l’ANVGD. Poi intervennero il vice sindaco Vincenzo Martines, gli
studenti e gli insegnanti della scuola media “Enrico Fermi”, accompagnati dal
loro dirigente scolastico Stefano Stefanel e gli alpini dell’ANA. Il testo
della lapide, in pietra bianca d’Aurisina, è il seguente:
IN QUESTI EDIFICI, DAL
1947 AL 1960,
FUNZIONÒ IL CENTRO DI
SMISTAMENTO PROFUGHI,
OVE TRANSITARONO CIRCA
CENTOMILA PERSONE
DELL’ISTRIA, DI FIUME
E DELLA DALMAZIA.
IL CONSIGLIO DELLA 4.A
CIRCOSCRIZIONE POSE
A PERENNE RICORDO
DELLE GENTI DELL’ESODO.
UDINE, 10 DICEMBRE
2007
Dopo il 2004, data della legge sull’istituzione del Giorno
del Ricordo, le fonti orali hanno iniziato a riferire i disagi e le sofferenze
patite per la contrastata accoglienza loro riservata dalla popolazione locale.
Renata Trigari ha riferito la sua
testimonianza di quando era bambina. “Siamo venuti via da Zara nel 1948 – ha
detto – e ci siamo fermati tre giorni al CSP di Udine; la mia mamma, Lidya
Livich, se la ricordò per un bel po’ la puzza di pipì del Campo Profughi”.
La testimonianza più autentica potrebbe sembrare quella del
signor Leonardo Cesaratto, perché era l’impiegato del Campo Profughi.
All’inizio dei nostri incontri per definire l’intervista, si dimostrò molto
titubante: “Non voglio rogne! – continuava a ripetermi – Sa, ci sono sempre dei
tizi che mandano lettere anonime e minacce contro gli esuli e contro chi parla
a loro favore”. Poi si è aperto, capendo che i tempi stanno cambiando. Mi ha
portato delle fotografie molto interessanti. Ogni pezzo di storia è di tutti
gli italiani. È stato lui a raccontarmi che: “Quello di Via Gorizia era il
primo Campo Profughi di Udine, parte era in una vecchia scuola in poche stanze
e parte era in una bidonville, dove prima stavano i soldati inglesi; finché
c’erano quattro o cinque rifugiati al giorno, lì andava bene, ma quando
cominciarono ad arrivate 200 persone al dì, serviva il Campo di Via Pradamano,
che era il Centro di Smistamento Profughi”.
Ricordo volentieri la signora Elvira Dudech, da Zara. Mi
veniva spontaneo rivolgermi a lei, come a molti altri esuli, in dialetto
veneto, avendo io avuto una nonna di origine veneziana. Nel 2004 mi raccontò
che con la famiglia fuggì in nave fino ad Ancona, dove fu ospite del locale
Campo Profughi. In seguito iniziò il suo calvario per i Campi Profughi
italiani, a cominciare da quello di Laterina, in provincia di Arezzo, dove la
trattennero per oltre quattro anni. A seguire, fu trasferita al Campo Profughi di
Chiari, in provincia di Brescia e, infine, a Roma. Il Campo Profughi di Chiari
è menzionato, in una videointervista, pure da Loretta Vuchic, nata a Zara nel
1943. Verso il 1955 la famiglia di Elvira Dudech trovò una casa a Udine; in
quel periodo si recò in visita agli zii e ai cugini che stavano al Campo
Profughi di Via Pradamano: “Go visto brande e mia cugina che dormiva in campo e
a mangiar con noi in casa – ha raccontato la Dudech – jera fioi che i piangeva,
i voleva la casa, le mame diceva: No gavemo più casa”. Nel 2007, dopo la
pubblicazione del libro sul Campo Profughi, incontrai la signora Dudech nel
quartiere o in parrocchia e continuava a riferirmi altri fatti dell’esodo. “Con
ti posso parlar in dialeto – diceva – come coi zaratini e i veneziani”. E giù
un’infilata di nomi, di strade di Zara ed aneddoti vari.
C’è chi, come riferisce Laura B.M., ricorda le “fatiscenti
strutture del Campo profughi di via Pradamano nel 1947”. Poi ha aggiunto la
signora B.M.: “Ho tantissimi amici che hanno avuto traversie molto tristi nel
campo profughi, le ricordano ancora oggi con tristezza ed angoscia, per il
dolore dell’esilio e per le umiliazioni sofferte dai propri cari”. L’impressione
sul “fatiscente” CSP di Udine è riportata da suoi amici originari di Parenzo, che
gestiscono due librerie a Latina. Ci sono persone, come Dario Stritof, che
essendo stato con la famiglia di Pola in quel CSP cerca di “ricostruire la
storia del mio passaggio lì, a Udine, essendo venuto via con la famiglia nel
1952”. Pure Olivia Vesnaver, di Portole, mi ha chiesto notizie su tale
struttura: “In quel Campo c’ero anch’io”.
Ad esempio le sorelle Egle e Odette Tomissich, nate a Fiume,
ricordano il CSP di Udine, perché nelle camerate c’erano le brande e la
corrente elettrica, che mancavano, invece nel 1948, al CRP del Silos a Trieste,
dove i profughi dormivano sul pavimento. C’è chi, come Franco Grazzina, dice di
“aver dormito per terra nel 1949 al Campo Profughi di Udine, solo con una
coperta e dei fogli di giornale – poi aggiunge – per mangiare si faceva una
lunga fila con la gamella, poi siamo andati a vivere a Venzone e poi a
Gorizia”. La signora Dora Faresi Pizzo racconta: “Son vignuda via nel 1946, noi
se doveva finir in foiba, go visto i annegamenti dei cetnici [iugoslavi
monarchici anticomunisti] e dei italiani legadi assieme, iera tochi de cadaveri
portadi dal mar su la riva”. Questi sono solo alcuni brani delle varie
testimonianze raccolte.
Aveva quattordici anni, quando lasciò Isola d’Istria, la
signora Licia Degrassi, che ricorda una sua “amica d’infanzia, tale Dora
Valentini e di suo papà che fu infoibato”. Il cugino Damiano Degrassi era al
CRP di Opicina, vicino a Trieste. “Durante una manifestazione per l’Italia, nei
primi anni Cinquanta – ha concluso la signora Degrassi – un gruppo di slave mi
ha preso e picchiato vicino ad un portone, me la son vista proprio brutta, ma
mi ha salvato un signore di passaggio”.
Certe volte le testimonianze sono sconvolgenti, come nel caso
del racconto di Maria Anderloni. “Una mia parente, Anna Giuppani in Anderloni –
ha detto – era nata a Zara, sapeva due lingue: tedesco e inglese. Prima della
guerra scappò da Zara con la famiglia, perché suo padre girava, per lavoro,
presso i mezzadri col fattore. Da un certo giorno non ebbero più notizie di
lui, finché non giunse in casa una scatola, dove dentro c’era la testa mozzata
del capofamiglia. Ecco perché fuggirono inorriditi”.
Si pubblica, a questo punto, uno stralcio di una lettera di
una profuga, che si conclude con una constatazione assai cruda: “Bisogna
sopportare tutto, siamo profughi e questa parola dice tutto”. L’autrice è Marie
Rassmann profuga da Fiume fino in Germania, a Norimberga. Nel 1954 scrisse al
cognato e alla nipote, esuli a Udine, dopo aver appreso la notizia della morte
della sorella Amalia. Tutte le affettività familiari sono state omesse e si
riporta solo il testo che allude alla condizione di profugo, poiché è quanto
mai indicativo. Marie Rassmann, vedova Gramisch e vedova di seconde nozze
Kienel (Fiume 1893 – Norimberga 1986). Fu insegnante di Lingua italiana a
Norimberga, ritornò in Italia negli anni 1960-1970 per trascorrere, in estate,
qualche giorno di vacanza sulla riviera romagnola con la famiglia.
“Norimberga, 3 febbraio 1954
Carletto mio carissimo, Helga mia!
(…) Anch’io sento l’età e la mia costituzione non è così
forte da poter sopportare tanto. Tutta quella mancanza di tatto, che è qui
all’ordine del giorno, bisogna inghiottire, e corrode i nervi e la salute.
Anche Rudi [il figlio] è qualche volta alla disperazione e sono io quella che
deve dargli nuova energia e conforto. Ma non ci resta altro scampo, bisogna
sopportare tutto, siamo profughi e questa parola dice tutto.(…)
Sono sempre la vostra Maria”.
5. Famiglie cacciate dalla Slavonia perché
italiane nel 1956
Passarono per il CSP di Udine pure un gruppo di esuli tutto
particolare, la cui storia finora era sconosciuta. Si tratta di certe famiglie
di origine veneta, frutto dell’emigrazione di fine Ottocento ed inizi del
Novecento. Dall’area di Romano d’Ezzelino, provincia di Vicenza, i loro avi
erano emigrati nell’Impero d’Austria Ungheria per lavorare nelle carbonaie
della Slavonia, in Croazia, nei pressi di Osijek, vicino al confine ungherese.
Dopo il 1945 i giovani frequentavano le scuole iugoslave parlavano croato e recavano
persino nomi propri croati. Le famiglie erano integrate. Solo in casa c’era chi
parlava l’antico dialetto veneto imparato dai nonni. Da questa interessante
intervista si comprende come il sistema della pulizia etnica, ormai,
imperversasse nella Jugoslavia del 1950-1960. Chi avesse avuto una parvenza di
italiano doveva essere cacciato.
“Mia mamma era Maria Bosniak, oggi vivo in provincia di
Varese – ha detto Slavica Delbianco – siamo dovuti venir via, dopo varie
pressioni, nel 1956. Siamo arrivati al confine di Fernetti, vicino a Trieste,
in treno e i soldati slavi ci dissero che i dinari iugoslavi era meglio
cambiarli, però quando il treno è ripartito loro si sono tenuti tutti i nostri
soldi. Prima della partenza le autorità iugoslave ci diedero una lista dei beni
che potevamo portare in Italia, erano poche cose. Abbiamo dovuto vendere tante
cose. Siamo passati dal Campo Profughi di Udine, poi ci hanno trasferiti a
Gaeta, provincia di Latina, lì il Campo Profughi era in una vecchia caserma
rovinata. Poi siamo andati al Campo Profughi di Aversa, provincia di Caserta,
in certi prefabbricati; erano delle belle casette. Poi di nuovo al CRP di
Gaeta, dove, nel 1959, mi è nata una sorellina. Mio nonno Delbianco faceva il
carbonaio e proveniva dalla zona di Romano d’Ezzelino. Siamo usciti dal CRP nel
1961. I miei genitori hanno dovuto aspettare tre anni per avere i documenti per
espatriare. Prima di partire abbiamo dovuto vedere un pezzo di terra e,
persino, il corredo con merletti. Al confine italiano mio fratello Ivan è stato
italianizzato in Giovanni e così via…”.
6. Una fuga da Zara del
1957
Ora osserviamo un interessante e raro atto che attesta
l’attività del Centro di Smistamento Profughi di Udine, dal quale risultano i
contatti di tale Centro non solo col Ministero dell’Interno, Direzione Generale
Assistenza Pubblica, di Roma, pure col Consolato Italiano di Zagabria
(Jugoslavia).
Si tratta di un documento dattiloscritto, del 24 agosto 1957,
per copia conforme all’originale del rilascio del passaporto ad Anna Scocich in
Scara, nata a Nona (“Nin”, in croato), provincia di Zara il 2 ottobre 1919, di
professione casalinga. Gli Scara sono venuti via da Zara nel 1957 e sono
arrivati a Udine il 29 ottobre di quell’anno, nel Centro di Smistamento
Profughi di Via Pradamano.
L’atto è stato emesso da un certo De Paoli, direttore del
Centro Raccolta Profughi (C.R.P.) di Udine, per il trasferimento della signora
Scocich al Campo Profughi “Caserma Cosenz (?)” di Gaeta, provincia di
Latina. Tale C.R.P. di Gaeta è citato pure da Emiliano Loria nel suo
“L’esilio raccontato”. Nel documento sotto riportato è menzionata
l’assegnazione di un sussidio per lei di lire 500 pro-capite, per una persona
in data 21 novembre 1957. Questa è pure la data del trasferimento da Udine al
C.R.P. di Gaeta.
Il passaporto è rilasciato dal Consolato Generale d’Italia a
Zagabria (console “L.T.”) ed è valido per la Jugoslavia fino al 20 febbraio
1958, salvo rinnovi (Collezione famiglia Skara).
Abbiamo chiesto a Seloua Skara, nipote ventenne di Anna Scocich
di raccontare la storia della sua nonna paterna. «La storia di mia nonna non è
allegra – ha riferito Seloua Skara – non riusciva a integrarsi, a differenza
del marito e dei figli, e non si adattò mai alla vita in Italia. Morì giovane».
Nonna Anna Scocich lasciò alcuni suoi parenti in Croazia, oltre a tutti i
propri cari fuggiti nell’esodo giuliano dalmata in Italia. La famiglia
possedeva «alcuni appezzamenti di terra a Nin».
Sito a 17 km da Zara, Nin (“Nona” in dialetto dalmata) è un
borgo sviluppatosi su un isolotto (di 1800 abitanti) collegato alla terraferma
con due ponti, nella parte alta della penisola di Kotori. (Intervista a Seloua
Skara del 20 novembre 2013 in Facebook).
7. Dopo il Giorno del Ricordo, c’è voglia di
capire
Con l’istituzione del Giorno
del Ricordo, Legge n. 92 del 30 marzo 2004, è cambiato qualcosa nel mondo
degli esuli. Tale approvazione nelle scuole italiane, come ricorda Chiara
Vigini “ha dato il via a un fermento di attività per conoscere le vicende che
ne sono all’origine, con lezioni, conferenze, raccolta di testimonianze – nella
provincia di Trieste non è bastata ad influire significativamente sulla loro
divulgazione, e nella città giuliana e nel suo circondario, la didattica del
confine orientale continua ad essere segnata più che in qualsiasi altro luogo
da un’eredità pesante che ne costituisce la premessa e l’ineludibile
condizione” (Vigini 2010, pp. 151-154).
Come ha affermato la signora Rosalba Meneghini Capoluongo,
figlia di Maria Millia, esule di Rovigno, c’è la voglia di capire, rispetto a
chi opponeva un riservato silenzio. “No se ga de contar robe brutte ai pici” –
così mi ha detto più di una intervistata dell’Istria, di Fiume o di Zara, come
Elvira Dudech, ma poi è cambiato il clima generale e gli esuli raccontano le
loro esperienze anche in pubblico.
Succede, forse per superare un certo senso di colpa, che pure
le anziane donne croate, parlino pur con circospezione con qualche esule
italiano cacciato negli anni ’50 e che ritorna in Istria a cercare notizie del proprio
parente scomparso. Mi riferisco al caso di Francesco Tromba, da Rovigno. “Il 16
settembre 1943 mio padre Giuseppe Tromba, del 1899, fu prelevato a Rovigno dai
partigiani titini – ha detto Francesco Tromba – due di guardia stavano in
strada e altri cinque sono entrati in casa… e solo nel 2007 ho saputo da donne
del posto dove era la foiba di Vines, perché lì fu buttato; uno dei partigiani
responsabili era il tale Abbà, oggi io sono esule a Bibione, in provincia di
Venezia”.
Esisteva per così dire una pseudo macabra cultura della
foiba, nel senso che i partigiani titini scherzavano tra loro sul tema. È
quanto è emerso dalla seguente testimonianza da Pola: “Nel 1943 mio padre aderì
al movimento partigiano – ha detto Vittorio Re – dato che i titini gli avevano
dato una lettera per presentarsi all’interno dell’Istria, poi scoprì che
avrebbe dovuto essere utilizzato in prima linea, rischiando di essere ucciso”.
Era, forse, una forma di pulizia etnica, per così dire di tipo preventivo?
“Credo di sì – ha aggiunto il signor Re – poi si scherniva con gli stessi
commilitoni croati, con i quali restò comunque in contatto”. In che senso? “I
titini, facendo in modo che lui sentisse, si dicevano che, mandandolo in prima
linea contro i tedeschi: “Cussì no ocore che lo femo fora noi!” Alla fine siamo
venuti via nel 1949. Siamo passati per Udine, per finire al Campo Profughi di
Catania per circa cinque mesi”.
Notizie interessanti giungono dal signor Siro Gattesco, che
visse a Pola dal 1938 al 1946, giorno della fuga col Toscana. “Mio papà Alfonso
aveva un caffè a Pola, in Largo Oberdan, rilevato da Gasparini nel 1938 – ha
detto – c’erano gli inglesi e mio papà fu preso dai titini e portato in
campagna in una casupola con altre quindici persone, tutti italiani. Lui conosceva
una guardia titina e gli promise dei soldi per farlo scappare, così si salvò.
Del resto del gruppo che era con lui non si è saputo più nulla, perché saranno
finiti in una foiba. Nel 1946 i camion degli inglesi con la truppa andavano a
tirar fuori le salme dalle foibe e partivano da Largo Oberdan, dove c’era il
bar della mia famiglia”.
Talvolta gli intervistati vanno oltre, riferendo di
manifestazioni di italianità nell’Istria del 1947. Il signor Roberto Stanzione,
da Pola si è proclamato “orgoglioso di essere italiano e di aver partecipato
con la squadra Itala Pestel di Pola all’attività anticomunista nel 1947”. Con
atteggiamento equanime ha aggiunto: “Ne abbiamo date e ne abbiamo prese, ma non
ci siamo imboscati quando bisognava tenere alto l’orgoglio nazionale (…). Noi
della società Itala Pestel abbiamo rischiato e siamo stati inseriti nelle
famose liste di eliminazione dell’UAIS del tempo [UAIS = Unione Antifascista
Italo Slovena]. Sono stato allontanato da Pola il 27 gennaio 1947, perché incluso
in una lista di eliminazione e consegnato dalla allora Civil Police alla
Polizia ferroviaria italiana al Ponte di Pieris [in provincia di Gorizia]”. Poi
passò al Campo Profughi di Roma, lavorò all’estero e, mi sembra di ricordare,
vive a Lecco.
Risulta “disperso” il 29 gennaio 1945 Enea Urbino, milite
italiano nato a Visinada (provincia di Pola, Istria) il 7 agosto 1927. Era
figlio di Francesco Urbino e di Antonia “Nina” Roppa. La gente del paese disse
che fu “gettato in foiba” dai titini, come ricordano i familiari. Costoro
fuggono da Visinada alla fine della seconda guerra mondiale, lasciando laggiù
le loro case e tutti i loro beni “per evitare di essere uccisi o gettati nelle
foibe”. Così continua quest’altra testimonianza della famiglia Dal Dosso: “I
miei nonni materni, Francesco Urbino, Antonia Nina Roppa e la mia mamma, Bruna
Urbino scapparono a Trieste. Mio zio Enea Urbino, fratello di mia mamma era
scomparso”. Dove vennero accolti? Passarono per i Campi Profughi? “Prima
passarono per il Silos di Trieste – risponde Patrizia Dal Dosso –, quello
vicino alla stazione, dove vennero registrati come esuli. In seguito furono
ospitati da una famiglia di amici, mentre la sorella di mia mamma, con la
famiglia e i figli, venne mandata nel Campo Profughi di Latina, vicino a Roma”.
Altri italiani furono eliminati nelle foibe o con altri
sistemi dopo la fine del conflitto. E’ il caso del dottor Giovanni Gorlato,
nato nel 1900, notaio di Dignano d’Istria, prelevato di forza da un gruppo di
quattro partigiani titini da casa sua la sera del 4 maggio 1945, così come
successo con altre persone in vista del paese, il farmacista, il maestro, tutti
italiani. Venne fatto salire su un camion e portato al castello di Pisino. “Mia
zia, l’unica presente al momento in casa, intervenne per difendere il fratello
e chiedere spiegazioni ai partigiani titini – ha detto il figlio Giorgio
Gorlato – ma per tutta risposta, da parte di uno di costoro, fu colpita al capo
col calcio del fucile e rimase tramortita sul marciapiedi davanti a casa. Mia
madre, con grande coraggio si recò successivamente al comando dell’OZNA
(la polizia politica di Tito) di Fiume
per sapere qualcosa di suo marito. Fu trattata in malo modo e non ottenne
alcuna informazione. Da allora non si seppe più nulla di mio padre”. I paesani
dissero che fu ucciso e gettato nella foiba. Dalla testimonianza della sorella
del signor Gorlato emerge ancora il tema del silenzio degli esuli. “Dato il
dolore che portavo e porto sempre nel
cuore, per me l’Istria è stata nel limbo fino al 2009 quando con altri
dignanesi esuli in Friuli, sono riuscita finalmente ad affrontare un viaggio
nel mio paese natio per riconciliarmi – ha detto Daria Gorlato -. Questo perché
mio padre Giovanni, che era notaio a Dignano, fu portato via, senza alcuna
spiegazione, dai partigiani titini giunti con due camion e nulla fu detto alla
mia famiglia. Mia madre, rimasta sola con due bambini piccoli, ha per lungo
tempo sperato che tornasse, ma evidentemente mio padre fu fatto scomparire non
si sa come e dove, alla stregua di tanti altri poveri italiani innocenti”.
Qualche discendente di esuli è nato nel Campo Profughi. È accaduto
così a Mario Canciani, nato e cresciuto a San Canzian d’Isonzo (GO), nel locale
Campo Profughi. “Prima era tutto di baracche – racconta – poi dal 1958 erano
casette, saremo stati un centinaio di famiglie, infine la mia famiglia andò ad
abitare a Roiano, quartiere di Trieste. Noi venivamo da Dignano d’Istria, mio
nonno faceva Belci di cognome”.
L’importanza del CSP di Udine è stata riaffermata da recenti
studi di Raoul Pupo, dopo il ritrovamento dell’Archivio per l’Ufficio per le
Zone di Confine (UZC) del 2008, presso il Centro polifunzionale di Castelnuovo
di Porto, provincia di Roma. Dai 676 cartolari emerge che le erogazioni
governative per le zone di confine dal 1946 al 1950 ammontano a 3.804 milioni
di lire, come risulta dalla tabella n. 1, che vede Udine in terza posizione
(con 249 milioni di lire) dopo le spese per Trieste (con 2.310 milioni di lire;
qui sono stati operativi ben 18 campi profughi, perciò si prese il 60 per cento
dei finanziamenti) e Pola con 885 milioni di lire (23,3% dei fondi). Nella ricerca
di Pupo si capisce che il CSP di Udine riceveva profughi di zone come Canale
d’Isonzo, Tolmino, Caporetto, dal CRP di Gorizia, che fu istituito l’8 dicembre
1946, nei locali dell’Ufficio Provinciale dell’Assistenza Postbellica (Pupo
2010, pp. 57-63).
Al CSP di Udine, tuttavia, passarono molti istriani, come
Lidia Illusigh (1927–2006)
e i suoi parenti, esuli da Pola col piroscafo Toscana, come ha riferito Sergio D’Ecclesiis, oppure come Maria
Chialich, di Dignano d’Istria, cacciata via dai titini con la sorella Caterina
Chialich vedova Laghigna nel 1957. La famiglia Chialich ebbe sette familiari
infoibati, come ha raccontato la professoressa Anna Maria L. istriana, mentre
la sua zia Maria Chialich mantenne un doloroso silenzio sino alla morte.
Tabella n. 1 – Spese per gli Uffici Provinciali
dell’Assistenza Postbellica, 1946-1950
Province Milioni di Lire Percentuale
————————————————–
Pola 885 23,3
Trieste 2.310 60,7
Udine 249 6,5
Gorizia 211 5,5
Bolzano 124 3,3
Trento 25 0,7
——– ——
Totale 3.804 100
————————————————-
Fonte: Nostra rielaborazione su dati dell’Ufficio per le Zone
di Confine, Centro polifunzionale di Castelnuovo di Porto (Roma), citato da
Rauol Pupo, L’Ufficio per le zone di
confine e la Venezia Giulia: filoni di ricerca, “Qualestoria”, 2010.
8. Il Villaggio Giuliano a San Giorgio di
Nogaro
Ecco l’elenco dei primi abitanti del Villaggio Giuliano a San
Giorgio di Nogaro, vicino alla frazione di Villanova, 1950 (Archivio del Comune
di San Giorgio di Nogaro, provincia di Udine). In parentesi riquadrata i cognomi
corretti, secondo la fonte, il signor Gianfranco Volpi, che si ringrazia per la
cortese collaborazione. Il Villaggio Giuliano è composto da otto semplici
costruzioni, che possono alloggiare quattro famiglie ciascuna, per un totale di
32 assegnatari. Ogni appartamento è un bicamere, con atrio, cucina, soggiorno e
un bagno. I progetti sono datati 30 luglio 1949. Gli edifici sono stati
finanziati dall’ente internazionale U.N.R.R.A. – C.A.S.A.S. che esige un canone
mensile di 1.625 lire oltre il 3% di IGE, dal 1° agosto 1950. Archivio del
Comune di San Giorgio di Nogaro. I dati seguenti sono stati tratti da:
Gianfranco Volpi, S. Giorgio di Nogaro.
Volti da Villaggio 1950-2010, DVD, 2011, che ringrazio sentitamente per
avermi contattato.
“Villaggio
Giuliano (fraz. Nogaro) Case Fanfani
1. Colovic Antonio [Carlovich]. 2. Benci Giuseppe fu Giovanni. 3. Carbona Pietro [Carbone]. 4. Zanello Luigi. 5. Cecconi Gerolamo. 6.
Lokar Giovanni. 7. Volpi Virginio. 8. Rentini Silvio [Pontini]. 9. Cettino
Giovanni [Cettina]. 10. Bussani Giovanni. 11. Bailo Romano. 12. Barbieri Nicolò.
13. Perone [Perrone]. 14. Cerdonis Pietro [Cerdonio]. 15. Brezar Giuseppe. 16.
Gallo Ettore
Lo scrivente, dal 1995, inizia a raccogliere una vasta messe
di notizie sulla famiglia Conighi, costruttori di Fiume, finiti esuli dal 1946
a Ferrara, Roma, Trento e Udine, dove l’architetto Carlo Leopoldo Conighi fu
tra i primi dirigenti del locale Comitato Provinciale dell’Associazione
Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD).
Dal 18 al 22 settembre 1996, due allieve della sezione
turistica dell’Istituto “B. Stringher” di Udine, guidate dalla professoressa
Nadia Tacus, hanno partecipato, in veste di “ciceroni” ad un viaggio in
Dalmazia, con una comitiva di esuli e con l’ingegnere Silvio Cattalini,
presidente del Comitato di Udine dell’ANVGD, dal 1972 al 2017.
La stessa scuola nel 2005, mediante gli studenti effettua
alcune interviste ai discendenti di monsignore Giulio Vidulich (Lussinpiccolo
1927 – Percoto 2003), a cura della professoressa Elisabetta Marioni.
Sulla vicenda del CSP di Udine, sull’esodo e le foibe lo
scrivente dal 2008 ha svolto ogni anno, nel Giorno
del Ricordo, in collaborazione con i docenti del Laboratorio di Storia, un’attività
di comunicazione e informazione alle classi quinte, assieme ai propri allievi
dell’Istituto Statale d’Istruzione Superiore “B. Stringher” di Udine, in altre
scuole e in regione, in collaborazione con l’ANVGD.
Il giorno 3 dicembre 2011 si è svolta un conferenza nella
classe 5^ C turistica dello Stringher di Rosalba Meneghini, figlia di una
profuga istriana di Rovigno. Nel 2012 tra le interviste raccolte dagli
studenti, spiccano quelle a Nerea Mazzoli, di Trieste, sul Territorio Libero di
Trieste, a cura della pronipote Desireé Mariotti. Poi sono stati raccolti i
ricordi di Lidia Illusigh, esule da Pola, a cura del nipote Massimiliano Rosso,
di Martignacco.
Sui luoghi dell’esodo istriano dalmata a Udine lo scrivente
assieme ai propri allievi dell’ISIS Stringher, per incentivare il turismo della
memoria, nell’anno scolastico 2011-2012 ha iniziato ad allestire un Itinerario giuliano a Udine. Esodo istriano,
un brano sconosciuto di storia locale. Il DVD con tale percorso è stato illustrato
il 9 febbraio 2013 alle classi quinte della scuola, con la partecipazione di
Furio Honsell, sindaco di Udine, di Anna Maria Zilli, Dirigente scolastico
dello Stringher e dell’ingegner Silvio Cattalini, presidente del Comitato
Provinciale di Udine dell’ANVGD. Il giorno dopo l’Itinerario giuliano è stato presentato alla cittadinanza udinese
all’Auditorium Zanon, nella manifestazione ufficiale del Giorno del Ricordo, oltre che nel Comune di Povoletto (UD) e a
Trieste in un corso di aggiornamento per insegnanti dell’Ufficio Scolastico
Regionale. All’Isis “B Stringher” dal 2011 viene organizzata pure una Mostra
documentaria sul Giorno del Ricordo,
sui testi di Guido Rumici per l’ANVGD.
Anche il giorno 8 febbraio 2014 allo Stringher si è operato
per il Giorno del Ricordo, sempre col
sindaco Furio Honsell, Silvio Cattalini e Renata Capria D’Aronco, presidente
del Club UNESCO di Udine e la mostra documentaria con alcuni pannelli prodotti
dalla stessa comunità scolastica. Nel frattempo in letteratura si sono notate
alcune originali riflessioni sulla ricezione del Giorno del Ricordo da parte della cittadinanza e dal mondo degli
esuli giuliano dalmati (Ivetic 2014, p. 261).
Analoghe iniziative si sono tenute in altre scuole della
regione. Nel 2015 è intervenuto allo Stringher il professor Pietro Fontanini,
presidente della Provincia, con molte altre autorità istituzionali. Nel 2017 è
di nuovo il sindaco Honsell a partecipare nell’istituto per il Giorno del Ricordo. con ragazzi e
insegnanti dello Stringher. Nel 2018 e 2019 Pietro Fontanini ha parlato in
veste di sindaco nella stessa scuola, con altre autorità del territorio, poi c’era
Bruna Zuccolin, la nuova presidente ANVGD di Udine e, naturalmente, la preside
Anna Maria Zilli.
10. Ringraziamenti
Il saggio presente si avvale, oltre alla tradizionale
letteratura sul campo e nel web, anche di una serie di ricerche scolastiche,
legate ad alcune lezioni di storia e di economia turistica del Novecento. La
prima stesura è del 2014-2016, poi ci sono degli aggiornamenti fino al 2019.
Per la collaborazione prestata, ringrazio, oltre gli
intervistati, i professori Daniela Conighi, Carla Maffeo, Giancarlo Martina,
Elisabetta Marioni, Alessandro Pirani, Maria Pacelli, Monica Secco, Antonio
Toffoletti e Anna Maria Zilli, Dirigente scolastico dell’Istituto Statale
d’Istruzione Superiore “B. Stringher” di Udine. Progetto Il Secolo breve in Friuli Venezia Giulia (2015), sostenuto dalla
Fondazione CRUP.
Fonti orali
Si ringraziano e si
ricordano con piacere le persone intervistate per la collaborazione prestata e
per i materiali messi a disposizione della ricerca. Le testimonianze sono state raccolte a
Udine da E. Varutti con penna, taccuino e macchina fotografica, se non altrimenti
indicato.
Nino Almacolle, 1940,
Udine, intervista (d’ora in poi: int.) del 12 gennaio 2012.
Maria Anderloni in Da
Vico (Udine, 1925 – 2011), int. del 24 dicembre 2005.
Anna Maria L.
istriana, 1963, Tolmezzo (UD), int. del 15 dicembre 2010.
Laura B. M., 1943,
Pola, vive a Trieste e a Latina, corrispondenza e-mail del 12 giugno 2011.
Giuseppe Bugatto Junior
(Zara 1924 – Udine 2014), int. del giorno 11 febbraio 2004.
Rita Bugatto in
Marsich, 1928, Zara, int. del giorno 11 febbraio 2004, in presenza di Giuseppe
Marsich, 1928, italiano all’estero, Veglia, Regno dei Serbi, dei Croati e degli
Sloveni. Il fratello di quest’ultimo, Livio Marsich, (Veglia 1932 – Udine
2011), dopo il funerale svoltosi a Udine nella chiesa di S. Rocco gremitissima
di parrocchiani ed esuli, volle che le sue ceneri riposassero a Veglia, oggi in
Croazia.
Francesco Buliani,
1928, Pontebba (UD), int. del 29 dicembre 2010.
Mario Canciani, 1954,
San Canzian d’Isonzo (GO), int. del 10 febbraio 2013.
Silvio Cattalini
(Zara1927-Udine 2017), int. del 22 gennaio 2004 e del 10 febbraio 2014.
Leonardo Cesaratto
(Bucarest 1926 – Udine 2011), impiegato del Centro Smistamento Profughi di
Udine, int. del 26 gennaio e del giorno 11 febbraio 2004.
Maria Chialich vedova
Pustetto, Dignano d’Istria (Pola 1919 – Udine 2010), int. del 27 gennaio 2004.
Patrizia Dal Dosso,
1959, Firenze, ora risiede a Mariano del Friuli (GO), int. di Sara Cumin del 16
febbraio 2013.
Giacomo Da Vico
(Colloredo di Montalbano 1925-Udine 2016), int. del 13 agosto 2011.
Sergio D’Ecclesiis,
Pasian di Prato (UD), int. del 17 dicembre 2011 a cura di Massimiliano Rosso
con la guida della professoressa Maria Pacelli, Martignacco (UD).
Bruno De Faccio, 1933,
Udine, int. a cura della professoressa Elisabetta Marioni del 12 ottobre 2011.
Licia Degrassi, 1931,
Isola d’Istria, int. del 12.02.2011.
Slavica Delbianco,
1948, Zielona Gòra (Jugoslavia), int. telefonica del 30 ottobre 2013.
Cristina Dilena in
Benolich (Gorizia 1949 – Udine 2004), int. del 23 e 27 dicembre 2003, assieme
alla suocera Albina Alma Visintin vedova Benolich, 1936, San Giovanni di
Portole.
Elvira Dudech (Zara
1930 – Udine 2008), int. del 28 gennaio 2004 e 15 dicembre 2007.
Dora Faresi Pizzo
(Lussinpiccolo 1926 – Udine 2017), int. del 13 febbraio 2007.
Siro Bruno Gattesco,
1930, Mortegliano (UD), vissuto a Pola nel periodo 1938–1946, int. del 12 febbraio
2011.
Franco Grazzina, 1943,
Fiume, vive a Gorizia; telefonata del 19 febbraio 2013.
Daria Gorlato, 1943,
Dignano d’Istria, int. del 15 dicembre 2013.
Giorgio Gorlato, 1939,
Dignano d’Istria, int. del giorno 1° giugno 2013.
Anna Maria L.
istriana, Tolmezzo (UD) 1963, int. del 15 dicembre 2010.
Maria Millia, vedova
Meneghini (Rovigno 1920 – Udine 2009) int. del giorno 11 maggio 2004 e 10
febbraio 2008.
Rosalba Meneghini in
Capoluongo, 1951, Udine, int. del 3 dicembre 2011.
Pietro Palazziol, 1945,
Valle d’Istria, provincia di Pola, int. del 18 marzo 2008.
Roberto Paolini (Zara
1938 – Udine 2011), int. del 14 febbraio 2011.
Bruno Perissutti,
1936, Zara, int. del 7 febbraio 2008.
Vittorio Re, 1946,
Pola, int. a Palmanova (UD) del 23 giugno 2011.
Seloua Skara, oriunda
di Zara, int. del 20 novembre 2013 in Facebook.
Giuliana Sgobino, 1940,
Ancona, vissuta a Udine, int. a cura della professoressa Elisabetta Marioni del
10 febbraio 2013.
Roberto Stanzione,
Pola, messaggio in un blog di wikio del 30 maggio 2009.
Dario Stritof, 1950,
Pola, vive a Cavriglia (AR), messaggi in Facebook del 19 febbraio 2011 e del 10
febbraio 2014.
Egle (Fiume, 1931) ed
Odette Tomissich (Fiume, 1932), int. del 3 febbraio 2011.
Renata Trigari, (Zara
1945 – Udine 2009), int. del 1 dicembre 2007.
Francesco Tromba,
1934, Rovigno, int. del 25 ottobre 2013 a Bibione (VE) e 30 ottobre 2018.
Ivana Varutti, San
Vito di Fagagna (UD), 1946, int. del 6 settembre 2011.
Olivia Vesnaver, 1955,
Portole, Jugoslavia, messaggi in Facebook del 27 gennaio 2013.
Albina Alma Visintin
vedova Benolich, 1936, San Giovanni di Portole, int. del 23 e 27 dicembre 2003.
Vittorio Zannier,
1951, Udine, int. del 22 febbraio 2008.
Fulvia Zoratto, 1950,
Udine, int. del 20 gennaio 2012.
Archivi consultati, documenti originali e collezioni private
Archivio del Comune di
San Giorgio di Nogaro, provincia di Udine, consultato da Gianfranco Volpi.
Archivio del Comune di
Udine, progetti del Villaggio Giuliano di Via Casarsa.
Archivio della Curia
Udinese (ACAU), f. Pontificia / Commissione / Colonie, c. 1. Ringrazio don
Maurizio Volpe, responsabile dell’ACAU, per la cortese collaborazione.
Archivio Osoppo della
Resistenza in Friuli (AORF), cartella T 1, f 7, c 12.
Archivio di Stato di
Udine (ASUd), Prefettura di Udine, Appendice, b 125.
Pietro Damiani
Calvino, Relazione sull’attività del
Campo N. 4 AMG-DP Centre Udine, 1 febbraio 1946, Archivio Osoppo della Resistenza
in Friuli (AORF).
Collezione famiglia
Conighi esule da Fiume, Udine, manoscritti.
Collezione famiglia
Skara esule da Nona, presso Zara, dattiloscritti.
Dori Maraggi, Borgo S. Lazzaro, Udine, 1986, p. 13,
dattiloscritto.
Gianfranco Volpi, S. Giorgio di Nogaro. Volti da Villaggio
1950-2010, DVD, 2011.
Note bibliografiche
Si ringraziano le
direzioni e gli operatori dei musei, degli archivi e delle biblioteche visitate
per lo studio presente.
W. Benjamin, Gesammelte Schriften, Frankfurt am Main,
Suhrkamp Verlag, 1972-1989 (traduzione italiana: Opere complete, II. Scritti 1923-1927, Torino, Einaudi, 2001).
Silvio Bini, “Campo
delle Valderie un ‘lager’ dimenticato”, «Il Gazzettino», edizione del Friuli, 1
giugno 2014, p. XII.
Roberto De Bernardis, “Quel
triste addio alle colline dell’Istria”, «L’Adige» 18 febbraio 2008.
Egidio Ivetic, Un confine nel Mediterraneo. L’Adriatico
orientale tra Italia e Slavia (1300-1900), Roma, Viella, 2014.
Alessandra Kersevan, Lager italiani. Pulizia etnica e campi di
concentramento fascisti per civili iugoslavi 1941-1943, Roma, Nutrimenti,
2008.
Remo Leonarduzzi, “La
ex-Gil di via Pradamano”, «Baldasseria 78», Udine, 1978, pp. 6-7.
Erminio Polo, Maledetta guerra, Lavariano di
Mortegliano (UD), Associazione Culturale La Torre, 2004.
Rauol Pupo, L’Ufficio
per le zone di confine e la Venezia Giulia: filoni di ricerca, “Qualestoria”,
XXXVIII, 2, dicembre 2010.
«Rivista Diocesana
Udinese», settembre – ottobre, 1946, p. 105.
Flaminio Rocchi, L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e
dalmati, Roma, Associazione Nazionale Difesa Adriatica, 2002.
Guido Rumici, “Il
lungo dopoguerra nella Venezia Giulia. L’esodo della popolazione giuliana”, in
Carmen Palazzolo Debianchi (a cura di), Esodo…,
La vicenda, le radici storiche, i tragici eventi, le conseguenze, Atti del
seminario, Trieste, Associazione delle Comunità Istriane, 2007.
Guido Rumici, Catalogo della mostra fotografica sul Giorno
del Ricordo, Roma, ANVGD, 2009.
«Il Strolic furlan pal
1960», Udine, Società Filologica Friulana.
F. Tromba, Pola Cara, Istria terra nostra. Storia di
uno di noi Esuli istriani (prima edizione: Gorizia, Associazione Nazionale
Venezia Giulia Dalmazia, 2000), Trieste, Libero Comune di Pola in Esilio, 2013.
Elio Varutti, Il Campo Profughi di Via Pradamano e
l’Associazionismo giuliano dalmata a Udine. Ricerca storico sociologica tra la
gente del quartiere e degli adriatici dell’esodo, 1945-2007, Udine,
Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Comitato Provinciale di
Udine, 2007.
E. Varutti, “Cara
maestra, le scrivo dal Campo Profughi. Bambini di Zara e dell’Istria scolari a
Udine, 1948-1963”, «Sot la Nape», 4, 2008, pp. 73-86.
Chiara Vigini, “La
didattica del confine orientale al confine orientale”, «Annali della Pubblica
Istruzione», 133, 2010.
Mario Visintin, “Accoglienza”,
«Baldasseria Festa Insieme 1996», Udine, 1996, pp. 30-31.
Fotografia di copertina: Profughi istriani che hanno sostato a Udine prima di trasferirsi in uno stato estero, probabilmente in America del Sud. La foto, del 1955, di proprietà della signora Giovanna Gandolfo Taverna (la persona al centro con giacca chiara che tiene un bambino in braccio) è stata fatta in occasione del battesimo dei due bambini, uno in braccio alla Giovanna Gandolfo, l’altro in braccio alla madre di Giovanna, nel locale di culto della Chiesa Evangelica Metodista, all’epoca in via Romeo Battistigh. Il pastore Agostino Piccirillo che ha celebrato il battesimo, dovrebbe aver lasciato traccia nei registri della Chiesa Metodista di Udine. Collezione Paolo Grillo, Udine