Elisabetta Reich, ebrea di Fiume, sopravvissuta ad Auschwitz

Salvare la memoria è lo scopo del presente articolo. Mi riferisce Riccardo Simoni, già geriatria all’Ospedale de “I Fraticini” di Firenze, una vicenda incredibile. Mentre è di turno, verso gli anni ’70, gli capita una paziente anziana ed elegante. Durante la visita medica, scoprendole il polso, con grande impressione gli capita di scorgere sull’avambraccio un numero tatuato 76.845, come per chi è stato rinchiuso in un lager nazista. Il dottor Simoni è specializzato anche in psichiatria, perciò con tutte le arti apprese e con la delicatezza del caso, cerca di parlare con la signora riguardo alla Shoah. “Scopro così che il suo nome è Elisabetta Reich, sposata Szegö – dice Simoni – nata a Fiume nel 1902 e, dopo il 1943, fuggita a Firenze in clandestinità e rifugiatasi in un convento”.

Abbazia, verso il 1920. Sposi. Firmata a mano, in basso a destra: “Jellusich- Mayer, Abbazia”. Coll. Bora

Poi, si dice, che l’avidità del cuoco del convento delle monache ebbe il sopravvento. Egli fa la spia. I delatori ricevono dal governo fascista la somma di 10 mila lire per ogni ebreo catturato, 5 mila lire per ogni femmina ebrea segnalata e 2 mila lire per ogni bambino fatto arrestare. Elisabetta Reich viene fermata il 15 marzo 1944 assieme al padre Alessandro Reich, in base alle Leggi razziali fasciste e alla RSI succube di Hitler. “Poi la signora Reich è imprigionata al campo di transito di Fossoli di Carpi (MO) – aggiunge Simoni – infine, il 5 aprile 1944, è deportata al lager di Auschwitz e si ricordava che all’arrivo alla stazione un bel capitano tedesco si rivolge al gruppo di deportati dicendo che chi fosse stanco e anziano poteva salire sul camion, mentre gli altri avrebbero proseguito a piedi, poi scoprì che il capitano così gentile era tale Josef Mengele, criminale nazista, detto l’angelo di Birkenau e quelli saliti sul camion non si sono più visti, perché li avevano tutti ammazzati all’arrivo”.

Come fa a salvarsi la signora Elisabetta Reich?

“Si salva è vero perché era piena di vita – risponde Simoni – anche dopo la marcia forzata da Auschwitz a Ravensbruck, dato che i sovietici erano in avvicinamento i nazisti spostarono i prigionieri in un altro lager nell’interno. Si salvò e visse per qualche tempo in Svizzera, dove scrisse un memoriale, in tedesco, di oltre 100 pagine sulle sue tribolazioni nel lager, quel manoscritto è rimasto in famiglia, così mi spiegò la figlia Adriana Szegö a Firenze”.

Chi è vissuto sotto l’Austria-Ungheria, o più in generale nei Balcani tra Ottocento e Novecento ‘il tedesco se lo porta in testa’, come ha scritto Elias Canetti. Ci sono altri ricordi della signora di Fiume?

“La signora Reich – conclude Simoni – mi raccontava che negli anni ’20 ad Abbazia, presso Fiume, credo nel sanatorio Szegö, c’era un’intensa vita culturale, tanto che facevano i sabati letterari con Edoardo Weiss, Sándor Ferenczi ed altri allievi di Sigmund Freud. Erano tempi così”.

1890 ca, fotografia “E. Jelussich – Abbazia”. Coll. Bora

Altri cenni biografici di Elisabetta Reich

Come già accennato, Elisabetta Reich nasce a Fiume il 30 settembre 1902 da Alessandro e Dora Weiss, secondo le ricerche di Liliana Picciotto. Fuggita clandestina a Firenze con la famiglia, nel 1943, subisce le persecuzioni nazifasciste. Coniugata con Paolo Szegoe, è arrestata a Firenze e reclusa al Campo di raccolta di Fossoli di Carpi (MO), per essere deportata il 5 aprile 1944 al Campo di sterminio di Auschwitz col convoglio n. 9. La data di arrivo del convoglio ad Auschwitz è il 10 aprile successivo. È marchiata col numero di matricola: 76845. Sopravvive alla Shoah, ma non il marito e nemmeno il padre, come conclude la Picciotto.

Come ha scritto Federico Falk la famiglia Reich a Fiume abita in via del Pomerio 9, nella stessa strada dove, nel 1902, viene costruita dall’impresa Conighi l’elegante sinagoga in stile moresco, devastata dai nazisti nel 1944. I ruderi del luogo di culto sono poi livellati sotto Tito. Il capofamiglia è Alessandro Reich, fu Bernardo e fu Rosalia Deutsch, nato a Bonyhád (Ungheria) il 9 luglio 1868. È commerciante in chincaglierie, giocattoli ed altro con bel negozio in Corso Vittorio Emanuele III. Vive a Fiume dal 1898. Riceve la cittadinanza italiana per concessione del 21 agosto 1930. Alessandro Reich è coniugato con Dora Weiss, fu Giuseppe e fu Rosa Echfeld, nata  l’11 novembre 1878 a Novi Sad (all’epoca Ungheria, poi negli anni Venti: Jugoslavia). Dora, casalinga, coadiuva il marito nella frequentata azienda commerciale fiumana. I coniugi Alessandro e Dora Reich hanno due figli: Elisabetta, nata a Fiume nel 1902, casalinga, coniugata con Paolo Szegö, residente a Firenze e Federico, nato a Fiume, commerciante, emigrato negli USA. Paolo Szegö è deportato a Theresienstadt, o Terezín (oggi in Repubblica Ceca).

I coniugi Paolo ed Elisabetta Szegö avevano due figlie: Melitta Tatiana, nata a Fiume nel 1922, residente a Napoli, e Adriana, nata a Fiume il 21 settembre 1925, deceduta a Firenze il 15 dicembre 2004. Dopo l’occupazione nazista di Fiume del 1943 Alessandro Reich e la moglie si rifugiano a Firenze, dove egli venne arrestato assieme alla figlia. Detenuti a Fossoli, vengono deportati da Fossoli il 5 aprile 1944 ad Auschwitz, dove Alessandro Reich venne ucciso all’arrivo il 10 aprile 1944, mentre la figlia viene liberata e ritorna a Firenze, dove muore il 19 maggio 1982. Dora Weiss si salva nella clandestinità e, dopo la guerra, raggiunge il figlio negli USA dove in seguito muore, come conclude Federico Falk nel suo saggio on line. Auschwitz è un insieme di campi di concentramento e di lavoro nazisti situato nelle vicinanze della cittadina polacca di Oświęcim.

Quante vittime ha fatto la Shoah a Fiume ed Abbazia? I dati degli storici non sempre coincidono, ma siamo sull’ordine di 275-300 ebrei fiumani imprigionati e deportati nei campi di sterminio. Secondo Curci, gli ebrei residenti nel 1940, in base ai dati della prefettura, erano 1.105. Quelli rastrellati e deportati ammontano a 243 persone, delle quali solo 19 sopravvissero (Curci, p. 120). Si aggiunga che il monumento inaugurato a Fiume, nel Cimitero di Cosala, il 17 giugno 1981, è dedicato ai 275 deportati già appartenenti alla Comunità ebraica della città del Golfo del Quarnaro. Nel cimitero di Cosala a Fiume, ancor oggi, fanno la loro storica presenza le tombe delle famiglie Reich, Weiss e Szegö.

Gruss aus Abbazia. Cartolina di Abbazia con l’Hotel Quarnero; primi del ‘900

Il Sanatorio Szegoe di Abbazia

La famiglia Szegö è legata al “Kurhaus”, clinica del dottor Kalman Szegoe di Abbazia, oggi Opatija, in Croazia. Era detto anche Sanatorio Szegoe; era specializzato nella cura di pazienti di malattie polmonari. Su raffinato progetto dell’architetto Max Fabiani, il sanatorio viene edificato a fine Ottocento dall’azienda che aveva la seguente intestazione: “Carlo ing. Conighi, Impresa di costruzioni, Fiume – Abbazia”. Come si legge su «La Vedetta d’Italia» del 26 febbraio 1933, l’articolista attribuisce ai Conighi varie costruzioni di Fiume ed Abbazia. Tra di esse ci sono “le più sfarzose ville della riviera degli anni Trenta”, come la villa Rosalia, la villa Adria, la villa Nettuno, le ville barone Ransonnett, Smith, Harey, Frappart, Portheim, Janet, Italia, oltre all’Hotel Bellevue e al Sanatorio Szegoe. La sinagoga di via Pomerio a Fiume, di “aspetto orientaleggiante”, opera del 1902, fu fatta saltare in aria nel 1944, in un attentato antisemita. Carlo Alessandro Conighi, triestino di nascita, è a Trieste nel 1878, componente della Commissione per strade, ponti e strade ferrate della Società d’Ingegneri ed Architetti in Trieste. Il sanatorio di Abbazia è citato nella Guida sanitaria italiana del 1924, a pag. 668.

Abbazia, fratelli e cugini; sullo sfondo l’Hotel Qvarner. Anni ’40. Coll. Bora

Il fotografo Edmund Jelusich di Abbazia

Jellusich Edmund, o Edmondo di Fiume, opera nell’Impero Austro-Ungarico. Quale fotografo di Fiume, è menzionato nelle raccolte fotografiche del Museo Marittimo e Storico del Litorale Croato di Fiume verso il 1890 (Museo Fiume; vedi in Bibliografia). Ha in Corso 23 lo stabilimento fotografico per la produzione di ritratti; è presente pure in Abbazia, documentato nel periodo 1900-1912 in base ad album di famiglia di Fiume e Roma (Coll. F. Conighi). Secondo certi autori inizia la sua carriera ad Abbazia nel 1886. È uno dei dodici fotografi attivi ad Abbazia nel 1914. Pare sia noto con altre varie grafie, come Edmond Jelusich, oppure Jelusic, o Jellusig (Smokvina). Nel 1914 ha una succursale presso il fotografo Andrioni, recando l’indicazione di “Andrioni & Co., succursale di E. Jellusich” sul verso delle fotografie in album di famiglie di Fiume scappate, col potere dei titini, dopo il 1945 verso Udine (Coll. H. Conighi). In certi ritratti fotografici, del 1928, appartenenti ad altri album familiari, dopo che Fiume è stata annessa al Regno d’Italia, comprare solo questa indicazione: “Andrioni & Co.” (Coll. Lupetich). C’è una sua firma manoscritta in una fotografia di una coppia di sposi, verso il 1920, “Jellusich- Mayer, Abbazia”; si veda la fotografia riportata più sopra (Coll. Bora).

Cambia volto Abbazia nel XIX secolo, luogo si soggiorno e cura della Mitteleuropa, dei nobili russi, nonché sito di incontri culturali sulla psicanalisi, inframmezzati da assaggi di fette di torta Dobos o di Buchtel col ripieno di marmellata alle albicocche. Non è più come la descrive qualche decennio prima, con estrema crudezza, Anton Čechov, nel racconto intitolato Arianna: “Siete stato ad Abbazia? È una cittadina slava, sporca, con una sola strada puzzolente, in cui dopo la pioggia è impossibile camminare senza soprascarpe. (…) Adesso, mentre coi pantaloni rimboccati attraversavo con precauzione quella strada angusta, e compravo svogliatamente delle pere acerbe da una vecchia (…) provavo vergogna e dispetto”.

Targa commemorativa al Campo di transito di Fossoli di Carpi (MO); foto Varutti, 2020

Fonte originale

Si è cercato di confrontare la testimonianza con i documenti e con gli studi in letteratura. Per la collaborazione riservata alla ricerca, oltre che a Mariateresa Bora, di mamma Abbaziana, che sta a Camogli (GE), si è riconoscenti a: Riccardo Simoni, Rovigno 1940, esule a San Casciano in Val di Pesa (FI), intervista telefonica a cura di Elio Varutti del 2 e del 5 aprile 2020. La redazione del blog ringrazia il signor Claudio Ausilio, esule da Fiume e socio dell’ANVGD di Arezzo, che ha cortesemente fornito i contatti per la ricerca presso il dottor Riccardo Simoni, andando a consolidare una tradizionale e continua collaborazione con l’ANVGD di Udine.

Collezioni familiari

Si precisa che il corredo fotografico dell’articolo presente non contiene immagini dei Reich- Szegoe, principali protagonisti della tragica vicenda, ma solo di contesto geografico, grazie ai pubblici archivi e alle collezioni familiari menzionate, che si ringraziano per la cortese concessione alla pubblicazione e citazione nel blog.

  • Mariateresa Bora, di Abbazia; immagini inedite.
  • Ferruccio Conighi, esule da Fiume a Roma, ora in Coll. privata, Udine.
  • Helga Conighi, esule da Fiume a Udine, ora in Coll. fam. Conighi, Udine.
  • Giovanni Lupetich, con avi di Fiume, esule a Belluno.
Abbazia, Strandpromenade, cartolina viaggiata 1° aprile 1913. Coll. Varutti

Bibliografia, sitologia ragionata e abbreviazioni

  1. Sui costruttori Conighi di Fiume si vedano i seguenti materiali.

Archiv des Vereines der Österreichischen Gesellschaft vom Goldenen Kreuze, Wien (Austria).

Atti della Società d’Ingegneri ed Architetti di Trieste, I, V, 1878.

“Carlo Conighi ingegnere e patriota festeggia oggi il suo ottantesimo compleanno”, «La Vedetta d’Italia», Fiume, 26 febbraio 1933, p. 2.

E. Varutti, Shoah a Udine sud. Campi di concentramento e dicerie, on line dal 24 gennaio 2020. https://eliovarutti.wordpress.com/2020/01/24/shoah-a-udine-sud-campi-di-concentramento-e-dicerie/

E. Varutti, Le Case Penso e Unione dei costruttori Conighi di Fiume, 1908, on line dal 28 febbraio 2020.

2. Riguardo al sanatorio Szegoe e agli ebrei di Fiume ed Abbazia perseguitati dai nazifascisti si sono utilizzati i sottoelencati prodotti.

Elias Canetti, Die gerettete Zunge. Geschichte einer Jugend, München, Hanser, 1977, traduzione ital. di A. Pandolfi e R. Colorni, La lingua salvata. Storia di una giovinezza, Milano, Adelphi, 1980, XI ediz.: 2005, pag. 22.

Roberto Curci, Via San Nicolò. Traditori e traditi nella Trieste nazista, Bologna, Il Mulino, 2015.

Federico  Falk (a cura di), Le comunità israelitiche di Fiume e Abbazia tra le due guerre mondiali. Gli ebrei residenti nella provincia del Carnaro negli anni 1915 – 1945, nel web dal 26 febbraio 2016.    https://www.bh.org.il/jewish-spotlight/fiume/?page_id=499

Guida sanitaria italiana (Annuario sanitario d’Italia), XVI, N.S., n. 3, Milano, Unitas, 1924.

Liliana Picciotto, Il libro della memoria: gli ebrei deportati dall’Italia, 1943-1945, ricerca della Fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea, Milano, Mursia, 2002, pp. 77-80, pp. 66-71. Dal seguente sito web.

http://digital-library.cdec.it/cdec-web/persone/detail/person-7486/reich-elisabetta.html

3. Per la storia della fotografia di Fiume e Abbazia si sono consultati, oltre a varie collezioni familiari i seguenti testi.

Anton Čechov, I grandi racconti (ediz. origin.: Sankt-Petersburg, 1903), versione di Ercole Reggio e Marussia Shkirmantova, Milano, Garzanti, 1965.

Museo Fiume = Museo marittimo e storico del litorale croato, Fiume / Maritime and History Museum of the Croatian Littoral Rijeka. Curatrice della Sezione fotografica: Margita Cvijetinović Starac.    http://ppmhp.hr/en/zbirka-fotografija/

Smokvina = Milijienko Smokvina, Istria tra ottocento e novecento. Apporti alla conoscenza della storia della fotografia in Istria, Istrianet.org, Centro di Ricerca e Archiviazione della Fotografia (CRAF), Spilimbergo (PN), on-line dal 27 gennaio 2013.

http://www.istrianet.org/istria/visual_arts/archives/photographs/1800-1900_storia.htm

http://www.craf-fvg.it/ita/craf/cont_d.asp?Cont_ID=104

E. Varutti, Cartoline d’Istria, Fiume e Dalmazia 1900-1965, on line dal 20 agosto 2018.

Cartolina di Fiume viaggiata ai primi del ‘900

Servizio giornalistico, di ricerca e di Networking a cura di Girolamo Jacobson, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettrice: Daniela Conighi. Copertina: Das Kurhaus in Abbazia, progetto di Max Fabiani (firma in basso a destra) 1898, realizzato in parte dall’Impresa Carlo Conighi; noto pure come Sanatorio Szegoe. Archiv des Vereines der Österreichischen Gesellschaft vom Goldenen Kreuze, Wien. Fotografie da collezioni pubbliche e private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

Un libro sui profughi istriani del Villaggio S. Marco di Fossoli di Carpi (MO)

Colma una certa lacuna il volume di Roberto Riccò sul Villaggio San Marco di Fossoli, attivo dal 1954 al 1970. È ben vero che c’era già un testo miscellaneo assemblato in occasione dei 60 anni della sua nascita per il Convegno nazionale di studi a cura del Comitato Provinciale di Modena dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD). Detto elaborato è stato edito nel 2016. Mancava, tuttavia, un lavoro che raccogliesse ampie testimonianze dei protagonisti di quel momento di vita, dopo la fuga dall’Istria, Fiume e Dalmazia, fino all’integrazione nella società locale con le grandi difficoltà incontrate, poiché la popolazione autoctona aveva una visione politica di stampo comunista, mentre gli esuli fuggivano proprio dalle prevaricazioni dei comunisti iugoslavi, che occupavano le case, requisivano loro le ditte, i campi, i patrimoni, il letto e le sedie a favore del popolo iugoslavo. Le nuove autorità insediatesi non tenevano conto che soprattutto sulla costa gli antenati degli italiani d’Istria erano prevalentemente di lingua e di cultura veneziana, bizantina e romana. Il Regno d’Italia è arrivato nel 1918 e il fascismo dopo il 1922, andando a segnare sui libri di storia la pesante esperienza del cosiddetto fascismo di confine, la bonifica linguistica degli alloglotti, la proclamazione delle Leggi razziali nel 1938 e l’invasione della Jugoslavia nel 1941, sotto le forze dell’Asse. Di conseguenza gli iugoslavi vedevano in ogni italiano un fascista su cui rifarsi ammazzandolo nella foiba, per vendetta o per programmata pulizia etnica ordita dall’Ozna, il servizio segreto delle milizie di Tito.

Tali aspetti sono presentati nella prima parte del libro, trasformandolo in un grande atto di divulgazione. Poi c’è la cronistoria dell’arrivo a Fossoli delle prime famiglie di profughi istriani e del loro contrastato inserimento sociale, fino all’assegnazione degli appartamenti definitivi in via Ponente a Carpi, durante gli anni ’70.

Andiamo per ordine. Ci sono 7 fasi di attività del Campo di Fossoli. Sorto nel 1942, quando il Regio esercito italiano piantò delle tende per accogliere i prigionieri di guerra militari inglesi, sudafricani e neozelandesi, era il P.G. 73, ossia Campo di Prigionia n. 73, dove passarono 5.000 prigionieri. Dal 5 dicembre 1943 viene trasformato in Campo di concentramento per ebrei della Repubblica Sociale Italiana (RSI). Sotto la scorta armata di militi italiani partono i primi convogli di ebrei per i campi di sterminio nazisti. Il 22 febbraio 1944, col secondo trasporto, viaggia nei carri bestiame anche Primo Levi, arrestato nel dicembre 1943 in Valle d’Aosta con un gruppo partigiano. In quel periodo la struttura consta di decine di baracche in mattoni, tutte smantellate in seguito, è il cosiddetto Campo vecchio. Il 15 marzo 1944 è trasformato dai nazisti in Campo di Polizia e di Transito. È il principale Campo di concentramento italiano, dato che il lager di San Sabba a Trieste era in una zona di operazioni del Terzo Reich, non facendo più parte dell’Italia. Da Fossoli partono 2.844 ebrei e 2.000 reclusi politici.

Il 2 agosto 1944, con l’avanzare del fronte bellico, il Campo è chiuso e trasferito a Bolzano-Gries, così Fossoli è un centro di raccolta destinata al lavoro coatto nei territori del Reich con la Organizzazione Todt. Dopo la fine del conflitto il Campo accoglie i fascisti e i collaborazionisti militari e civili. Dal mese di agosto 1945 al 1947 accoglie profughi ed ebrei reduci dai campi di concentramento nazisti. Dal 1947 al 1952 don Zeno Saltini accoglie oltre 1.000 bambini e ragazzi abbandonati e orfani. Nel 1954 vengono costruiti 16 edifici per accogliere i profughi d’Istria, Fiume e Dalmazia fino al 1970; essi fuggono dalle loro terre assegnate dal Trattato di pace alla Jugoslavia. Si trattava di 250 famiglie, per 1.500 persone.

L’Autore del libro ha potuto effettuare le sue ricerche presso l’Archivio storico comunale di Carpi e nell’Archivio storico diocesano della cittadina modenese, oltre che nell’Istituto storico della Resistenza di Modena. Oltre che dell’aiuto della Banca Popolare dell’Emilia Romagna, la pubblicazione gode della collaborazione dell’Università della Terza Età locale e dell’ANVGD di Modena.

Il volume qui recensito

Roberto Riccò, Quegli strani italiani del Villaggio San Marco di Fossoli, «Terra e identità», n. 89, Modena, 2019, pagg. 192, con fotografie b/n, euro 12.

info@terraeidentita.it

Recensione di Elio Varutti. Ricerche e Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Fotografie di Elio Varutti, Paolo De Luise e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.